Due giorni fa un importante consigliere regionale mi ha scritto: «Tu non sei da opposizione. Tu dovevi essere il presidente della Regione… e qui la chiudo».
Gli ho risposto seriamente così: «Ma non potevo esserlo con queste compagnie e con gli apparati dello Stato scatenati contro di noi da partiti concorrenti e da confidenti subordinati».
Ho sbagliato a rispondere in politichese. E ho sbagliato a non dare la risposta più semplice: non sono presidente perché ho perso le elezioni.
In realtà, questo dato asciutto e incontrovertibile è ben presente al mio interlocutore; lui, implicitamente, censurava un mio presunto errore di schieramento, perché i sardi non votano in base alla proposta, ma in base alla speranza di vittoria. Temono come il fuoco di trovarsi dalla parte perdente, fosse anche quella giusta. E io, nel suo ragionamento implicito, avrei sbagliato a non nascondermi dentro uno schieramento, qualunque esso fosse.
Sarebbe noioso ripercorre la storia elettorale recente, forse è più utile salire di livello, cogliere le radici dei moventi, le cause più profonde.
Avrei dovuto spiegarmi con immagini, con un approccio letterario che è quello in cui mi sento più autentico. Lo faccio ora, rinviando alla più bella canzone scritta da Guccini, Don Chisciotte che vi invito a riascoltare.
Solo i realisti, cioè i pragmatici, credono che Don Chisciotte sia l’immagine di un disadattato letterario, di un visionario che confonde pecore per cavalieri, mulini per castelli. Don Chisciotte va letto alla luce di un capolavoro della poesia che è il Commento al don Chisciotte di Miguel de Unamuno, libro suggeritomi negli anni dell’università da un amico fraterno e divenuto, a sua insaputa, una sorta di bibbia per me. Lo leggo e rileggo insieme a un altro capolavoro di Unamuno, San Miguel bueno, mártir, un miracolo dell’etica del desiderio inappagato e inappagabile.
Preferisco vivere pensando di essere in affitto: proprietario di nulla, neanche del mio corpo (che infatti se ne catafotte di ogni speranza di scansare malattie, dolori, disagi, follie e produce anche pulsioni concettuali e cantonate storiche che è sempre faticoso combattere).
La realtà materiale non solo non ci appartiene ma è anche piena di specchi, trappole, apparenze.
Anche la politica dovrebbe essere condotta con l’idea che ciò che appare è solo una parte della medaglia. Tutti coloro che hanno cambiato positivamente il mondo non lo vedevano per come appariva, ma per come avrebbe potuto essere.
Penso che il più grande esproprio patito dalla Sardegna sia la fine di ogni visione, di ogni grande e luminosa rappresentazione di sé, a favore di accordi, accordini, pensioncine, rendite, emendamenti, furbizie, esclusività, concessioni e quant’altro. Penso con convinzione che i migliori problem solvers siano i grandi idealisti. I realisti d’animo sono buoni becchini del reale, ma pessimi riformisti. Gli idealisti cucinano l’omelette pensando di scolpire il Laocoonte, e l’omelette esce benissimo.
Gli idealisti vivono in una realtà rinforzata.
La Sardegna cercava un realista e l’ha trovato in Salvini, che ha fatto credere a tutti che stavamo subendo (in Sardegna!) un’invasione di extracomunitari e che era possibile fissare un prezzo politico del latte. Tutti i realisti della Sardegna gli sono andati dietro. Adesso cercano un altro realista che li convinca di un’altra panzana credibile così da dormire tranquilli.
Continuo a ritenere che sia meglio sacrificarsi per gli ideali che fingere per convenienza di credere alle bugie.
Per questa vocazione a tenere follemente il punto e a difendere ciò che gli altri abbandonano per paura, non sono presidente. Ma preferisco il mio cavallo e l’universo che vedo e immagino ai ronzini della convenienza e all’avanspettacolo del cosiddetto realismo.
Adesso la risposta comincia a essere più completa.
Buon ascolto.
“Gli idealisti cucinano l’omelette pensando di scolpire il Laocoonte, e l’omelette esce benissimo.”
vuol dire che anche per riuscire nelle piccole cose occorre pensare in grande?
oppure che chi pensa in grande è comunque un visionario, ma che la grandezza del suo progetto sarà purtroppo limitata a qualcosa di ben fatto ma di non grande?
oppure ancora che anche il “ben fatto” ci condurrà gradatamente alla grandezza?
o forse che mentre ci illudiamo di costruire qualcosa di stupendo per l’ animo stiamo invece producendo qualcosa di semplicemente buono per i sensi?
………… riflessioni all’una di notte…
Noi ci abbiamo creduto, ci abbiamo provato con entusiasmo e convinzione;
Purtroppo siamo stati in pochi a credere in un progetto così grande.
Peccato.
Elio Sias
Non siamo stati noi a non volere realizzare questo quadro, anzi noi abbiamo lavorato a compierlo e lo possiamo dimostrare.
Io penso che avresti dovuto realizzare una coalizione di partiti indipendentisti, cercando di superare le differenze ed enfatizzando i punti comuni. Un programma concordato. Bisognava essere più diplomatici e meno divisivi. Peccato.
Milli bortas resone tenes, Paulu: «Penso che il più grande esproprio patito dalla Sardegna sia la fine di ogni visione, di ogni grande e luminosa rappresentazione di sé, a favore di accordi, accordini, pensioncine, rendite, emendamenti, furbizie, esclusività, concessioni e quant’altro» ca est sa cundenna e ingannu a istare ispetendhe s’azudu de sos “ladros de Pisa”, a ispetare s’azudu de un’Istadu e guvernos chi no sunt, e no podent èssere!, pessendhe a nois, e nois a prànghere, a pedire, a elemusinare e a crere a totu sas “legge del miliardo”, “piani di rinascita”, “accordi Stato Regione”, chentza mai fàghere mancu su chi podimus e depimus, sempre ifatu de sos “realisti” chi collint votos pro totu sos “uomini della Provvidenza” salvinistas de totu sos colores, realistas pro afarios e afariedhos personales de aprofitamentu, tantu realistas de si pòdere nàrrere no solu ignorantes de sa realtade ma abbididarmente tzegos a manos in ogros pro no bídere, inganneris miracularzos.
In custa “bassa” bi sunt totu sos partidos italianos, comintzendhe dae sos ‘menzus’ (donzunu si sèberet su sou!), ca sa dipendhéntzia est solu ingannu e irreponsabbilidade personale e colletiva.