In queste ore drammatiche la prima regola è non dire stupidaggini. La seconda è cercare di neanche pensarle.
L’Italia, purtroppo, è la patria dei parolai e, in queste circostanze, dei parolai guerrafondai, di quelli che usano le parole più dure senza assumersene la responsabilità. Mi ricordano i tanti letterati interventisti della Prima guerra mondiale, tanto baldanzosi prima della trincea quanto annichiliti dopo, di fronte allo spettacolo della morte.
I guerrafondai sono pericolosi, dannosi e molesti per l’anima e per il corpo; non quelli che dicono di reagire alle aggressioni, ma quelli che le aspettano, le auspicano, le vaticinano per poter dare un senso all’unica cosa che sanno fare: menare.
Per quanto l’unico vero e stabile mio punto di riferimento si sia fatto uccidere piuttosto che torcere un solo capello a un solo uomo, io non riesco ad essere ancora come Lui. Sono iscritto al partito di Frida Kahlo: «Non come chi vince sempre, ma come chi non si arrende mai!».
Lavorerò nel mio piccolo ad aiutare la resistenza ucraina, in modo che quella terra divenga un incubo per Putin, peggio dell’Afghanistan. Non ci sono montagne significative in Ucraina dove arroccarsi, ma c’è un confine europeo troppo lungo. Si può resistere.
Poi ci sarebbero tante cose da dire sulle analisi delle politiche estere europee, americane, russe e cinesi. Ma una cosa deve essere chiara: è preferibile che a occuparsi di politica estera vadano uomini pragmatici, che partano dalle condizioni date e non da quelle auspicate, che sappiano sempre riconoscere gli interessi in gioco, che sappiano riconoscere gli interessi in conflitto, che prima di schierarsi cerchino di capire le ragioni degli altri, che non abbiano la presunzione del modello occidentale come modello universale, che sappiano che gli eserciti servono per non fare la guerra, non per prepararla.
Per stare insieme su questa terra bisogna imparare a capirsi. Bisogna imparare che l’ambizione di una ricchezza senza limiti è devastante.
Ma questo è un altro discorso.
Per oggi cominciamo a non leggere né i guerrafondai né i tifosi italici (lo spettacolo più mortificante è vedere la Destra italiana filorussa accompagnata dalla sinistra estrema, che quando legge Russia capisce ‘Mamma’, e dall’ultimo neurone dei Cinquestelle cui Conte non ha aggiornato il software complottista. Questa curva sud putiniana, e antiamericana a prescindere, lascia senza parole, ha lo stesso lessico dei no vax).
Leggiamo solo i resistenti e i ragionanti, quelli che da sempre praticano una strada diversa dalla difesa dei privilegi della società opulenta occidentale e dal modello orientale dei poteri autocratici in grado di contenere l’eccesso di libertà.
C’è una terza strada, faticosissima, ma che sceglie le ragioni della vita, della natura, della convivenza, dell’equilibrio e della fraternità. Io mi iscrivo a questa parte, che vince saltuariamente ma resiste sempre.
Certo. Bisogna resistere. Trovare altre strade. Abbiamo avuto capacità di ricomporre diatribe, a parte l’orrore seguita alla disintegrazione della Yugoslavia. Qualcosa mi suggerisce che le nostre società vanno riassestate in armonia con quei principi che ci spingono a ribellarci ad ogni autoritarismo, ai pochi che decidono per i molti. Ho conosciuto ucraini nel tempo: il modello occidentale li sta rovinando. La loro cultura originaria era più salda.
Come resistere ad un nuovo Hitler? Come convincere il polpolo russo a ribellarsi al loro dittatore? Come aiutare concretamente il popolo ucraino a resistete e respingere l’invasore? Non ho risposte. L’intelligenza ci dice che dobbiamo tenere legate le mani perché altrimenti sarebbe terza guerra mondiale. Al momento nell’oceano di parole di questi giorni le uniche che hanno scosso la mia coscienza e il mio cuore sono state le parole urlate da una coraggiosa vecchietta ucraina ad un soldato russo armato di tutto punto: “riempiti le tasche di semi di girasole, cosi nasceranno nella nostra terra quando morirai”. È guerra, e le nuove ferite dell’odio non guariranno in breve tempo.
Anche io
Bene meda, Pàulu! Cundivido.
Pro su paghitzedhu chi poto contare deo, mi iscrio a s’istrada de sa pelea manna, sa chi durat a totu vida, ca est sa vida.
S’àtera est criminale, ca est sa morte, programma de morte, chi mancu b’at bisonzu de la chircare, sempre ammanitzendhe armamentos (a machine, a irbariadura, a distruimentu de zente, de cosa e de logu, pro domíniu de zente de cosa e de logu) e ammanitzendhe esércitos pro fàghere sas gherras, invetze de pelare pro las risparmiare a s’umanidade chi tenet bisonzu de tot’àtera cosa pro èssere umanidade.
E tiaimus fàghere bene a chircare de bídere in su pagu fàghere nostru de cada die ite e cantu e comente tirat a sa bandha de s’innoromala e cantu e menzus a sa bandha de s’umanidade.