Il libro del generale Mario Mori, M.M. Nome in codice Unico, La nave di Teseo, Milano, euro 20 è da leggere.
È scritto in ‘sbirrese’, quell’italiano indifferente a ogni eleganza e preoccupato solo di essere ben capito che si legge in tutti gli atti giudiziari, ma è un libro importante, che ripercorre sessant’anni di storia italiana, europea, mediorientale, e lo fa senza sconti. È un libro di un carabiniere di cui ci si può fidare.
M e lo Stato Tutto sta in una frase, pronunciata da lady Elizabeth Manningham-Buller, capo del servizio segreto inglese, il celebre MI5, fino al 2016. La signora è colei che fu davvero M, il capo degli agenti segreti dei film di 007.
M ricevette Mario Mori, allora direttore del Sisde in una data non indicata, compresa tra il 2001 e il 2006, governi Berlusconi 2 e 3, in una casa di campagna “con l’arredamento essenziale scelto da chi non ha bisogno di mostrare nulla” (quanto farebbero bene queste parole a chi si esibisce griffato, con eccesso di acqua di colonia e orologio in bella mostra). Lo ricevette per informarsi su mafia e terrorismo politico. Al termine della conversazione gli disse, ovviamente in inglese, perché anche Mori è anglofono, essendo figlio di anglo-napoletani: “Vedi generale, oggi mi hai insegnato cose interessantissime, ma ricordati che tu sei il direttore del servizio di Berlusconi, io non rispondo a Tony Blair, rispondo a sua maestà la Regina”.
Una frase, un’etica: i servizi segreti non sono al servizio delle maggioranze di governo, ma dello Stato. Il problema è che il senso dello Stato è più evidente e stringente quando lo Stato è giusto, non perfetto, ma giusto. Il libro è la storia di un carabiniere di valore che ha cercato sempre la parte giusta dello Stato, ma è stato costretto a guardare ripetutamente in faccia lo Stato peggiore.
Fondi neri e Sato assente Vediamola subito una storiaccia di Stato, quella dei fondi neri del Sisde.
Siamo nel 1993, Mori è vicecomandante del ROS.
Fallisce una piccola agenzia romana, la Miura Travel, che aveva tra i suoi soci il capo di gabinetto e il direttore amministrativo del Sisde. Un maggiore dei Carabinieri indaga e risale a una serie di libretti al portatore per un valore complessivo di circa 14 miliardi di lire. Tra gli intestatari altri tre funzionari dei servizi segreti. Si indaga. Si arrestano i funzionari. Uno dichiara a verbale che parte di quei fondi venivano utilizzati per erogare un importo di cento milioni di lire al mese ai ministri dell’interno succedutisi nella carica, con la sola eccezione dell’on. Amintore Fanfani che non li volle.
Tra i ministri dell’Interno vi era stato Oscar Luigi Scalfaro, allora Presidente della Repubblica.
Il 28 ottobre del 1993 un funzionario del Sisde consegnò alla procura di Roma il cosiddetto Libro paga del servizio, un elenco con i nomi di tutti i politici, i prefetti, i giornalisti, i magistrati che prendevano e avevano preso soldi dal Servizio.
Il 3 novembre del 1993 Scalfaro pronunciò il celebre discorso dell’ Io non ci sto a questo gioco al massacro, paragonando gli esiti dell’indagine al carattere eversivo del terrorismo bombarolo che aveva devastato la storia d’Italia.
Il processo iniziò nel 1999 e si concluse nel 2011 presso il Tribunale dei ministri con la dichiarazione di non doversi procedere, perché “la genericità delle dichiarazioni rese dai testimoni e dallo stesso Scalfaro non ha consentito di individuare alcuna illecita destinazione delle somme ricevute”.
Insomma, i soldi venivano dati e presi, ma l’autorità giudiziaria non poté accertare come vennero utilizzati.
Mori racconta questa storia, così, a gemelli penduli sul tavolo, come piace a me, come chi non si arrende, come chi serve lo Stato.
La escort Fare seriamente il lavoro di intelligence vuol dire anche infiltrarsi nelle strutture avversarie e dunque avere un’etica dello scopo che non è propriamente quella della vita comune.
Per esempio: ricattare è una cosa schifosa, ma il ricatto per reclutare un informatore è quanto di più etico un Servizio possa fare.
