Prima abbiamo assistito all’assalto di Massimo Zedda al Presidente del Consiglio Pais: “L’on. Pais vuole reintrodurre i vitalizi per i consiglieri regionali” (questo e gli altri virgolettati sono riassuntivi delle posizioni politiche).
Poi abbiamo assistito alla risposta dentata del Presidente del Consiglio: “Non voglio reintrodurre i vitalizi e Zedda lo sa bene. Applico lo stesso sistema del Parlamento italiano, con le stesse percentuali e secondo i parametri varati dalla Conferenza delle Regioni, che genera una pensione di tipo contributivo”.
Poi abbiamo assistito all’azzannamento di Pais da parte del segretario regionale della Lega in Sardegna, l’onorevole deputato Zoffili, che ha redarguito e zittito il Presidente del Consiglio Regionale della Sardegna: “Non se ne fa niente. Nessuna pensione contributiva”.
Poi diversi consiglieri regionali del PD hanno timidamente preso le distanze da Zedda: “Non è come dice lui, però, cioè, insomma, vedremo, ma anche …”.
Infine è intervenuto il segretario regionale Pd, ex deputato, che si è schierato con Zedda e Zoffili: “Nessuna pensione perché noi siamo del Pd, noi siamo onesti, noi siamo puri, noi siamo l’alternativa”.
Senza dimenticare il sempre presente Gian Antonio Stella, l’italiano che ha saputo commercializzare e inferocire l’indignazione.
Per chi tutti questi si sono esibiti in questa rissa sanguinolenta e un po’ pornografica (dato il suo indugiare non sulla ragione, ma sulla pancia, sul dettaglio, sull’istinto elettorale)? Per l’elettore.
Ma non per l’elettore che vuole capire, no; l’elettore che vuole capire, l’elettore che legge e che studia è una contraddizione in terminis nel mondo moderno.
Nel nostro mondo l’elettore vuole ‘sentire’, aspetta la parola che lo accenda, vuole provare un’emozione, anche di ribrezzo, vuole assistere a una rissa tra potenti di cui lui possa sentirsi il giudice, vuole vedere chi picchia di più, chi interpreta meglio il suo sentimento di vendetta e di rivalsa. Tutti si esibiscono per questo nuovo Caligola.
Stando così le cose, non si dovrebbe più scrivere nulla, neanche questo articolo, perché tutto ciò che è ragionevole non incide, tutto ciò che è consapevole della intrinseca debolezza delle cose umane, è rifiutato; tutto ciò che combatte l’obbligo di iscrizione o al sadismo del dominio dell’uomo sull’uomo o al masochismo dell’appiattimento servile, tutto ciò che combatte questo abbruttimento dell’uomo verso il piacere perverso del dominare o dell’essere dominati è eresia sociale.
Perché dunque esporsi alla sconfitta della ragione?
Perché esporsi in parole e opere contro il nuovo Caligola che tutti nutrono?
La risposta è semplice: scriviamo perché rispondiamo, nostro malgrado e con tutti i nostri difetti, a una vocazione di verità e libertà, nonché di ostilità alla mondanità e alla ferocia del circo (di romana memoria).
E dunque, contro Caligola, e non contro i novelli gladiatori che suscitano più pena che pietà, cerchiamo di fare chiarezza sulla rissa in corso.
Primo punto da chiarire: l’impegno di un uomo in un’assemblea legislativa merita o no una indennità?
Secondo lo Statuto Albertino dei non rimpianti Savoia, no. Art. 50: “Le funzioni di senatore e di deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione o indennità”.
Secondo la Costituzione repubblicana italiana, invece, sì: Art. 69: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”.
Quando L’Espresso pubblicò una sua celebre inchiesta sui vitalizi, citò in apertura una frase di Calamandrei che parlò, in Aula, del sospetto che circondava (e circonda) chi svolge un mandato parlamentare di svolgerlo per i propri interessi personali, trasformandolo in un affare, una professione, un mestiere. Tuttavia, L’Espresso si guardò bene dall’andare a fondo (e chi ci va più? La profondità è come Dio, spaventa) e dal dire che nel suo discorso Calamandrei giudicava sbagliato il sospetto perché prodotto dai gerarchi del fascismo e riversato automaticamente e immeritatamente sui nuovi parlamentari. Non solo: L’Espresso non parlò dell’emendamento Calamandrei all’art. 69, che recitava così: “I componenti del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge, che può essere determinata in misura più alta per coloro che non abbiano altri redditi”. E come argomentava Calamandrei?
