A La Maddalena si raccomanda “di non mittì a muzza in manu ai ziteddi”, cioè a dire che le cose importanti non vanno lasciate nella responsabilità dei bambini. Ciò che vale per ‘l’origine del mondo’, vale anche per la storia.
In questi giorni, incredibilmente, un Segretario del Psd’az ha affermato che chiunque sarebbe stato eletto Presidente della Repubblica Italiana, sarebbe stato il 40esimo Capo di uno Stato nato in Sardegna 698 anni fa. Questo è falso. Il Regno di Sardegna, se proprio occorre parlarne, un regno fatto da un Papa e dalle spade e dalle tasse catalane, non ha generato manco per le balle la Repubblica italiana.
La teoria non è originale. È presa di peso da La terza via della storia. Il caso Italia di Francesco Cesare Casula, con il quale ho una discussione aperta dal giorno della mia laurea. Ma Casula aveva e ha le sue ragioni per la sua teoria. Essa è riassumibile in questi termini. La Storia è fatta dagli Stati. La storia dell’Italia è da ricostruirsi attraverso la storia degli stati che l’hanno generata. Posto che a fare il Risorgimento è stato, istituzionalmente, il Regno di Sardegna, istituito nel 1297 da Papa Bonifacio VIII, è il Regno di Sardegna che ha generato il Regno d’Italia da cui è poi nata la Repubblica italiana. Ovviamente, non è la data di istituzione del Regno a essere presa in considerazione, ma l’anno nel quale i catalani conquistarono la Sardegna, il 1323 perché gli Stati, secondo questa concezione, non devono esistere sulla carta, devono essere Stati vigenti (ma allora il conto dovrebbe partire dal 1410, quando finì la guerra con gli Arborea, posto che per anni il regno di Sardegna si ridusse a pochissime roccaforti costiere).
E qui cominciano i problemi. Perché, ad essere coerenti, se vale nella storia solo ciò che fanno gli eserciti, gli Alleati e, per quanto di competenza, la Resistenza hanno mandato gambe all’aria tutto lo storiume risorgimentale.
Non solo: gli italiani col referendum del 1948 hanno anche cacciato i Savoia.
Solo una storia che mischia tutto, le ragioni dei vinti e dei vincitori, delle vittime e dei carnefici, può sorvolare leggiadramente su fatti traumatici, gravi, indelebili: 1) il Regno di Sardegna fu imposto ai Sardi e i Sardi, con mille contraddizioni iniziali, mediane e finali, lo hanno combattuto per settanta anni; 2) I Savoia furono i Re della Sardegna, ma mai lo furono dei Sardi che li cacciarono, li riaccolsero, si prostrarono al loro potere, ma poi si accorsero della loro pochezza durante la Prima Guerra Mondiale e sotto il Fascismo; 3) il problema tra la Repubblica italiana e i Sardi non è sul passato, perché né l’una né gli altri ne hanno nostalgia. Il problema tra i Sardi e la Repubblica italiana è di poteri e libertà.
In ogni caso, a rigor di logica, esercito per esercito, il 40esimo Presidente della Repubblica non dovrebbe avere niente, ma proprio niente a che fare, con questa storia della Sardegna nata per giustificare il sardismo confuso di Cossiga (che era un italiano a tutto tondo), che cuce insieme destini di prepotenti e resistenti di un tempo per far tornare i conti dei prepotenti di oggi, sempre alla ricerca di legittimazione per le proprie penne di struzzo.
Vediamo che cosa si può fare a ragionare allo stesso modo.
Si potrebbe, per esempio, e in perfetto stile ghibellino, dire che il Regno di Sardegna è stato invece istituito dall’Imperatore Federico Barbarossa a Pavia che, a pagamento, in perfetto stile italo-tedesco, nominò nel 1164 primo re sardo il celebre Barisone d’Arborea.
