Ieri mi ha colpito leggere l’accusa di “mollezza” rivolta ai Sardi da una giovane donna impegnata nella battaglia politica contro il Tyrrhenian Link e contro la superbia politica e culturale della Giunta e della maggioranza della Regione Sardegna. Al tempo stesso, rimango sempre deluso quando le tv intevistano alcuni esponenti della protesta che rivelano una credibilità, in termini di capacità di governo, pari allo zero. Slogan vecchi, parole sdrucite, evidente pretesa di conquistare il potere non per via parlamentare, ma per disordine sociale: un mix di sicuro insuccesso e di certa marginalizzazione.
La giovane donna, però, mi ha mosso. Ho pensato di pubblicare una pagina di Gramsci, che mi ha sempre guidato nel cercare di proporre una politica di alte ambizioni e di ferma opposizione alla corruzione così diffusa tra noi. Spero che possa aiutare a comprendere la posta in gioco e quindi a dare coraggio nel tenere ferma la differenza tra la politica del consenso comprato con soldi pubblici, del potere venduto a interessi privati illegittimi (quelli legittimi e capaci di generare ricchezza ci piacciono), dell’amichettismo pagato a centinaia di migliaia di euro l’anno, e la politica della costruzione di uno Stato.
Di questo, infatti, per me si è sempre trattato: o l’autonomismo si evolve nel progetto della costruzione dello Stato Sardo europeo che ci manca (e qui ci sarebbe molto da discutere con i tanti movimentini che lo immaginano più simile a Cuba che alla Gran Bretagna e che, in questo modo, lo affossano e trasformano in vagheggiata e fortunatamente inattuata utopia) o rimane ciò che è, cioè l’alibi del sistema oligarchico di un ceto per lo più parassitario, che vive degli stipendi e delle concessioni della politica.
Il movimento per l’energia deve trasformarsi in un movimento per la pulizia, deve raccogliere le firme per l’incompatibilità tra la carica di sindaco e quella di consigliere regionale, deve promuovere la legge che rende incandidabile per sempre il consigliere regionale che abbia cumulato due legislature o che abbia fatto il deputato o il senatore, deve modificare il sistema elettorale, lasciandolo maggioritario, ma togliendo gli sbarramenti.
Di questo deve trattarsi: non di proteste congiunturali, ma di modifiche strutturali del sistema politico.
Gramsci era un rivoluzionario e non riusciva a immaginare un processo politico che non divenisse anche un processo militare. Questa parte del suo pensiero è a me estranea e mi pare anche pericolosa e inattuale. Il resto del suo ragionamento, però, è illuminante.
Prego la magistratura arcigna, che soffre di psoriasi ogni volta che sente questi discorsi (e si gira dall’altra parte per il consenso comprato con le tabelline dei contributi ai privati inserite nelle leggi di questa Regione lercia di favoritismi) di prendere il muro e di seguirlo, in sardo. Ecco la pagina di Gramsci:
“Un esempio tipico che può servire come dimostrazione-limite, è quello del rapporto di oppressione militare di uno Stato su una nazione che cerca di raggiungere la sua indipendenza statale. Il rapporto non è puramente militare, ma politico-militare e infatti un tale tipo di oppressione sarebbe inspiegabile senza lo stato di disgregazione sociale del popolo oppresso e la passività della sua maggioranza; pertanto l’indipendenza non potrà essere raggiunta con forze puramente militari, ma militari e politico-militari. Se la nazione oppressa, infatti, per iniziare la lotta d’indipendenza, dovesse attendere che lo Stato egemone le permetta di organizzare un proprio esercito nel senso stretto e tecnico della parola, avrebbe da attendere un pezzo (può avvenire che la rivendicazione di avere un proprio esercito sia soddisfatta dalla nazione egemone, ma ciò significa che già una gran parte della lotta è stata combattuta e vinta sul terreno politico-militare). La nazione oppressa opporrà dunque inizialmente alla forza militare egemone una forza che è solo «politico-militare», cioè opporra una forma di azione politica che abbia la virtù di determinare riflessi di carattere militare nel senso:
1) che abbia efficacia di disgregare intimamente l’efficienza bellica della nazione egemone;
2) che costringa la forza militare egemone a diluirsi e disperdersi in un grande territorio, annullandone gran parte dell’efficienza bellica. Nel Risorgimento italiano si può notare l’assenza disastrosa di una direzione politico-militare specialmente nel Partito d’Azione (per congenita incapacità), ma anche nel partito piemontese-moderato sia prima che dopo il 1848, non certo per incapacità, ma per «maltusianismo economico-politico», cioè perché non si volle neanche accennare alla possibilita di una riforma agraria e perché non si voleva la convocazione di una assemblea nazionale costituente, ma si tendeva solo a che la monarchia piemontese, senza condizioni o limitazioni di origine popolare, si estendesse a tutta Italia, con la pura sanzione di plebisciti regionali”. (Quaderni del carcere, Quaderno 13, ed. Gerratana, vol. 3, p.1586).
Egregio Luigi, c’è chi vede solo da vicino e chi solo da lontano. Bisogna inforcare occhiali bifocali e riuscire a tenere unito il presente e l’orizzonte. Le riforme istituzionali hanno bisogno di un orizzonte e l’orizzonte deve accettare di procedere per gradi. tutto qui, nessun velleitarismo, a meno che non si voglia tacciare l’altro di conservatorismo illuminato.