Così (lo riporto per i gladiatori che tra uno spettacolo e l’altro trovassero il tempo di leggere):
“Qui vi è un problema, che riguarda tutti noi: quanta parte della propria attività il deputato deve dare alla esplicazione del mandato parlamentare? Deve dedicarla tutta e inibirsi ogni altro lavoro, o è opportuno che egli continui ad esercitare la sua professione? E nel caso che vi siano deputati, i quali dedicano tutta la loro attività al mandato parlamentare, ed altri che invece ne dedicano soltanto una parte, perché continuano a fare i professionisti, è giusto che l’indennità sia uguale per gli uni che per gli altri? Vi sono certe professioni (chi vi parla è un avvocato e quindi non è persona sospetta, se egli stesso lo dice) per le quali tradizionalmente si ritiene, anche se non è sempre esatto, che l’esercizio del mandato parlamentare rappresenti un aumento di decoro e quindi di reddito professionale, quasi un complemento naturale della professione; in modo che dall’esercizio del mandato parlamentare, il professionista non solo non ha una perdita che meriti di essere compensata con indennità, ma in sostanza può alla fine avere un guadagno. Ma possono esserci casi anche più tipici: di uomini di affari, per i quali il mandato parlamentare costituisce una specie di biglietto d’ingresso ai Ministeri, per ottenere agevolazioni nella conclusione dei loro affari, che non otterrebbero se non fossero deputati. Si potrebbe arrivare anche alla misura draconiana di vietare ai deputati l’esercizio di qualsiasi altra attività.
E dunque, un padre dell’Italia, un ex partigiano, argomenta a favore dell’indennità contro la corruzione e illustra due regimi dell’indennità, differenziati a seconda del reddito in ingresso, più bassa per chi è più ricco, e definisce drasticamente il conflitto di interessi: chi fa il parlamentare non fa l’uomo d’affari.
Vi fu, però, chi, già da allora, disse che l’indennità non è una retribuzione, ma un rimborso per una carica onorevole. Leggetevi qui il dibattito (cito sempre le fonti per polemizzare con i giornalisti sardi che lo fanno veramente di rado).
Solo rimborso o indennità? A quale delle due opzioni fanno riferimento i gladiatori di Sardegna che hanno regalato a Caligola lo spettacolo di sangue dei giorni scorsi? Delle due, l’una: se si ritiene che l’attività di consigliere regionale, che è un’attività legislativa, meriti non un rimborso, ma una retribuzione, allora si deve spiegare perché si vuole negare che su quella retribuzione si possa maturare una pensione contributiva (poi si può ragionare sul quantum).
Se invece si ritiene che l’attività di consigliere regionale meriti solo un’indennità esentasse dei costi sostenuti, allora si deve spiegare perché non si prende l’occasione dell’ingresso in Aula della proposta di legge Pais e si elimina dalla retribuzione di consigliere regionale la quota denominata ‘Indennità’ (circa 3.000 euro netti mese) e si tiene solo la cosiddetta Diaria (circa altrettanti 3.000, esenti da tasse perché ristorativi dei costi sostenuti)? Invece mi pare si voglia l’applauso di Caligola per la propria maestria nel nutrire la pancia del circo con ripetute pulsioni di indignazione, ma non si voglia pagare le conseguenze logiche e morali delle proprie affermazioni di nutrimento del popolo.
Eccessi del passato e ragioni del presente Poniamo dunque che il nostro argomentare abbia indotto i gladiatori a fermarsi e riflettere (parola molto impegnativa di questi tempi) e che dunque si schierino tutti per riconoscere al consigliere regionale una retribuzione composta da indennità e diaria, come è ancora per i parlamentari italiani (lo ricordo per circoscrivere bene la posizione del segretario lombardo della Lega in Sardegna, unico parlamentare intervenuto in questa rissa sanguinaria celebrata in onore di Caligola).
