L’aveva annunciata da tempo. I ben informati dicono che l’uscita dal Partito Democratico, con la nascita di un nuovo movimento, risale all’indomani della catastrofica sconfitta del referendum costituzionale del 4 dicembre del 2016, quando la maggioranza dei votanti respinse il testo di legge costituzionale che modificava corposamente la seconda parte della Costituzione.
Sono passati quasi tre anni dal quel fallimento che, in teoria, l’avrebbe dovuto portare lontano dalla scena politica e alla fine Matteo Renzi la scelta l’ha fatta. Con una telefonata al premier Giuseppe Conte, ha anticipato la decisione di abbandonare la casa madre in cui sentiva da tempo un corpo estraneo e insieme a una pattuglia di parlamentari, una quarantina, ha dato vita a gruppi autonomi sia alla Camera che al Senato. Abbandonata l’idea di chiamare il nuovo soggetto “Partito della Nazione”, il nuovo movimento liberal-popolare occuperà uno spazio al centro (luogo politico che attrarrà i delusi di molti altri partiti, in primis quelli di Forza Italia come sostiene Massimo Cacciari) e si chiamerà “Italia Viva”. Nome affatto originale visto che richiama uno degli slogan usati in passato dal PD guidato da Walter Veltroni.
Prima dell’ufficializzazione della scissione, ad accendere le polveri qualche giorno prima era stata la fedelissima Maria Elena Boschi ad accusare il Pd di non aver indicato nessun toscano nella compagine governativa. Accusa pretestuosa che il segretario Zingaretti aveva rispedito al mittente giacché la delegazione renziana nel governo (3 ministri e 5 sottosegretari) era stata decisa da Renzi in persona. Tra quelle indicazioni, era stato l’ex primo ministro a escludere rappresentanti toscani. In questo senso, non stupisce che a non seguire Renzi siano stati proprio due corregionali a lui molto vicini: il sindaco di Firenze Dario Nardella e il discusso Luca Lotti, invischiato in vicende giudiziarie non chiarite e, sembra, in rotta di collisione con il suo leader.
E ancora lasciato Renzi nel suo progetto di partito narcisistico anche la sottosegretaria Alessia Morani, il ministro Lorenzo Guerini e il capogruppo al Senato dell’ultrà Andrea Marcucci. Quest’ultimo, però, potrebbe essere stato lasciato a “presidiare il bidone”. Per lui potrebbe aprirsi la strada di una sfiducia da parte del gruppo fedele al segretario Zingaretti. E ancora a lasciare il treno della scissione ci sono altri sindaci, come Giorgio Gori (Bergamo) e Matteo Biffoni (Prato) che riferendosi all’ex segretario del partito utilizza parole pesanti: “Non sottovalutatelo. Alla Leopolda butterà altra benzina”.
Detto questo, Renzi sembra aver calcolato ogni mossa con precisione millimetrica e con il suo solito cinismo: nel giro di pochi giorni ha messo in tasca la sua avversione, ben ricambiata, nei confronto del M5S, ha portato Zingaretti sulla strada di un’alleanza fino a quel momento impensabile, soprattutto per i Renziani, ha dato vita al secondo Governo Conte e ha incassato una rappresentanza nell’esecutivo che gli consentirà, e questa è la vera preoccupazione del presidente del Consiglio, di condizionare non poco le scelte che andranno fatte nei prossimi mesi. Una efficace descrizione di quanto sta accadendo l’ha offerta Antonio Polito in un suo editoriale: “Renzi sta provando a diventare il Ghino di Tacco di questa legislatura, per usare il soprannome che si diede Craxi quando tentò di infilarsi come terza forza nel predominio dei partiti maggiori”.
Ecco, Renzi, il freddo calcolatore, fa venire in mente un film del 1969 scritto e diretto da Woody Allen: Prendi i soldi e scappa. Incassato il bottino, ha salutato tutti e se ne è andato. Con la pancia piena e il pallone tra le mani, come i bambini capricciosi che non accettano di perdere. La storia della sinistra oggi registra una nuova scissione, l’ennesima. Un favore a Matteo Salvini e alla destra, dicono all’interno del suo ex partito. Una scelta incomprensibile, secondo altri.
In realtà, l’addio di Matteo Renzi ha una lettura univoca: non ha mai amato il PD, lo ha utilizzato per fini personali, con l’obiettivo di raggiungere sempre e solo il successo personale. Venuto meno quel bagliore, è riuscito a stare in disparte per poco più di un anno. Ha ripreso in mano il timone di un qualcosa che è solo suo, ha preteso poltrone e ha incassato il bottino. Preso quello se ne è andato. Prendi i soldi e scappa, appunto.