È pienamente condivisibile la diagnosi sulla degenerazione del sistema politico sardo. Tuttavia, ritengo che la proposta di uno “Stato Sardo europeo” – pur rappresentando un orizzonte ideale di piena autonomia – nell’attuale contesto politico-istituzionale sia semplicemente velleitaria e rischi di distrarre dalle urgenti riforme necessarie per risanare il sistema democratico.
La priorità dovrebbe essere il recupero della partecipazione democratica attraverso riforme concrete e realizzabili, e il rafforzamento della società civile, partendo proprio dall’evoluzione dei movimenti di protesta esistenti (come quello sull’energia) verso forme più strutturate di impegno civico e politico.
Personalmente, continuo a ritenere che l’attuale deriva politica, le sue oligarchie e l’astensionismo siano il frutto di un sistema istituzionale sbilanciato a favore dell’esecutivo. Quest’ultimo, concepito per garantire la stabilità governativa, ha finito per produrre governi apparentemente stabili ma con una base di legittimazione popolare sempre più ristretta, riducendo significativamente la capacità di rappresentare nell’assemblea la reale complessità sociale ed escludendo di fatto le voci delle minoranze.
In questo senso, l’idea di trasformare il movimento per l’energia in un movimento per la “moralizzazione” della politica è strategicamente efficace e andrebbe indirizzata prioritariamente verso la riforma del sistema istituzionale, rendendolo immune allo sviluppo delle oligarchie e capace di favorire una più ampia rappresentanza degli interessi collettivi.
Sono la persona che ha scritto il post che ha ispirato questo articolo. Raccolgo l’ispirazione e la rilancio, riflettendo sul passo di Gramsci citato. Per come la vedo io, la mancata partecipazione popolare in Sardegna di cui mi lamento, è stata progettata e costruita già da tempo proprio per disinnescare in partenza la possibile formazione di un “esercito”, non necessariamente violento e militarizzato, che difenda in qualche modo i nostri diritti contro uno stato centrale che, di fatto, ci sfrutta e ci colonializza, privandoci delle nostre risorse e depredando la nostra isola da qualunque cosa gli interessi senza dare in cambio nient’altro che briciole.
Gran parte dei sardi sono troppo impegnati a raggiungere e mantenere gli obiettivi imposti dal sistema che li vuole mansueti e a capo chino, obbiettivi egoistici di apparenza, importanza personale, ma sempre più di mera sopravvivenza. Basti pensare che la nostra sanità è allo sfacelo. Potrei citare molti altri ambiti, ma anche solo questo basta per tutti. Che esercito si potrebbe mai prendere da un popolo che non ha neanche la possibilità di curare i suoi malati?
Si, abbiamo una Sardegna BIpolare nel senso psichiatrico … Da una parte Queli che vorrebbero una Sardegna CubPutinista ( in un recente atobiu indy in quel di Milis ho sentito ripetere per la seconda volta da un ex CR INDY che la Sardegna deve ambire al BRICS ). Dall’altra Queli che hanno una Sardegna da spartirsi con prebende consigliari, nomine alla Viva Solinasa 2nd version e tzeracature d’oltremare. Nel mezzo un misto di ignavi e, purtroppo, il meglio dell’intellighentzia, di accademici, di professionisti liberi, di imprenditori capaci di fare AZIENDA anche in Sardegna, tanti istrangius che hanno scelto la Sardegna per vivere e lavorare (come il mio occasionale compagno di stanza ucraino ) . Possibile che non troviamo un ‘centro d’equilibrio deideologizzato intorno ad un progetto di Nazione ,pragmatico,liberale e riformista . Cosa è che ci manca e ci blocca …il coraggio di andar via di casa ?
Povera Irlanda del Nord. Regno Unito, non solo Gran Bretagna, I suppose.
Dopo aver letto l’editoriale di oggi su Sardegna e Libertà, che richiama Gramsci, mi sorgono due interrogativi che meritano riflessione.
Avanzo una proposta per ognuno e una azione da portare avanti in modo chiaro e sintetico (spero).
1) interrogativo
*Perché non introdurre l’incandidabilità per chi ha già ricoperto certi ruoli?*
Proposta: Avviare una petizione per chiedere l’introduzione di una legge che impedisca a chi ha già ricoperto ruoli di sindaco o consigliere regionale di candidarsi nuovamente oltre 2 mandati (era in tema tanto caro ai grillini della prima ora, chissà se se lo sono scordati)
Questo potrebbe ridurre il rischio di carriere politiche perpetue e favorire un ricambio generazionale.
Azione: Coinvolgere cittadini e associazioni civiche per raccogliere firme e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di questa misura.
2) interrogativo
*Perché non imporre limiti ai mandati per tutti?*
Proposta: Inserire nei programmi elettorali dei partiti l’impegno a introdurre limiti ai mandati per tutte le cariche elettive. Questo garantirebbe che nessuno possa restare in carica per periodi troppo lunghi, promuovendo la trasparenza e l’innovazione.
Azione: Organizzare incontri pubblici e dibattiti per discutere i benefici dei limiti ai mandati, coinvolgendo esperti e cittadini per creare un movimento di supporto.