I soldi erano genovesi e l’asta del Regno di Sardegna continuò nell’anno successivo al punto che Federico Barbarossa, che non si faceva mancare nulla e aveva un bisogno imperiale di denaro, nel 1165 diede la stessa corona sarda, questa volta al comune di Pisa. E qui possiamo cominciare a pensare che la genealogia dell’Italia affondi le sue radici nei progenitori toscani dei Letta, dei Renzi, del Monte dei Paschi, insomma in un lignaggio di cui andare veramente orgogliosi. Ma soprattutto, potremmo ritrovare intorno al vil denaro quella puzza italica (e talvolta, più di una volta, sarda), quel vezzo di vendersi tutto, anche la Patria per un tozzo di pane, meglio se con companatico.
Oppure, sempre per cercare lombi nobili, potremmo risalire all’istituzione del titolo di re d’Italia, che è una questione carolingia, padana, con capitale a Pavia, antica capitale dei Longobardi, la pudentissima gens incubo di papa Gregorio Magno. E qui, Salvini avrebbe da dire, da richiamare il sangue fresco degli ariani rispetto a quello esausto dei latini, il mondo dei baroni oni oni, antichi avi di tanti Oni che anche in questa circostanza, proprio perché passati superbamente per Oni quali non sono, hanno imposto all’Italia il congelamento.
Il problema del 40esimo Presidente della Repubblica italiana è che l’Italia è incapace di cambiamenti nobili, profondi, pacifici, democratici, onesti, senza compravendite.
Alla fine, l’Italia sceglie sempre il meno peggio, mai il giusto.
E se appaiono patetici tutti coloro che per difendere piccole cose hanno impedito un salutare rinnovamento delle istituzioni italiane, non meno lo appare chi si era proclamato indisponibile e oggi, invece, si dichiara pronto.
Unico piacere, la crisi della Meloni, che con la cecità tipica della Destra estrema voleva usare l’elezione del capo dello Stato per far cadere il Governo. E questa signora sarebbe una statista?
Ecco, alla luce di tutto questo, ciò che un Presidente sardista della Sardegna avrebbe dovuto dire è che la Sardegna si sente diversa e lontana da questa degenerazione dello Stato, della cultura e della politica, assolutamente distante dall’unica origine nobile della Repubblica italiana: la Resistenza.
Un presidente sardista della Regione Sardegna avrebbe dovuto interpretare anche in questa circostanza la pretesa di libertà e di autogoverno dei sardi, non accucciarsi nei giochi del Centrodestra a evocare nobili natali sardi per una siffatta Repubblica italiana, come solo il servaggio politico può indurre a fare.
I Sardi si accorsero della pochezza dei Savoia durante la Prima Guerra Mondiale e sotto il Fascismo?
Omette di ricordare che questo, purtroppo, non bastò a produrre un risultato di segno diverso nella scelta tra monarchia e repubblica (mentre saprà meglio di me che la Sardegna nel ‘46 si espresse al 60,9 % per la monarchia).
Ricordare semplicemente la Resistenza, da sardi, significa poi perdere un’altra occasione per considerare come mancò allora il contributo della Sardegna. Certo, come per il Risorgimento italiano, ci furono sardi che scelsero di immolarsi, così che sulle loro spalle potremmo appoggiare la nostra parte (ben diversa da quella nella Grande Guerra, appunto assai più ricordata). Di fatto, però, quando in Sardegna vi sarebbe stata l’occasione di combattere i Tedeschi divenuti nemici, di fare la nostra Resistenza, si scelse di agevolare la loro ritirata: la Sardegna usciva in tal modo senza ulteriori danni dal conflitto e le truppe tedesche ad allora sull’isola potevano raggiungere quelle sulla penisola per combattere più efficacemente… la Resistenza.
Che ruolo possano aver giocato (e ancora giochino) sul pensarsi dei Sardi le dinamiche conseguenti al diverso contributo della Sardegna nelle due guerre mondiali, me lo chiedo ancora oggi.
