di Paolo Maninchedda
Fare campagna elettorale significa sentire e leggere un repertorio misto di glorie e miserie dinanzi al quale si hanno due alternative: o deprimersi, comprarsi un orto e ritirarsi per saturazione da balle e ipocrisia oppure armarsi di buona ironia e santa pazienza e combattere.
In tre giorni di dibattiti e sopralluoghi ne ho sentite di tutti i colori su di noi, noi indipendentisti del Partito dei Sardi.
Il dato ricorrente però è che tutti parlano a favore o contro le nostre idee perché sono le uniche in campo.
C’è un nostro avversario in campo a Olbia che se l’è presa con le nostre politiche di mitigazione del rischio idrogeologico e pur di dire qualcosa ha addirittura depositato un progetto articolato che io ho ovviamente chiesto di vedere e di acquisire. E che cosa è previsto in questo progetto: un bellissimo canale tombato di tre metri di franco idraulico che deve essere costruito ex novo. Dove? Ma ovviamente sotto l’ospedale, e che diamine, e se no per che cosa si fa la campagna elettorale, se non per spararla non grossa, grossissima.
Poi c’è stato quello che mi ha spiegato le nostre idee sul fisco. Ovviamente il tenore era: le norme di attuazione che il governo italiano ha concordato con voi sono acqua fresca; l’agenzia delle entrate è acqua freschissima. «E quindi?, ho chiesto, tu che cosa faresti?». Panico. Panico perché prima questi stessi ci dicevano che era urgente ritirare i ricorsi presentati dinanzi alla Corte costituzionale e adesso, in sordina, riconoscono che la Giunta ha fatto bene a ripresentarlo. Poi ci dicevano che il tema fiscale era meno importante di quello sanitario e adesso che c’è un po’ di casino intorno agli ospedali riscoprono il fisco come battaglia strategica. Prima ci dicevano che l’indipendenza della Sardegna era un’idea troppo grande per essere retta dall’elettorato sardo, adesso ci dicono che la strada delle riforme che noi vogliamo realizzare è troppo graduale, adesso i più pavidi parlano di rivoluzione e quando gli dici che vuoi farla davvero ti chiedono se sei pazzo, ti dicono che un conto sono le parole e un altro i fatti.
In tutto questo c’è una consapevolezza da acquisire: dinanzi ai neofascisti (quelli che votano a destra perché hanno paura dei ladri) e ai qualunquisti di destra (quelli che dicono “la mia serva”) e di sinistra (quelli diversi dagli altri) noi rappresentiamo l’unica proposta identificabile perché onestamente abbiamo detto quello che pensiamo e quello che vogliamo fare.
Ci rimane da trovare l’atteggiamento giusto. Indignarsi è vietato. Ritirarsi è vigliacco. Imparare a sorridere è obbligatorio.