La morte di un papa, come quella di chiunque, meriterebbe un grande silenzio.
Quando ieri si è diffusa la notizia, credo che le persone di buon senso abbiano provato un senso di ammirazione per l’ennesimo papa che è morto sul campo di battaglia, ferito, acciaccato, ma moralmente in piedi, senza paura, senza chiedere pietà se non a colui cui la vogliamo chiedere tutti (nonostante Lui non lo pretenda).
Invece, dopo pochi minuti, le tv hanno cominciato a trasmettere le dichiarazioni di presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari, segretari di partito e via dicendo.
Che pena e che fastidio!
Dopo la bibbia al cazzullo, abbiamo dovuto assistere anche all’appropriazione mondana della morte del primo papa gesuita, leale fino alla fine con Dio e con la disciplina e il coraggio di sant’Ignazio.
Tutto si può dire di papa Francesco, ma non che non fosse radicalmente cristiano e questo a me basta molto.
Dire che del suo ministero rimarrà poco o nulla è una solennissima fesseria.
Forse è stato il papa che più di altri ha perdonato l’umanità e l’umano delle sue immani miserie. Non mi pare poco.
Forse è stato il papa che più di ogni altro ha denunciato che il sistema economico globalizzato è ontologicamente ingiusto, che la logica del profitto come motore dello sviluppo ha conseguenze catastrofiche. Francesco ha detto con chiarezza che se tutto è in vendita l’uomo è perduto.
Forse è stato il papa che più di tutti ha voluto difendere la terra dalla distruzione sistematica cui la stiamo sottoponendo.
Gli si rimprovera di essere stato iracondo, di aver fatto scelte sbagliate, di aver colpito innocenti, di aver usato due pesi e due misure per giudicare i potenti della terra. Tutto vero.
Io spero, però, che al mio miserabile funerale non vengano e non parlino coloro cui, di dritto o di rovescio, ho arrecato danno, quelli che ho deluso, quelli che sono stati vittime dei miei errori, quelli che non ho saputo amare, quelli che hanno conosciuto le mie bugie.
Invece spero che questa legione di feriti che sta dietro ognuno di noi, si presenti alle esequie di tutti coloro che oggi si impancano a giudicare quest’uomo che era interiormente un hidalgo di altri tempi, uno che ha attraversato tutti i crocevia battendosi con chi ne aveva voglia e soccorrendo chiunque gli sembrasse ne avesse bisogno.
Non tutte le stoccate e le carezze, gli schiaffi e le bende, sono stati ben dati o ben posti, ma l’intenzione di quest’uomo è stata un’intenzione leale.
Gli errori sono stati tattici, perché a mettersi nella mischia, a infilare il naso in banche e postriboli, non è che si possa mantenere molta lucidità, arriva un momento in cui si danno colpi a casaccio, spesso ingiusti, si scelgono momentanee compagnie sbagliate, si dice qualche parola di troppo.
Ma la strategia è stata santa, priva di interessi e di vanità personali, leale verso Dio e verso gli uomini.
Quando muore un hidalgo, per di più cristiano, radicalmente cristiano, per di più in piedi contro la malattia e i suoi demoni, la politica deve tacere, perché se parla, sporca.