Sa “genia” de sos Casula (sos “cèsares”) , de sos Cossigas (no isco, ma si b’at fizu, iscuset e no siat malu a cussentire) e de sos “segretàrios” de su PSd’Az., assumancu su chi at fontomadu Maninchedda (ma pesso – ammalaoza! – ca sinono sa ‘política’ de sos àteros puru no si tiat cumprèndhere) est cussa de su carpesce: zenia de cosa chi si no pudeschet ca est “car” pudeschet ca est “pesce”, ma sempre cosa guasta est.
Ma in d-unu logu de tzegos chie zughet un’ogru nachi est re e no pro èssere nàschidu che a Polifemo, ma ca bi s’àteru bi ndhe l’ant bogadu, coltivendhe in séculos de iscola assurda, a domíniu imperadore, s’ignoràntzia e innangarúmene de sos Sardos.
Forse il buon Solinas sta semplicemente anticipando i contenuti della sua tesi di laurea, honoris causa, in Storia che il Rettore di Sassari, a breve, gli attribuirà con grandi onori.
Relatore Prof. Razzi
“Ecco, alla luce di tutto questo, ciò che un Presidente sardista della Sardegna avrebbe dovuto dire è che la Sardegna si sente diversa e lontana da questa degenerazione dello Stato, della cultura e della politica, assolutamente distante dall’unica origine nobile della Repubblica italiana: la Resistenza.”
Sentirsi distanti da questa degenerazione dello stato e incompetenza della classe governante credo sia un sentimento che accomuna sia i sardi che gli italiani. Avere una classe governante che sceglie di costringere un nonno, un anziano vedovo a passare gli ultimi anni dietro i propri capircci perchè incapace di prendere nelle proprie mani la responsabilita cedutali dagli elettori di mediare e governare è veramente scoraggiante.
Ma se siamo qui a leggere il suo blog è perchè l’appartenenza sarda prevale su quella italiana. Il mio non saper parlare il sardo è un furto culturale dello stato italiano che difficilmente puo essere risarcito. La lingua va di pari passo con l identita, con l’autonomia l indipendenza; ma cio non toglie che io mi senta Sardo sin dentro il midollo.
Dal mio punto di vista un vero “Presidente sardista della Sardegna” avrebbe dovuto mandare il suo messaggio con l asensione dal voto per il presidente dello Stato Italiano. Assente ad ogni chiama. Invece che presentarsi e votare il suo successivo opressore. Ma aime di sardista il “nostro” presidente ha ben poco.
ciao Paolo , solo una domanda secca…ma davvero , in cuor tuo , ti aspetti qualcosa di diverso dalla misera mediocrità di tali nostri politicanti , con a capo , e degnamente , il nostro ineffabile mister presidente ?? ….
Pur consapevole dell’importanza della conoscenza e soprattutto della comprensione della storia, mi chiedo: ma dal punto di vista meramente politico che utilità ha richiamare la storia in questo modo? A una società perennemente distratta dalla rincorsa alle futili comodità del presente, che conosce a malapena fatti storici accaduti 2 o 3 mila anni fa come reminiscenza di letture fatte nel sussidiario delle elementari, che ignora totalmente i fatti dell’ultimo secolo, ma che gliene frega di sapere se il futuro Presidente della Repubblica sarà il “40esimo Capo di uno Stato nato in Sardegna 698 anni fa”? Non credo che l’orgoglio sardista dei sardi possa magicamente sbocciare in chi non ce l’ha o aumentare in quelli che ce l’hanno.
Forse è solo una frase nata dalla frustrazione di non riuscire a capire qualcosa nel nulla politico del parlamento italiano maldestramente esibito in questi giorni di noiose maratone televisive e radiofoniche, divertenti solo per i giornalisti ma tristi e patetiche per i nostri occhi e le nostre orecchie, e per la poca intelligenza che ci è rimasta.
Si l’aian fattas in d’unu muntonarzu cussas votassiones, s’aria fit pius pagu pùdida
Egregio Professore,
Lei ritiene davvero che ne valga la pena dissodare tele pelle asinina?