Qui si deve registrare una differenza sostanziale: il Consiglio Regionale della Sardegna, durante la Presidenza Lombardo, abolì i vitalizi, perché sembrava che l’opinone pubblica, sia in Italia che in Sardegna, richiedesse che così fosse. Il Parlamento italiano, invece, li mantenne. Poi, nel 2018, accaddero due cose, volute dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle: la prima, la Riforma Fico, che pur mantenedo il vitalizio, lo calcolò diversamente a valere sull’indennità del Parlamentare; la seconda, la legge finanziaria dello Stato, che impose alle Regioni di adeguarsi al Regolamento della Camera e del Senato sui vitalizi secondo i criteri varati dalla Conferenza delle Regioni. La Conferenza ha varato i criteri e ha dato tempo alle regioni fino al 30 luglio. I criteri sono molto chiari: sui vitalizi già maturati si applicano i criteri Fico (largamente anticipati in Sardegna dalle riforme Spissu e Lombardo che avevano previsto e realizzato contributi quasi doppi rispetto al passato), incidenti più sul passato remoto che sul passato prossimo; sui vitalizi da maturare, la logica imporrebbe che se l’istituto è mantenuto dal Parlamento, che chiede alle Regioni di uniformarsi, dovrebbe essere mantenuto anche nelle Regioni. Invece, il parlamentare Zoffili, che percepisce di Diaria esentasse circa quanto percepisce tra indennità e diaria un consigliere regionale sardo che risieda a più di 150 chilometri da Cagliari, dice no. Dice no il parlamentare Zoffili che a norma delle regole Fico percepirà il vitalizio. Dice no l’ex parlamentare Cani, che a norma delle regole Fico percepirà comunque un vitalizio, seppure limitato alla sua limitata permanenza in Parlamento.
L’Italia che impone ma che non imita E qui arriviamo dunque a una domanda stringente: l’Italia impone alla Sardegna di adeguarsi alle sue norme, ma i consiglieri sardi non possono godere, anche e solo pagandoseli secondo le leggi italiane, degli stessi diritti dei parlamentari italiani. Non solo: i capi del maggior partito di maggioranza e del maggior partito di opposizione, godono senza imbarazzi di una prerogativa che negano agli altri alle stesse loro condizioni.
Quando noi abolimmo i vitalizi (e io ero e rimango anche per il varo della possibilità, per i consiglieri che avevano e hanno maturato il vitalizio, di potervi rinunciare recuperando i contributi versati), dopo aver ridotto le indennità e i rimborsi del 50%, tolto interamente tutti gli orpelli nascosti dietro formazione e rimborso spese, aumentati di quasi il doppio i contributi previdenziali, lo facemmo perché immaginavamo che lo stesse facendo tutta l’Italia, per affidare poi, mantenendo l’indennità del consigliere, all’iniziativa dei singoli la possibilità di costruire un banalissimo fondo pensione volontario.
Quando nel 2018 Fico ha fatto la riforma dei vitalizi della Camera, ha stabilito, lui e non altri, il rapporto più o meno di 1 a 3 (2,75) tra la parte versata dal parlamentare e quella versata dal Parlamento per i vitalizi dei parlamentari e nessun giornalista si stracciò le vesti, nessun capo politico disse che era indegno che il Parlamento versasse molto di più di ciò che versava un parlamentare. Quando la Conferenza delle Regioni confermò questo rapporto, nessuno, tanto meno in Sardegna, si contrappose al Presidente della Conferenza (PD) per averlo fatto.
Solo quando tutto questo fango di ipocrisia tracima in Sardegna, ecco che trova i gladiatori pronti a nutrire il basso ventre di Caligola.
La mia posizione è che chi fa il lavoro di legislatore e di rappresentante del popolo e lo fa bene, studia e non bighellona per bar e spuntini, non si trasforma in uno sbrigafaccende e faccendine, non si nutre degli slogan disponibili al supermarket dei luoghi comuni ma lavora e suda per avere un pensiero autonomo, critico, personale (come diceva Gramsci), studia le leggi proposte dagli altri e lavora sulle proprie, svolge in modo alto e significativo il ruolo di sindacato territoriale che oggi è ormai in capo alla politica, chi lavora seriamente merita una degna retribuzione e deve poter anche costruire, a sue spese nella stessa misura prevista dalle leggi per gli altri suoi pari, una posizione contributiva.
Invece no. L’Italia non abolisce i vitalizi come ha fatto la Sardegna, non la imita nella virtù, ma impedisce alla Sardegna di costruire, alle stesse sue condizioni, le posizioni contributive dei suoi consiglieri regionali. Chi interpreta questa posizione? Due parlamentari. Chi applaude? Chi coerentemente con le sue irragionevoli posizioni dovrebbe far retrocedere il ruolo di legislatore della Sardegna al rango di ruolo onorario, col solo rimborso spese. Questi sono i paradossi cui espone la società la ferocia del circo.