Siamo a Roma.
Il Servizio aveva messo alcune cimici in una sede delal Repubblica Popolare Cinese e aveva potuto ascoltare un funzionario lamentarsi del fatto che mentre l’ambasciatore aveva la moglie al seguito, lui e gli altri addetti erano costretti a una castità monacale, perché soli e lontani dalle famiglie.
Il Servizio colse la debolezza ormonale del funzionario e cominciò a cercare in via Veneto una escort di tale bellezza e capacità seduttiva da garantire la caduta incondizionata del cinese in un talamo ben sorvegliato.
La scelta cadde su una signora chiamata in codice Karol.
Il cinese si arrese subito. L’incontro fu ripreso, il cinese reclutato e fu il primo infiltrato europeo nelle strutture cinesi. Poi vennero gli americani e se lo portarono via. Mori è radicalmente euromediterraneo, rispetta gli americani, ma li trova grossolani e prepotenti.
Rita Algranati è una brigatista, responsabile dell’omicidio del tenente colonello dei carabinieri Antonio Varisco, ucciso dalle Brigate Rosse il 13 luglio 1979 sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. Il commando era composto, oltre che dalla Algranati, da Gallinari, Savasta e Casimirri. Varisco era amico di Mori, il quale, nominato ai vertici del Sisde nel 2001, cominciò a cercare i BR. Gallinari e Savasta erano stati arrestati (invero Savasta stette poco in carcere, perché si pentì subito), Casimirri, invece, venne individuato dagli uomini di Mori in Nicaragua.
Lo stavano per arrestare, quando qualcuno, il solito qualcuno che protegge da sempre questo membro del commando che uccise la scorta di Aldo Moro, impedì l’operazione.
E in questo caso il mio rammarico è che Mori, anche lui, non fa nomi, mentre il nome del protettore di Casimirri è proprio una chiave per capire il caso Moro.
Con la Algranati andò meglio.
Venne individuata in Algeria.
Mori riuscì a convincere il direttore dei Servizi algerino, Smain Lamari, un personaggio controverso e per molti versi terribile (ma Mori, giustamente, invita a leggere diversamente da come si fa in Occidente il rapporto tra le elite militari dei paesi arabi e i movimenti politico-religiosi mussulmani), a notificare alla Algranati che doveva andarsene. Lei e il compagno vennero avviati verso un volo diretto al Cairo, per imbarcarsi poi per Addis Abeba.
All’aeroporto del Cairo era pronta una trappola preparata dal Sisde, ma c’era un problema: il passaggio da un gate all’altro avveniva senza controlli dei documenti, per cui si sarebbe dovuto procedere a un arresto diretto, senza pretesto, che avrebbe esposto i servizi egiziani. Il problema venne risolto dal capo dei servizi egiziani, Omar Suleyman, che impose a tutti i passeggeri in viaggio per Addis Abeba un controllo passaporti. La Algranati aveva i passaporti falsi e capì che era finita. Venne arrestata il 13 gennaio 2004.
Insomma, è un libro ricchissimo di dati, notizie, riscontri. E ovviamente si parla del processo farsa che ha coinvolto Mori, il vero, grande depistaggio morale dal fallimento delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Un porcata giudiziaria di proporzioni colossali. C’è anche un pezzo di Sardegna, ma ho già scritto troppo. Buona lettura
Il libro l’ho scritto io (anche in sbirrese) e questa è forse la più bella recensione che ho letto.
Grazie a SL e Paolo Maninchedda.
Fabio Ghiberti
Finalmente un’enciclica dove non occorre leggere ma basta guardare le figure 🤣🤣🤪💥
Lo compro
Mica male, in d-una ci-viltade dominante de gherra fitiana a dominare e chentza ispetare chi ndhe iscópient calicuna! No tenet mancu bisonzu de Diàulos/Dimónios cussizeris.
E nois Sardos chi nos identificamus in “Dimónios”, e no a sonu de corru ma a sonu de ‘musica’ de “bandha” praghillosa, si no nos sarbat sa pregadoria regionale “Porcurad’e moderare”!…
A sos casinistas, de medas ma medas -istas, lis piaghent sos casinismos, de medas ma medas -ismos.
Azummai no b’at bisonzu de nos dimandhare: E a nois Sardos ite nos piaghet? Sas balentias de sos Diàulos/Dimónios?