Ieri si sono svolte manifestazioni molto partecipate contro la proclamazione dell’indipendenza della Catalogna.
È risultato palpabile nell’opinione pubblica italiana e europea l’imbarazzo verso una situazione che era sembrata per giorni monolitica e che ieri invece è apparsa dialettica.
Il Corriere della Sera ha affidato il suo ‘fondo’ a Mario Monti, cioè ha delegato l’esplicitazione della sua posizione al professore della Bocconi ex Presidente del Consiglio, dopo aver pubblicato nelle scorse settimane commenti imbarazzanti per disinformazione e superficialità di Pierluigi Battista, ma anche aver ospitato un intelligente e argomentato intervento di Donatella di Cesare, che non so quanti conoscano ma che io stimo molto: docente di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, ha affrontato nei suoi libri temi scabrosi per l’Europa, tra i quali proprio quello dell’opportunità di superare l’idea della cittadinanza degli e negli stati-nazione europei come li abbiamo conosciuti, per aprirsi invece a una cittadinanza non nazionalista (posizione che condivido profondamente e che segna un solco profondo con i sovranisti italiani). Spesso quando penso a ciò che diciamo noi del Partito dei Sardi sull’essere indipendentisti democratici, pacifici e non nazionalisti, uso parole condizionate dalla lettura dei suoi libri.
Monti ha ricordato alcune parti del trattato dell’Unione Europea che è bene tenere a mente, perché confermano la nostra linea di costruzione graduale, pacifica e largamente condivisa del percorso dell’indipendenza della Sardegna. Che cosa ha ricordato Monti? Ecco il testo del trattato:
«L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine
pubblico e di tutela della sicurezza nazionale».
In poche parole, il trattato cristallizza anche gli ordinamenti amministrativi interni degli Stati membri. L’unica possibilità di modificarli è data dalla consensualità tra le parti. Mario Monti spiega anche il perché l’Unione ha queste caratteristiche: perché è nata per garantire la pace in Europa, per depotenziarne i conflitti che per mezzo secolo hanno avuto la capacità di coinvolgere tutto il mondo. L’Europa nasce riconoscendo e vincolando gli Stati, non i popoli, perché le guerre sono sempre state fatte dagli Stati e non dai popoli e occorreva imbrigliare gli Stati, prima legandoli a un trattato sulla produzione dell’acciaio, cioè sulla produzione delle armi (la famosa Ceca), poi vincolandoli a vantaggi economici e civili.
È chiaro che questa impostazione non regge più, ma ancora non ce n’è un’altra disponibile e ben costruita, mentre ciò che è vitalissima è la recrudescenza dei nazionalismi antieuropei, soprattutto nelle frontiere orientali che sono da sempre frontiere di guerra. Cosa alimenta i nazionalismi? Il burocratismo egemonico di Bruxelles. Che cosa imbriglia le esuberanze degli Stati, cioè i nazionalismi endemici? Un’Europa politicamente forte. Ma oggi non c’è e quella che c’è dunque supplisce al difetto di forza e di legittimazione politica e di controllo democratico con il dominio burocratico e con il controllo stringente delle politiche finanziarie attraverso la moneta unica e la Bce. Quanti in Sardegna hanno coscienza profonda di questo orizzonte internazionale da cambiare profondamente? E quanti hanno un’idea del grande sforzo culturale che è necessario per combattere questa sacrosanta battaglia che ci unisce ai milioni di giovani europei che vivono a Parigi come a Vienna o a Berlino, portandosi mille patrie nel cuore?
In questa situazione risuonano utili alcune parole dette e scritte tra il 2012 e il 2014 da Artur Mas, presidente della Generalita de Catalunya dal 2010 al 2015: “Si no et reconeix ningú, les independències són un desastre monumental” (…) “Si Catalunya es declarés un estat independent i no ens reconeguessin internacionalment, hauríem anat molt de pressa, potser hauríem guanyat, però no hauria servit de res” (trad. “Se non ti riconosce nessuno, le indipendenze sono un disastro monumentale. (…) Se la Catalogna si dichiarasse uno Stato indipendente e non ci riconoscessero internazionalmente, saremmo andati molto di fretta, forse avremmo vinto, però non sarebbe servito a nulla“. Ma poi aggiungeva una valutazione tanto profonda quanto pessimistica sulla ‘fretta’ come caratteristica ideologica e psicologica di chi ha “una mica de desconfiança respecte a la solidesa del poble català” (trad. “un po’ di sfiducia rispetto alla solidità del popolo catalano”).
