In questi giorni ho sofferto, come sempre mi accade quando arrestano un uomo e lo sbattono in prima pagina, qualunque cosa egli abbia fatto. La nostra giustizia si misura su Abele. La nostra civiltà su Caino.
So che quanto sto per dire irriterà tutti coloro che si sono fatti l’idea che De Giorgi sia colpevole e che abbia meritato l’arresto e la gogna.
Lo so.
Pago un prezzo altissimo, anche di importantissimi – nella mia vita – affetti privati molto dolorosamente venuti meno, per questa chiarezza, ma non posso evitarla: non riesco a godere delle disgrazie altrui, non riesco ad arrendermi alla prepotenza, né penso che tutto questo clamore sia coerente con la legislazione europea che sancisce che nessuno deve essere trattato da colpevole prima di un processo.
Non entro nel merito dei reati contestati all’ex Presidente della Commissione Bilancio del Consiglio regionale (cioè non entro nel merito dei soldi alla Pro Loco e dei quattro appartamenti che, se confermati in giudizio, sarebbero fatti gravissimi e meritatamente sanzionati) e mi pongo solo una domanda: perché De Giorgi è stato arrestato? Non vi erano altre misure interdittive per impedire la reiterazione del reato?
La domanda non è peregrina perché è la stessa che si è posto il Gip dott. Altieri: «Il pericolo [di reiterazione del reato] non può essere prevenuto che con l’applicazione di una misura coercitiva personale di natura detentiva, atteso che l’art. 289 comma 3 c.p.p. esclude la possibilità di applicare la misura interdittiva della sospensione e che misure non detentive non potrebbero impedire di sfruttare la ragnatela di conoscenze – fino a livelli elevati, dato che De Giorgi è riuscito per ben due volte a far approvare dalla Giunta regionale i provvedimenti di suo interesse – per commettere ulteriori reati».
Quindi De Giorgi è stato arrestato per la forza dei suoi rapporti politici e dei suoi rapporti all’interno del suo corpo di appartenenza: la Guardia di Finanza.
Il magistrato ha ritenuto che questa rete di rapporti fosse più forte di ogni altra cosa e dunque occorresse separare l’accusato dal suo sistema. Se ne deduce una consapevolezza atterrita della forza di questo sistema che, se a valutarla pericolosa è un magistrato – cioè una delle funzioni con più potere reale oggi in Italia – è da ritenersi più che temibile. Perché, allora, non raccontarla?
Gli articoli di oggi di Mauro Lissia sulla Nuova e di Francesco Pinna sull’Unione lasciano intendere, senza approfondire – e la materia è tutta nell’allegato 11 della richiesta del PM – che dall’indagine emergono tensioni non banali all’interno della Guardia di Finanza e relazioni non banali con ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza e con un vasto sistema politico, non sempre accorto e severo.
Sulle relazioni politiche di De Giorgi, i media hanno steso un grande silenziatore, come se per due volte un consigliere regionale possa riuscire a inserire i propri emendamenti in quelli della Giunta (cosa che li rafforza enormemente al momento dell’ingresso delle leggi in Aula) essendo un isolato.
Nelle cronache, De Giorgi, ormai ridotto a colpevole pubblico, è colpevole solitario di ogni cosa e tutto ciò che nelle sue azioni rivela un sistema (e dunque un clima che possa far dubitare del dolo) è stato depurato. O si vuol sostenere che solo de Giorgi abbia presentato e visto approvarsi emendamenti ad personam?
Ma scherziamo?
Questa è la legislatura degli emendamenti ad hoc e delle leggi ad hoc. O ci siamo dimenticati delle leggi a sanatoria delle posizioni di altissimi dirigenti regionali, con nomi, cognomi, timbri, francobolli e sigilli di avvenuta corroborazione?
Vogliamo ricordare l’emendamento milionario per un’associazione sportiva neo-costituita? E così tanti, tantissimi altri. Ma di questo non si parla. La magistratura ha preso De Giorgi, facendolo passare per l’unico cardo in un campo di gigli e fine della festa.
