Conosco bene gli scritti di papa Ratzinger. Il suo Gesù di Nazareth, per esempio, è un condensato di filologia, teologia e insegnamento, un’opera originalissima che suggerisco di leggere, ricca di erudizione e di semplicità, di maturità, cultura e carità. Ma sono molto belli anche i Commenti ai vangeli, curati da Angelo Comastri. Il suo vecchio Introduzione al cristianesimo, è invece un libro duro, il libro della differenza con il mondo affermata e non mediata da alcunché. Un libro che fa adirare e riflettere, un libro serio, un libro che ho bruciato due volte e ricomprato. Oggi mi sono riconciliato con lui. Bisogna rileggerlo insieme al celebre discorso di Ratisbona, riproposto in queste ore dall’Huffington post.
Tuttavia, la frase di Ratzinger su cui ho meditato tanto è un’altra, ripresa in questi giorni solo da Avvenire. Era il 30 ottobre 2010. Ratzinger aveva di fronte i ragazzi dell’Azione cattolica (quelli rovinati da troppe preghiere e poco sesso, secondo Zucchero, il quale non sa quanto sesso si pratichi tra i credenti). Schema della giornata assolutamente libero: domande al papa e sue risposte.
Fu in questa occasione che alla domanda «Santità, mi dicono che devo imparare ad amare… ma come si fa?», Ratzinger rispose: “Fino a quando si continua a guardare se stessi, non si diventa mai grandi. Diventate grandi quando non permettete più allo specchio di essere l’unica verità di voi stessi ecc. ecc.”. Mai farsi definire dalle cose!.
Sembra una risposta da vita pratica, perché poi il papa dice che occorre amare gli altri, accorgersi degli altri per crescere come individui.
In realtà è una risposta escatologica, che illumina gli ultimi istanti della vita e il momento della morte, nel quale ognuno di noi starà di fronte alla verità di se stesso. Si dice, appunto, che l’uomo non sappia guardare se stesso autenticamente riflesso in uno specchio.
Ratzinger afferma che nessuno di noi è ciò che percepisce di sé, perché lo sguardo di ognuno è privo di pietà e carico di maschere.
Ciò che ci definisce è oltre noi stessi. E non è, si badi, il giudizio degli altri che spesso è peggiore, negli effetti e nei presupposti, dello specchio. Ciò che ci prende oltre alla morte è uno sguardo amorevole oltre noi.
Faccio un esempio. L’assassino di Francis Turatello oggi lavora in un’associazione per il reinserimento dei detenuti nella società. Ha sempre rifiutato di partecipare a trasmissioni o documentari sulla sua vita precedente. Ha opposto una semplice verità: “Io non sono quello che ero”. Lo specchio restituirebbe sempre le stesse sembianze assassine; il popolo direbbe che si tratta di un assassino che ha smesso di uccidere; la sua realtà profonda è diversa e può essere raccontata solo da chi lo ama. Per sapere chi siamo, dobbiamo chiederlo non a uno specchio ma a chi ci ama. Noi siamo quelli.
Ratzinger aveva capito che l’uomo moderno è afflitto dalla coscienza di sé non accompagnata da alcuna pietà, da alcun perdono, da alcun amore. Siamo definiti dagli specchi, dai consumi, dalle statistiche, dai sociologi. Siamo prigionieri delle descrizioni della superficie. Un vecchio parroco del mio paese, poi divenuto vescovo, un giorno ci disse in classe, quando ancora i vescovi mandavano i preti in classe e li soccorrevano nella loro imposta solitudine (oggi invece ci sono vescovi con preti solissimi e isolati che se ne fottono allegramente della solitudine e della povertà dei propri sacerdoti) che dovevamo provare a non guardarci più allo specchio, perché noi non eravamo quello che vedevamo, ma di più. Quando lessi un compitino di mia figlia delle elementari, che diceva di me cose che io non avrei mai pensato di meritare, lo capii. Ratzinger lo sapeva.
Grazie Professore per i Suoi articoli, sempre illuminanti
Grazie Paolo
Avrei tante cose da dire,ma sarebbe davvero lungo un confronto qui…però ci tengo a dirle che apprezzo molto la sua “capacità intera”(alcuni direbbero olistica) di fare politica con uno sguardo ampio, per me è l unico modo Shakespeariano per farlo.Ad avercene cittadini così, e meno male lei c’è.Saluti
Nonostante… io…, mi pare sapesse
Ratzinger era un uomo profondissimo che, nonostante non abbia letto tutto quello che ha scritto e ne abbia compreso forse un terzo, sapeva guardare in Dio e negli uomini. Gli è stato fatto torto troppe volte. Il giudizio distorto degli altri lo ha condannato ad una lunga solitudine. Ancora oggi, nel momento della morte, chi ha servito Dio diversamente e che avrebbe voluto da lui ciò che non poteva dare, ingenerosamente lo giudicano.
concordo. non siamo quello che appariamo a noi stessi.
ma probabilmente non siamo neanche solo quello che appariamo a chi ci ama.
e quelli che “non ci possono vedere” dove li mettiamo? non avranno qualche ragione per odiarci?
e quelli a cui siamo completamente indifferenti?
fuori di me c’è un mondo variegatissimo. c’è chi mi ama perchè è del mio sangue, e chi mi odia per quel che sembro; chi mi ama per quel che faccio e chi mi odia per quel che ho fatto. forse non sono che un mix di quelle variegatissime percezioni che spargo durante la mia esistenza, ed io, nel mio piccolo e come tutti, spargo del bene ma anche del male.
ce la farò a leggere Ratzinger?