Qualcuno obietterà sicuramente che è la posizione di un indipendentista moderato e liberale, ma qui il problema non è il variegato mondo delle posizioni politiche del sistema catalano, ma la profondità delle parole. I fatti gli stanno dando ragione. Egli aggiungeva poi un concetto molto significativo che sembra essere in sintonia con ciò che ha scritto la De Cesare: “Si Catalunya vota llibertat, Catalunya serà lliure. Catalunya es vol emancipar dels governs espanyols, però no vol posar fronteres. Estimem els pobles d’Espanya” (trad. Se la Catalogna vota la libertà, la Catalogna sarà libera. La Catalogna si vuole emancipare dai governi spagnoli, ma non vuole tracciare frontiere. Amiamo i popoli di Spagna“).
Adesso veniamo a noi, qui in Sardegna.
Anche qui abbiamo posizioni unilaterali e posizioni, invece, come la nostra, che costruiscono il percorso perché non si vada verso un isolamento unilaterale.
Noi siamo alleati con partiti progressisti non indipendentisti e parliamo con loro ogni giorno che Dio manda in terra di indipendenza, libertà, sviluppo, dialogo, condivisione. Lo siamo perché siamo certi che solo nel dialogo e nella collaborazione si costruisce l’unità della Sardegna.
Noi cerchiamo alleanze non come surrogati temporanei di una futura egemonia, ma come luogo di costruzione dell’unità dei sardi intorno al programma di un futuro migliore.
Noi abbiamo proposto una bozza di Costituzione della Repubblica di Sardegna per offrire un perimetro concreto di come potrebbe essere organizzato uno stato diversamente da come lo è oggi. Come si fa a convincere gli altri delle proprie buone ragioni se non si offrono con chiarezza gli strumenti per essere valutati nelle proprie proposte? Come si fa a parlare di diritti diversi, di doveri diversi, di ricchezze diverse e migliori, se non si offre un terreno di discussione?
Noi abbiamo sempre detto che con l’Italia bisogna passare a un rapporto competitivo, che si concretizza nella domanda che in ultimo abbiamo posto nel convegno di Siamaggiore: quale aumento dei poteri attuali della Sardegna siamo disponibili a costruire tutti insieme? Quasta domanda è accessibile a tutti coloro che sono privi di pregiudizi, dai progressiti senza aggettivi, agli autonomisti, ai federalisti fino a noi indipendentisti democratici.
Noi costruiamo dialoghi transnazionali. Quanto è attuale oggi, durante la crisi catalana, il tavolo sardo-corso-balearico, voluto con forza da noi durante la nostra presenza nella Giunta regionale? È attualissimo, andrebbe valorizzato di più, ma esiste ed è la dimostrazione di che cosa si ottiene e si può fare pacificamente, con calma e determinazione.
Noi non insultiamo mai nessuno. Il registro di certi interventi su di me e su di noi varia dal disprezzo alla contumelia, spesso da parte di chi poi non rischia mai in modo identificabile il giudizio dell’elettorato. Alcuni hanno fatto anche cose molto gravi, tanto gravi quanto inutili. I fatti catalani dimostrano che non si vince con le parole del disprezzo e della separazione funzionali all’affermazione di un’egemonia. Dividere i Sardi in liberi e servi non giova a nessuno. O si sta insieme, e non solo tra indipendentisti, ma con coalizioni molto ampie, o perde la Sardegna. Per questo motivo ho smesso di reagire agli insulti: verrà un momento in cui occorrerà che tutto questo finisca e quel momento ha bisogno di un percorso di decantazione e di dialogo più intenso dell’attuale. Intanto, noi ci confortiamo con le conferme della storia sui nostri programmi.