Ieri Il Fatto Quotidiano ha dedicato all’affaire Golgo una pagina intera.
Per capire di che cosa si tratta faccio un esempio paradossale: è come se, di punto in bianco, il Comune di Roma concedesse a un privato di recintare il Colosseo e l’area circostante per farci un parcheggio, un chiosco per le bibite e una biglietteria, mettendoci anche dentro l’unica fontanella d’acqua della zona. Questo è stato fatto a Baunei, ma non in una logica strettamente paesana, ma con un reticolo di connessioni amministrative che arriva al vertice delle amministrazioni regionali, lo stesso reticolo che in passato legava forme locali di signoria con i bandos capitanati dai baroni più forti di Cagliari. Questo clima gelatinoso, da muro di gomma, da distrazione e errore programmatico, è ciò che preoccupa, (altro che meritocrazia, si tratta di ipocritocrazia istituzionale). E devo dire con chiarezza che se non ci avesse aiutato Stefano Deliperi questa vicenda, pur avendo un intero partito dietro, pur avendo la forza del diritto e dell’evidenza, non avrebbe avuto l’esito amministrativo attuale.
Questa vicenda è un fallimento della capacità di autogoverno dei sardi, perché nell’istruttoria sono state le istituzioni sarde, locali e regionali, a evitare di dichiarare che i beni concessi a un privato erano beni non solo banalmente pubblici, ma beni già censiti in atti come beni paesaggistici e archeologici. È stata invece la Sovrintendenza ai beni archeologici e paesaggistici della Repubblica italiana a disporre la rimozione della recinzione, non le istituzioni sarde.
Finché noi Sardi affideremo il senso e la pratica della Giustizia allo Stato, non saremo credibili tra noi nell’affermazione del diritto di autodeterminazione.
Se sugli usi civici (su cui anche noi del Partito dei Sardi in passato abbiamo commesso errori, poi rimediati) in Sardegna si riprende a praticare le chiudende selvagge, non dico nel valorizzare la campagna nelle forme previste dalla legge, che può anche starci, ma nel privatizzare la storia e la bellezza, allora si deve sapere che si sta ricreando il clima di conflitto pre rivoluzionario nel quale i sardi che sanno che il cambiamento è legato al diritto si contrappongono ai sardi che sanno che la conservazione è legata all’uso della forza e della prepotenza.
E qui voglio dare una chiara notizia: a Baunei tutto è avvenuto in un clima di complicità dei vertici amministrativi della Regione Sardegna. Il Capogruppo del Partito dei Sardi ha illustrato mesi fa la situazione al Direttore generale dell’Assessorato dell’Ambiente; io personalmente ne avvisai in un colloquio informale l’Assessore dell’Ambiente; io ne informai in un colloquio il Direttore generale di Argea. Il Gruppo del Partito dei Sardi in Consiglio regionale ha presentato due interrogazioni e una mozione. Nulla. Non è stato fatto nulla, esattamente come accade da anni in Sanità: noi segnaliamo, veniamo riempiti di risposte non vere, e poi si fa spallucce e si tira dritto.
Non è possibile far finta di niente: la recinzione di Golgo è l’autobiografia della Sardegna peggiore, quella del muro di gomma, quella feroce con i deboli e debolissima con i forti.
Si vuole affermare in linea di principio che, per esempio, i Giganti di Monti ‘e Prama domani potranno essere recintati? Si vuole questo? Bene, l’esito è scontato: lo Stato si ergerà a difendere il nostro patrimonio archeologico come se fosse suo e il consenso dei Sardi di cultura aumenterà verso lo Stato italiano e diminuirà ulteriormente verso le istituzioni sarde. Come è successo puntualmente anche recentemente, allorquando il Comune di Baunei ha rivolto una nuova istanza al Sovrintendente che il 30 luglio ha ribadito, non partecipando a una rinnovata Conferenza di Servizi, quanto già detto: la recinzione va tolta e i luoghi ripristinati. Tutto questo con l’Assessorato all’Ambiente, l’Argea e il ferocissimo Corpo forestale girati di schiena verso uno dei monumenti più importanti della Sardegna.
Se vogliamo diventare uno Stato, dobbiamo praticare la giustizia. Semplice, ma, a quanto pare, difficile.