Continuiamo a far di conto a favore di pastori e agricoltori, in modo da costruire solide ragioni per una obiezione di coscienza dei sardi, fondata sull’indifferenza di Stato verso i loro interessi legittimi.
L’Agea, lo ricordiamo, con le famose fotointerpretrazioni dei nostri suoli dediti a pascoli, boschi e macchia mediterranea, fatte a tavolino dal SIN nel terzo ciclo di Refresh a cavallo tra la fine del 2013 e i primi mesi del 2014, ha tagliato dalla possibilità di accedere ai contributi comunitari, circa 274.000 ettari di suoli sardi che prima erano ammissibili al fine della presentazione della domanda di aiuto per la PAC.
In poche parole, in un attimo la superficie forestale della Sardegna (non ammissibile a finanziamento) è cresciuta a dismisura, mente la SAU (superficie agricola utilizzabile – quella importante per la richiesta di aiuti comunitari) è diminuita di pari quantità.
Se ci basiamo su un’azienda tipo del Centro-Sardegna, fatta di prati pascoli, qualche prato sfalciabile e di diversi appezzamenti con bosco rado o macchia mediterranea, stimando per difetto che il valore medio di un titolo, a valere sulla domanda unica ( PAC) sia di circa 162 euro a ettaro, e stimando le tare al 50% (oscillano tra il 30 e il 50%), il danno economico diretto, solo sulla domanda unica è di 22 milioni 164 mila euro. In tre anni (2015, 2016, 2017) siamo a oltre 66 milioni di euro in meno.
Questo è il danno diretto, ma ve n’è anche uno indiretto.
Tra le misure del Piano di Sviluppo Rurale le più importanti sono: il benessere animale, l’indennità compensativa, gli interventi per l’agricoltura biologica e, nelle zone interne, le misure agro ambientali (vedi le zone SIC e quelle ZPS, tipo altopiano di Abbasanta e altopiano di Campeda, come la celebre misura per la Gallina prataiola salita agli onori della cronaca per il blocco della Sassari – Olbia) che valgono circa 235 euro ad ettaro.
Queste misure sono legate anche al carico di bestiame per ettaro.
Se la superficie utile della proprietà diminuisce e il numero degli animali resta invariato, non viene più rispettato l’equilibrio tra carico di bestiame e SAU (superficie agricola Utilizzabile) e saltano tutti i parametri per il rispetto delle norme di condizionalità (che controlla sempre AGEA tramite il SIN, solo perche noi le abbiamo rifiutate tempo fa) e l’allevatore si vede applicare, se va bene, delle riduzioni o, nei casi più gravi ( uno sfasamento superiore al 20%) la revoca del premio.
A cascata saltano, come detto, le misure del Piano di Sviluppo Rurale che sono vere e proprie bombe finanziarie a innesco ritardato. Infatti vengono pagate per l’80% in automatico, ma quando è il momento del saldo, quando si ha l’obbligo di validare l’istruttoria, se trovate in anomalia sono soggette a sanzioni e nei, casi peggiori, non pochi alla luce di come stanno andando le cose, alla revoca e quindi alla restituzione anche di quanto è stato anticipato.
È solo un ulteriore esempio del fatto che il problema dell’agricoltura sarda è un problema di Stato, un problema di mancato presidio delle norme e di mancata difesa e composizione degli interessi legittimi cui è giusto reagire anche non andando a votare e creando il prima possibile una struttura Sarda adeguata, competente ed efficiente che tuteli in loco gli interessi dei nostri allevatori e agricoltori.