C’è un uomo che a 39 anni si trovò tra le braccia il fratello crivellato di colpi di pistola e non ebbe remore ad abbracciarlo segnandosi nella memoria tattile, visiva e olfattiva, la memoria di quegli ultimi istanti di agonia. Del dolore di quell’uomo, della tenerezza di quell’ultimo soccorso, della forza per continuare a vivere e combattere, ho grande rispetto.
Della retorica un po’ militaresca dei Presidenti della Repubblica italiani ho un profondissimo, incontenibile, disgusto. Per non parlare del loro operato.
Nessuno è perfetto nell’esercizio di funzioni pubbliche, ma non riesco a dimenticare la grazia concessa dal compagno Pertini nel 1978 al compagno Toffanin, l’autore della strage di Porzus nella quale vennero uccisi diciassette partigiani della Brigata Osoppo colpevoli di non essere stati comunisti. Il retore Pertini, nemico giurato dei terroristi italiani!
Non riesco a dimenticare il “non ci sto” di Oscar Luigi Scalfaro, che era un “non ci sto” a un’indagine della magistratura sul corretto utilizzo da parte sua di fondi pubblici.
Non riesco a dimenticare l’interpretazione monarchica e autoritaria di Giorgio Napolitano, che non ha ancora oggi il coraggio di divulgare le telefonate con Nicola Mancino sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia (sulla quale lo Stato italiano da un lato e la Magistratura dall’altro hanno scritto alcune tra le più indecorose pagine della storia repubblicana); il Napolitano della sponda toto corde data a americani e francesi per l’attacco alla Libia di Gheddafi, condotto senza pianificazione successiva, quasi in fretta e furia, deciso a teatro, quasi per tappare la bocca a un pericoloso testimone (e non, come sarebbe dovuto essere fatto, con la cattura, il processo e la deposizione di un tiranno sanguinario).
Di cosa si dovrebbe essere fieri?
Il tentativo retorico di fare della Presidenza della Repubblica il luogo immacolato dell’unità della Repubblica italiana si scontra con la pestilenza morale dell’Italia, con i due pesi e due misure, col fisco uguale per tutti da Aosta a Pantelleria anche se tutto è diverso da Aosta a Pantelleria, con la studiata e ripetuta strategia di fare del Nord la locomotiva e del Sud e delle Isole i vagoni (basta studiare le infrastrutture italiane per capirlo; basta studiare le leggi che oggi incentivano l’emigrazione dei cervelli del Sud verso le università del Nord); con il privilegio normativo garantito ai porti e agli aeroporti del Nord a discapito del Sud e delle Isole; con addirittura il privilegio garantito negli accordi commerciali internazionali ai prodotti Igp del Nord rispetto a quelli del Sud e delle Isole.
E poi c’è la questione giudiziaria.
Il Presidente della Repubblica ha scritto una lettera di fronte alla crisi che investe la magistratura italiana che appare inibita, involuta dentro ciò che un Presidente della Repubblica potrebbe o non potrebbe fare.
Il Presidente della Repubblica, che ieri ci ha chiamati tutti, con fare marziale, a essere fieri, non ha avuto, dinanzi alla gravità della crisi giudiziaria, la fierezza di agire nelle forme possibili. Il Presidente della Repubblica ha compilato, dinanzi alla forza ostentata di Davigo, una tesina di laurea triennale sui compiti del Capo dello Stato. La fierezza retorica, di fronte al potere vero, è divenuto timido svago dottrinale.
Il Presidente della Repubblica lamenta di non poter sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura. Giustissimo. Ma può parlarne.
Come mai il fierissimo e marzialissimo Presidente della Repubblica non ha promosso una discussione in seno al Consiglio Superiore della Magistratura sulle modalità politico-correntizie di nomina dei magistrati?
Come mai se un deputato stringe un accordo di scambio su due cariche fa traffico di influenze e i magistrati di mezza Italia, invece, fanno innocente correntismo?
Come mai il Presidente della Repubblica non invia un messaggio alle Camere sulla crisi della magistratura e promuove, in Parlamento, una discussione seria e conclusiva?