Ma il problema più grande è un altro: che cosa emerge dall’indagine, condotta da finanzieri, sulla Guardia di Finanza? Perché parlarne è un tabù? Perché non si parla di un fatto importante e di nessun valore penale, ma di grande valore civico? Perché si pubblicano i nomi e i cognomi di persone marginalmente coinvolte e non si racconta il fatto ben più rilevante di una Guardia di Finanza spaccata in due e divisa da diversità di comportamenti su cui la politica e la società devono poter discutere? Perché non si verifica se queste tensioni, di metodi, di concezione delle indagini, dei rapporti con l’autorità giudiziairia e con alcuni settori del mondo politico, riguardano solo Cagliari o sono generalizzate e diffuse in tutto il territorio regionale?
La risposta è semplice: perché si ha paura, perché finire in un rapporto di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza è un attimo, perché vi sono soprattutto sottufficiali che ormai vivono da sempre negli stessi luoghi, sono innervati nelle relazioni politiche e sociali del territorio e in quel territorio svolgono la delicata funzione di PG, perché se si è imprenditori e si entra in contrasto con un solo esponente di PG è facile finire subito subito in un’indagine fiscale e poi in un’indagine penale.
I giornali sono espressione dell’imprenditoria e dunque, mentre se viene arrestato un politico locale si applicano a dedicargli i titoli di apertura, se emerge un sistema di potere e di controllo esercitato grazie ai poteri fraintesi che l’ordinamento garantisce ai corpi di polizia, si trattengono i cronisti dal raccontarlo, li si fa procedere col freno tirato.
Se avrò cuore e salute, lo racconterò io, sempre che non mi applichino misure interdittive per impedirmi di svelare come un banalissimo luogotenente della Guardia di Finanza possa devastare impunemente, guidato dai suoi pregiudizi politici e dalle sue relazioni sociali, la vita altrui.
Alvar, capisco perfettamente il suo anonimato, perché la gravità della sua menzogna sulla gestione Meloni è talmente grave da poter consentire a Meloni stesso di citarla in sede civile e di chiederle i danni se Lei avessi il coraggio di firmarsi. Non c’è niente da chiarire sulla gestione Meloni, i cui dati di eccellenza sono lì, sotto gli aocchi di tutti, e possono essere comparati con quelli disastrosi attuali. Poi ci sono persone che pretendevano i privilegi e non i hanno avuti e che sono stati smentiti in tutti i gradi di giudizio, che magari hanno un’idea molto falsata del rapproto uomo-donna e del rapporto con le istituzioni, che possono blaterare della colpevolezza altrui per nascondere la propria.
Un pensiero assolutamente non condivisibile salva la parte della relativa alla gogna mediatica.
Si sa che di per sé una indagine penale è una piega che il presunto innocente sostiene senza possibilità di ristoro.
È ovvio che questa condizione non può essere aggravata dal clamore mediatico spesso distorto
Tuttavia l’articolo non è condivisibile nella parte in cui ritiene eversivo l’arresto preventivi. Dinnanzi a certi tentacoli l’isolamento sociale è l’unica cosa per evitare il peggio.
Se per un assurdo astrale si facesse finalmente luce sulla situazione sanitaria oristanese e sul sostrato che ha portato alla sua rovna post Meloni la misura cautelare criticata non solo sarebbe proporzionata ma anche giusta.
Con stima immutata
AlVar
Quindi de Giorgi e l’anello debole di una catena che serra l’ intreccio politico fra l’attuale giunta regionale, magistratura, giornali locali e corpi di polizia? Un bell’affresco!
Giuseppe, io non credo che De Giorgi sia una vittima della Giustizia. Credo lo sia dell’informazione e credo, soprattutto, che sia irricevibile la paura dei media verso un corpo di polizia.
La tua analisi, Paolo, è francamente condivisibile in toto. Francamente credo che De Giorgi sia vittima di invidie all’interno di una Guardia di finanza che spesso purtroppo ha espresso generali inquisiti e condannati per gravi utilizzi del loro potere. Se poi a ciò si aggiunge il malvezzo di condannare a priori un indagato privandolo della libertà e esponendolo ad una gogna pubblica indegna di un paese civile che invece consente ad altri, condannati, di circolare liberamente e magari proporsi a ruoli di grande rilevanza pubblica è vergognoso. È una storia che ahimè si ripete senza che chi è artefice di errori che ledono la dignità di persone poi riconosciute non colpevoli paghi per i suoi errori. Sic est