Definire tsunami la crisi che ha travolto il Porto Canale non è corretto. Non ne ha le caratteristiche. Lo sviluppo di uno tsunami, infatti, è caratterizzato da un tempo di preavviso molto limitato. Non si può dire altrettanto della crisi in cui versa ormai da tempo il porto industriale di Cagliari, prevista con largo preavviso. Ciò non toglie gli effetti siano stati devastanti quanto quelli di uno tsunami. A ripensare alle vicende che hanno portato al fallimento del Porto Canale, appare tutto abbastanza grottesco.
I nostri politici, imbellettati come attori per la serata degli Oscar, sotto i riflettori artificiali, sono apparsi quasi perfetti. Quando, però, si commette l’errore di tirare l’alba, alla luce del sole, il trucco mostra tutte le sue crepe. E i politici sardi che si sono avvicendati negli ultimi anni, di crepe ne hanno mostrate parecchie. Hanno interpretato benissimo il ruolo di attori passivi di fronte ad un porto industriale agonizzante, osservando con indifferenza quanto accadeva sotto i propri occhi e, spesso, ostentando superiorità verso una situazione che avrebbe dovuto essere affrontata con la massima delicatezza ed attenzione.
Dovrebbe essere normale per un uomo pubblico, in una democrazia funzionante, chiedere scusa e farsi da parte laddove la propria azione politica fosse fallimentare. Qui avviene esattamente il contrario. Più si hanno insuccessi e più si acquisiscono diritti per mantenere il controllo su un territorio che meriterebbe sempre politici seri, preparati e lungimiranti. Valvassini privi di quell’attitudine a vedere lontano, che consentirebbe di adeguare il proprio agire ai cambiamenti.
Diciamo la verità: in Sardegna i buoni politici sono rarissimi. Le responsabilità, nel crollo del Porto Canale, sono riscontrabili a tutti i livelli. Un porto per il quale nel 2007 era stato sottoscritto un contratto di localizzazione da 60 milioni di euro tra Ministero per lo Sviluppo Economico, Regione Sardegna e CICT che sarebbe dovuto servire per l’acquisto di nuove gru e per l’ammodernamento e potenziamento infrastrutturale della banchina, così da consentire l’arrivo di navi di grandi dimensioni, oltre l’impatto occupazionale con sessantuno nuovi posti di lavoro.
Nelle previsioni, il programma di investimenti di cui la societá CICT avrebbe dovuto farsi carico, si sarebbe dovuto concludere nel 2010. I soci sardi nel CdA di CICT, dal 2007 ad oggi, non hanno mai sentito il dovere di difendere il proprio porto quando la società terminalista di volta in volta giustificava i ritardi accumulati nella realizzazione degli interventi, in ragione della crisi economica internazionale o avanzava richiesta di proroga del termine degli investimenti.
Ritardi tollerati quando non avvallati da chi avrebbe dovuto difendere lo scalo da chi stava decretando la fine del porto di Cagliari per favorire altri porti. Nonostante nel 2010 l’intervento in questione sia stato oggetto di verifica da parte dei funzionari regionali, che si sono confrontati con gli organi societari della CICT, nessuno ha sentito la necessità di chiedere troppe spiegazioni. Una pacca sulla spalla e nuovo supporto della Regione Sardegna alla Società.
Quanto poi è accaduto negli anni successivi è tristemente sotto gli occhi di tutti. Un Porto così importante e prossimo all’agonia commissariato dal 2014 al 2017. Questo è quanto lo Stato italiano ha pensato di regalare alla nostra Sardegna: gestioni prive di buon senso accettate in silenzio dai politici isolani.
Come ci si può fidare di chi oggi fa proclami su ZES e Zona Franca Doganale, quando in 19 anni nessuno di loro si è mai indignato per il non avvio dell’attività per la quale era stata costituita la Societá Cagliari Free Zone, che avrebbe dovuto occuparsi della gestione, programmazione ed amministrazione della Zona Franca di Cagliari? E intanto il Comune di Cagliari, dopo anni di latitanza, grazie alla trascendenza del Sindaco Zedda, mette sotto tutela l’Autorità di Sistema Portuale sulla vicenda del Porto Canale.
Il Sindaco Truzzu, infatti, unica voce fuori dal coro, nei giorni scorsi ha scritto una lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, nella quale, ritornando sulla situazione del Porto Canale di Cagliari, rammenta “il contesto di grave criticità nel quale versa il compendio immobiliare più importante di tutta la Sardegna” e affermando che è precisa intenzione dell’amministrazione comunale “puntare sullo sviluppo, abbandonando le vecchie pratiche assistenzialistiche.
Il Porto di Cagliari ha tutto per essere un polo attraente, interessante e conveniente sotto il profilo commerciale, turistico, come cantiere specializzato nel rimessaggio di imbarcazioni da diporto anche di notevoli dimensioni”. In conclusione, “certo che le questioni poste abbiano una intrinseca validità e, in qualità di Sindaco di Cagliari e della Città Metropolitana, le chiedo di fare i due passi decisivi per garantire un futuro di benessere e di sviluppo per tutta la nostra Isola. Favorire il rilascio della succitata autorizzazione paesaggistica e accogliere la proposta di ZES che giace sul suo tavolo è per noi fondamentale”. Dove sono finiti tutti gli altri attori? Hanno forse creduto che con il raggiungimento dell’accordo per la cassa integrazione dei 210 dipendenti della CICT, fosse calato il sipario sul Porto Canale? Un sipario che, peraltro, non è calato tra gli applausi e che non si alzerà nuovamente per concedere l’ultimo inchino a chi ha dato vita ad un non spettacolo.
Melina noiosa e insipiente, direbbe Gianni Brera. Una cosa, però, va detta. I nostri politici sono dissimulatori abilissimi. Sanno perfettamente di essere inadeguati, di certo fanno il possibile per non darlo a vedere. Ostentano sicurezza e si ha quasi l’impressione che siano antisismici. Ma i cedimenti, quando ci si trucca per essere perfetti sotto le luci artificiali, appaiono impietosi sotto i raggi del sole mattutino. E le crepe si vedono tutte.