Oggi, in bella prima pagina, L’Unità pubblica un breve articolo che racconta, e partibus infidelium (cioè dal punto di vista della difesa, quel punto di vista che in Sardegna è solo raramente ben interpretato dagli avvocati e ancor più raramente raccontato dai giornalisti) che cosa è accaduto qualche giorno fa dinanzi al tribunale di Crotone.
Il protagonista è un testimone dell’accusa: in istruttoria aveva identificato uno scafista.
Il processo è contro alcuni presunti scafisti.
Il testimone si siede e dichiara di fronte ai giudici: «Un agente che mi interrogava mi ha detto che quello nella foto era il capitano della barca e di firmare accanto all’immagine. E io ho firmato».
Il caso di Beniamino Zuncheddu è fondato su una falsa testimonianza costruita durante le indagini. Il costo sono stati 30 anni di carcere per un innocente. Nessun investigatore, nessun giudice, nessun rappresentante dello Stato ha pagato.
Franco del Giudice, titolare della Delcomar, ha patito un sequestro giudiziario milionario (e ha evitato gli arresti per un soffio), nonché un danno di centinaia di migliaia di euro per una retribuzione astronomica riconosciuta da un Gip, a dir poco distratto, ai curatori giudiziari della società, il tutto per un perizia di parte della Procura che, a detta stessa del giudice che ha poi annullato il sequestro, era stata condotta da chi non aveva titoli adeguati a condurla. Franco si è beccato un battaglione di acciacchi per il dispiacere patito; nessun uomo dello Stato ha pagato. Tralascio mie questioni personali, perché bisogna porre un limite allo schifo.
I miei lettori ricorderanno però il caso di Marjan Jamali, la ventinovenne madre di un figlio con cui è scappata dall’Iran, da cui è stata separata e il bambino affidato a un’altra famiglia, accusata da testimoni ormai irreperibili (sospettati di essere i veri scafisti che avevano tentato di violentarla durante la traversata) di essere lei la scafista.
Il 24 aprile il tribunale ha confermato per Marjan la custodia in carcere, negando i domiciliari, con un’argomentazione che fa rabbrividire: “ritenuto che, nel caso di specie, non sono rinvenibili nuovi elementi di influenza sulle esigenze cautelari, stante la circostanza che non è stata ancora svolta alcuna attività processuale e che, comunque, non è emerso alcun novum avente risvolti sui requisiti richiesti dagli art. 273 e ss. c.p.p. ai fini della misura in atto» e tali, quindi, da «considerare l’adozione e l’idoneità di misure meno afflittive».
In altre parole: il tribunale la tiene in galera perché il procedimento penale è fermo. Non ci sono novità, cioè i testimoni non si trovano, le testimonianze rese restano lì ad attendere che un altro giudice si pronunci sulla loro attendibilità e, nel frattempo, la donna resta in carcere e il bambino in affido.
È in corso un processo in Sardegna nel quale molti testimoni di accusa hanno ritrattato. Stessa tecnica: i verbali non riflettevano la loro volontà, ma quella di altri. Ovviamente, non è successo nulla, nessuno è stato chiamato a rispondere di alcunché.
Merda.
Silvio. Leggo L articolo e non posso che essere d accordo sul suo contenuto e sui relativi commenti. Oggi in Italia è presente una casta che può tutto : Rovinare carriere ed imprese, decidere sulla politica e non pagare mai i propri errori . Inaccettabile
Purtroppo anche questo Governo stenta nel riuscire a riformare i codici di procedura in modo sostanziale ed efficace: va bene la separazione dei poteri, ma come disse mia Nonna “il troppo stroppia”. Abbiamo troppi esempi di quanto stroppia quando nessuno paga.
Complimenti a chi ha il coraggio di denunciare questo sistema perverso e assurdo.
È da tanto che penso che la magistratura italiana sia divenuta casta d’intoccabili. Non voglio generalizzare ma è evidente che se le cose spesso dentro i Tribunali funzionano poco o male, questo non possa che dipendere dagli uomini e dalle donne che vi lavorano.
Quello che scrive il Tribunale di Locri sa di ingiustizia e questa indegna fragranza si diffonde
Una donna Iraniana scafista? Ma se quei barbari tagliagole islamici considerano le donne inferiori al cane e le fanno pregare nei recinti (vedasi Roma) figurati se gli affidano la conduzione di una barca!
S’ùrtimu foedhu faet pentzare de nàrrere “chi papent” assumancu po cumprèndhere (e no po farta de ‘inteligéntzia’) cantu fragat sa chi a bortas faent cussos chi ndhe faent, ca no funt “sbagli” comente totus seus sugetos a ndhe fàere!
Però pentzaus si su chi ant fatu a Beniaminu Tzuncheddu est cosa deasi chi ‘fragat’: est ingiustìtzia, dannu mannu e no solu personale, disastru chi mancu cantu pesat de oro iat a bastare po si dhu pagare ca ne dinare e ne oro funt sa vida.
Pareus in “giustizia” de gherra cun is ‘régulas’ de dónnia gherra!