Come mai il Presidente della Repubblica non censura le dichiarazioni di Piercamillo Davigo palesemente contrarie alla Costituzione perché ostentatamente, sguaiatamente e volgarmente ostili alla presunzione di innocenza?
Come mai il Presidente della Repubblica, con la sua moral suasion, non pretende chiarezza su quanto denunciato da Nino Di Matteo sul comportamento del ministro della Giustizia Bonafede nella nomina del responsabile del Dap?
Come mai il presidente della Repubblica non chiede chiarezza sugli innumerevoli processi dove le prove per gli arresti delle persone si sciolgono come neve al sole e nessuno ne paga le conseguenze?
Come mai il Presidente della Repubblica tace sul vergognoso meccanismo degli encomi al personale delle forze dell’ordine, mai verificati rispetto alle sentenze definitive?
Come mai il Presidente della Repubblica tace sul complesso di migliaia di sms del dottor Palamara (più di uno capace di illuminare tante cose in Sardegna e nel Sud, ma tutti rigorosamente censurati dai media) e non agisce perché questo patrimonio di informazioni sia preservato?
Perché il Presidente della Repubblica non stimola il Parlamento ad acquisire il corpus dei messaggi e a fare di questi testi ciò che gli atti della Commissione P2 furono sul potere informale in Italia?
Potrei continuare, ma mi fermo.
Ciò che ho scritto è sufficiente per far capire perché non sono per niente fiero di questo Paese e di queste istituzioni che celano con la retorica l’incapacità di affrontare seriamente i nodi della sua ferocia e della sua povertà. Sono fiero di non essere come il Presidente della Repubblica.
Gentilissimo signor P., essendo un attenzionato speciale dell’autorità giudiziaria, che mi osserva da anni nella speranza che metta un piede in fallo, non brigo mai per aver le carte giudiziarie. Chi ha letto la mole degli SMS del dott. Palamara mi dice che c’è dentro un pezzo della storia recente della magistratura sarda, con interessanti digressioni anche su alcuni grandi misteri di Stato. D’altra parte, un importante giornalista gallurese mi ha raccontato delel feste a Murta Maria cui partecipava Palamara nelle estati da bere degli anni scorsi. La Sardegna, lo ricordi, è una terra stregata: tutti vengono con l’idea di prendere qualcosa, e invece ci lasciano qualcosa, soprattutto tracce.
Complimenti, leggerla è sempre chiarificante, un piacere per la forma ma uno scoraggiante per la sostanza. Potrebbe approfondire la questione degli sms di Palamara e del perché siano capaci di illuminare tante cose in Sardegna?
Prof. Maninchedda se lei vuole invitare un ladro a fargli un impianto antifurto è libero di farselo fare. Non si lamenti però se viene derubato.
Sig. Sassu, io invece penso che nelle trasmissioni tv tutti debbano poter aver diritto di parola. Il problema esiste quando le istituzioni non usano le parole che potrebbero usare per far valere sviluppo e giustizia.
Approvo e condivido ogni parola. Le sembra un paese normale quello dove viene invitato in una trasmissione televisiva un condannato di malasanità a parlare di buona sanità? Le sembra un paese normale quello dove viene invitato in una trasmissione televisiva a parlare una persona al centro del più grande scandalo che ha coinvolto uno dei poteri isituzionali dello Stato e nessuno, dico nessuno, abbozza una benché minima osservazione o riprovazione per questo. Ecco questo è lo Stato in cui sono nato ma, purtroppo non mi ci riconosco.
Ma forse non è del tutto così. È una confusione tutta di ruoli. È arroganza pura quella di taluni. Quella davvero disgustosa. Questo uomo ha detto ciò che non gli compete. Che stia ricordando ad altri ciò che loro non compete? Qualcuno a mio parere potrebbe dimettersi e neanche fra amici dire ciò che ha detto.
Condivido ogni parola. L’Italia è la patria dell’ipocrisia e della retorica un tanto al chilo espressa da persone che troppo spesso dimostrano di non avere moralità sufficiente per poter ergersi a maestri di vita. In molte occasioni, poi, scopriamo che sono gli stessi dei due pesi e due misure e, a quel punto, si mostrano pienamente per quello che sono. Ipocriti, appunto.