Piaccia o non piaccia, chi si chiede che cosa di nuovo oggi si muova nel ventre malato della Repubblica italiana (che ha confessato tecnicamente all’Europa ma non politicamente ai cittadini che la finanziaria si regge su nuove microtasse), risponde: Renzi. Ma poi aggiunge: Forse.
Se dopo l’Umbria il Pd perderà l’Emilia, non reggerà, perché non ha pensiero. E non lo ha perché parte dall’identificazione con lo Stato italiano. Il Pd si sente lo Stato, si sente la Costituzione, è intimamente centralista, romano.
Il problema è che anche il primo Renzi aveva questa ossessione: essere lo Stato, impadronirsene, usarlo. Oggi, sembra avere qualche anticorpo in più rispetto all’ansia di potere. È tattica? È prudenza? Userebbe ancora la ferocia usata col sindaco Marino? Proverebbe nuovamente a privare la Sardegna dei pochi poteri di cui dispone come fece con i referendum che, persi, lo portarono alle dimissioni? Farebbe ancora finta di non avere ricevuto da Pigliaru e Paci il primo conteggio della storia sui costi dell’insularità e non lo trasmetterebbe a Bruxelles (perché alla fine questo occorre fare, se si parla di problemi; se invece si parla di poteri, allora l’insularità è un nome equivoco per una qu,estione democratica) come fece allora? Ci regalerebbe, per stizza, un’altra volta una sfinge inconcludente come Gentiloni?
Non lo sappiamo. Ma i primi passi di Renzi sono di uno che mette tutto in discussione, che sta sulle cose, che tiene testa al Salvini che, in versione moderata, si sta riposizionando in Italia e all’estero.
Il problema politico che Renzi può affrontare e che Zingaretti, invece, non riesce a concepire, è proprio la struttura dello Stato italiano.
Può Renzi fare un Partito Federalista Italiano quale quello da sempre vagheggiato da Cacciari? A prima vista ne è molto distante, ma se prova a fare un partito tradizionale che aspetta da fermo i naufraghi del Pd, non va lontano.
In Sardegna il Pd non solo non ha pensiero, ma non ha proprio voce. Ha posizione. La tradizione autonomista socialista è muta. L’italianismo spinto del documento sull’Autonomia varato durante le ultime elezioni regionali è un De profundis per cinquant’anni di dibattito politico dell’area riformista sarda. Può nascere dalla crisi della Sinistra italiana una Sinistra sarda nuova, affidabile nella difesa delle libertà individuali e seria nella difesa dei nuovi senza-potere e senza-ricchezza? Se nascesse, sarebbe una speranza. Ma oggi non è all’orizzonte.
Ma anche l’indipendentismo ha da riflettere. È da almeno cinque anni che vado ripetendo che se anche gli indipendentisti democratici e tolleranti come me (non ho mai detto no alle alleanze con i partiti italiani, ma non ho accettato di subordinarmici) fossero il 51% dei votanti, la Sardegna non sarebbe uno Stato indipendente. Ci si troverebbe di fronte allo stesso dilemma geopolitico della Catalogna e forse con una magistratura italiana ancor più severa e capziosa di quella che oggi viola i diritti politici e umani dei catalani reclusi.
Alla Sardegna serve, come primo passo, forze politiche orientate a concorrere a cambiare la struttura dello Stato italiano il più profondamente possibile per aumentare lo spazio dei poteri esercitati e dei diritti goduti; serve ridurre il peso di un fisco terribile e feroce; serve cambiare i luoghi delle decisioni; serve una politica dei poteri possibili ispirata da un progetto di Stato indipendente fondato e articolato in poteri giusti e adeguati.
Per un obiettivo così alto, servono alleanze larghe, ma serve soprattutto un ambiente non egemonizzato, serve un ambiente impegnato per i diritti individuali contro lo strapotere degli apparati, serve un programma molto avanzato, serve la connessione con la parte dell’Italia che ha frantumato i partiti italiani, che è il Sud, dove la fanno da padrone le liste civiche.
Serve lavorare molto nei periodi di intervallo tra le elezioni. Se la Sinistra italiana si sfascia, perde la sua ala giustizialista e egemonica e si ristruttura, può accadere, come il Principe di Salina insegna, che a guidare il nuovo processo si affermi un ceto di fatto uguale a quello che lo ha in precedenza frenato, per cui, alla fine, sulla Sardegna, si ripristinerebbe il solito presunto dialogo tra sordi.
Insomma, forse è il caso che in Sardegna si riprenda a parlare di alta politica in sedi pubbliche, aperte, anche in periodi come questo nei quali la militanza è sottilmente criminalizzata. Bisogna parlare di politica, di visioni, di orizzonti, di poteri. E combattere.
Molto interessante.
Un primo capitolo introduttivo.
Adesso obiettivi chiari e realistici in questa fase storica e precisi strumenti operativi.
Fossis tiaimus pònnere in manera séria sas chistiones prus urzentes e graves a un’Itàlia istitutzionale a donzi modu istranza, surda, tzega, menfreghista o fintzas solu àteru, in àteru logu de sa Sardigna e mescamente pessendhe in àteru.
E NO FUIRE dae sas responsabbilidades nostras etotu faghindhe su ballu de sas marionetas-mascaredhas-birillos in totu sos partidos italianos pro contighedhos si est meda personales.