di Paolo Maninchedda
Devo aprire un piccolo siparietto familiare: mio padre era democristiano da capo a piedi, in una forma quasi acritica legata alla sua opzione occidentale e filoamericana maturata nella temperie del 1943. Mia madre era sostanzialmente socialista, femminista in modo esigente, civilmente un po’ radicale. Mia madre era di Sassari, classe 1929, un anno di differenza con Cossiga (che non apprezzava) e con un amico che è scomparso l’altro giorno e di cui voglio parlare.
Il luogo di formazione sassarese di quella generazione era il liceo Azuni, definito da mio padre la più dura scuola classista che la terra abbia mai conosciuto.
L’amico scomparso è Nicola Tanda, anche lui figlio di Sassari (e Sorso) e dell’Azuni.
I ricordi più belli di Nicola sono stati firmati dal suo allievo prediletto Dino Manca e da Giambattista Piroddi.
Io non ho titolo a ricordarlo più di loro, ma voglio dire ciò che ho capito di lui parlando direttamente con lui del sistema politico sardo.
Nicola era un socialista libertario.
Chi erano questi socialisti, prima di vergognarsi dello stesso loro nome dopo tangentopoli?
Oggi i socialisti sono annacquati sostanzialmente dentro il Pd, ma per un lungo periodo hanno avuto un’identità culturale molto vivace in Italia, la cui cifra principale era l’antidogmatismo, questo sano anticorpo che dovrebbe immunizzarci tutti e che invece sta cedendo il passo alla solita debolezza di pensiero e di forza morale del sistema culturale italiano.
I socialisti erano ferocemente anticomunisti perché antidogmatci e libertari; per questo motivo erano ironici e competitivi con i cattolici, che ritenevano sostanzialmente privi di pensiero politico e solo grandi eredi della grande paura dei ‘rossi’. Per i socialisti veri il cattolicesimo non è una fede religiosa, è un’ideologia maturata dentro il cristianesimo; il cattolicesimo, per un socialista che si rispetti, era ed è un’escrescenza politica maturata su una fede religiosa.
Nicola era socialista fino al midollo. Disprezzava le egemonie culturali di partito insediatisi anche nella sua città e le ha combattute. Difficile dire se abbia vinto o perso, ma forse poco gliene importava. Certo è che molti suoi scritti erano pamphlet mascherati da saggi universitari (la disciplina non era il suo forte e non amava la disciplina metodologica che è indispensabile per fare carriera nell’Accademia), erano filippiche contro gli ideologemi, contro gli schematismi, contro lo spirito di branco accademico che faceva fare carriera ai sodali e azzannava i potenziali avversari. Lui odiava i processi ideologici ma anche i processi salottieri, la maldicenza sotterranea animata dalla competizione mascherata con la purezza ideologica.
Noi indipendentisti dobbiamo essere eredi del meglio della tradizione socialista: dobbiamo essere libertari, pluralisti, antidogmatici, tolleranti, ironici verso il potere come lo era Nicola.
Comment on “Perché quando muore un socialista non dicono che è stato un socialista?”
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Non ho mai conosciuto personalmente il Sig. Nicola Tanda, certo lo conosciuto in tante persone ben descritte in questo post, che, nella sua analisi condivido fino al midollo. Non c’è molto da aggiungere, se non che , probabilmente, si sono perse per strada tante energie ed intelligenze, in cambio di un “offerta politica” che è sotto gli occhi di tutti, con un aumento esponenziale delle diseguaglianze sia di pari opportunità che sostanzialmente di natura economica. Forse, è possibile, che la vitalità politica di persone con gli stessi ideali del Sig. Nicola, avrebbe contribuito a mitigarne gli effetti ormai al limite dell’intollerabile. Al netto del fatto, sia chiaro, che le responsabilità di larga parte di quella sciagurata dirigenza, al pari di altre di diverso colore politico, che non fà “mezzo gaudio”, sono inequivocabilmente condannate dalla storia, che con tutta evidenza non è finita!