Oggi si può leggere sull’Unione Sarda, pag. 28, che un gruppo consistente di abitanti di Poggio dei Pini richiama la Regione ad assumersi la responsabilità sul ponte famoso di Capoterra, quello per il quale da assessore sono stato dileggiato, bassamente e insinuosamente accusato di aver favorito il progettista, sicuramente e latamente controllato da Carabinieri e Guardia di Finanza che, infine, non hanno potuto trovare niente a mio carico perché niente c’era, solo le chiacchiere che tanto piacciono agli investigatori da bar.
Oggi i cittadini chiedono alla Regione di assumersi le sue responsabilità, di decidere cioè, si legge, di scegliere tra protezione dal rischio idrogeologico e il paesaggio.
Io non credo che la questione sia da porre in modi così alternativi. Ci sono dati ineludibili forniti dai tecnici: lì il ponte deve avere una determinata larghezza e una determinata altezza e deve connettersi in sicurezza col sistema viario. Tutto il resto è discutibile e infatti, a suo tempo, venne anche discusso e ancora, a mio avviso, è discutibile.
Il problema è quando si hanno altri obiettivi oltre quelli, sacrosanti, dell’ambiente e della tutela dal rischio idrogeologico, come, per esempio, la competizione politica secondo le regole attuali che prevedono la possibilità della distruzione dell’immagine pubblica di colui, che a sua insaputa, si è scelto come avversario.
Oppure quando si ha una posizione ideologica, cioè aprioristica, come è accaduto a Olbia durante la prima campagna elettorale del Nizzi 1, quando ci si dichiarò contro il Piano Mancini senza avere uno straccio di evidenza scientifica che non funzionasse, ma con un apriori inspiegabile contro le vasche di laminazione. Adesso sono proprio curioso di vedere che cosa prevederà il Piano della Technital, cioè il Piano che, pur non precedendo e motivando la scelta politica, come avrebbe dovuto essere e sempre dovrebbe essere, nasce per giustificarla a posteriori, perché personalmente sono certo che non potrà che prevedere anche vasche di laminazione ma, guarda caso, spostate altrove rispetto a dove le prevedeva il Piano Mancini.
Nel frattempo Olbia guarda il cielo di novembre (e di marzo) e ha paura.
Ma sia chiaro, io non ce l’ho con Nizzi, io ce l’ho con chi in Regione si è rimangiato anni di lavoro tecnico, non politico, su un motivo infondato, quello dei materiali di scavo e ne chiederei conto all’Assessore del Personale, all’Assessore dell’Ambiente e al Presidente della Regione, cioè agli intoccabili di questa legislatura. Io ce l’ho con lo smantellamento della coerenza delle politiche e della gestione del rischio idrogeologico, silenziosamente sottratto dalla Presidenza ai Lavori Pubblici, che è la loro sede naturale, e affidato ai fidatissimi Enti Locali. Dove si tiene la mappatura dei canali tombati? Ai Lavori Pubblici. Chi controlla l’Enas, l’ente dei fiumi e delle dighe? I Lavori Pubblici. E invece: chi presiede il Comitato del Distretto Idrografico della Sardegna? L’assessore degli Enti Locali, su delega del Presidente. Chiedetevi chi sia il sub commissario per l’emergenza idrogeologica, cercate la risposta e spiegatevi tante cose.
Tuttavia, il Centrodestra sardo, la maggioranza del sottosoglia, che cosa ha proposto per il rischio idrogeologico?
Ha proposto Sgarbi, il retore della ‘capra’, cioè il dileggio senza contraddittorio, la parola intrattenitrice contro la pioggia.
Auguri!
Ad Arzachena, Monti e Porto Rotondo (non mi ricordo se questi comuni hanno oppure no presentato la mappatura dei propri canali tombati quando io feci il bando per realizzarlo) al prossimo temporale possono organizzare una bella presentazione di un libro con Sgarbi per fermare le acque che scorreranno in nome della loro superficialità.
A Capoterra, invece, potranno chiedere al critico di esibirsi direttamente in situ e fronteggiare col potere taumaturgico dell’insulto la forza mosaica delle acque. I Sardi continuino così, premino i giocolieri delle parole e della manipolazione delle masse e sfidino i nembi, avranno sicuramente un luminoso futuro.
Si riporta alla ribalta uno degli argomenti più emblematici di come il comune cittadino (non solo sardo) possa maturare “opinioni” ragionate sulle questioni di pericolo idraulico e idrogeologico, sopratutto quando gli si pongono tra capo e collo dilemmi su opere di difesa e di messa in sicurezza dei beni propri o altrui.
Su questioni del genere occorre saggezza, lucidità e una grande visione di prospettiva sull’uso del territorio, aspetto che complica moltissimo il problema della scelta delle opere, nella ricerca di un equilibrio tra necessità e interessi che non sempre (anzi, direi quasi mai) premiano le suddette doti.
Ma sia sulla questione (direi “locale”) del ponte di Poggio come sul piano per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua a Olbia, a prevalere è stata la vecchia “sospensione del giudizio” come se in tal modo ci sia sempre da guadagnare qualcosa mentre ormai sanno tutti molto bene che a perderci saranno sempre in primis i diretti interessati (spesso innocenti) per una banale questione di tempo.
Saluti
Enea, il problema, ma vedo che l’ironia non è stata colta, non è ovviamente il decentramento, ma Oristano. Il decentramento, poi, ha cambiato volto dall’avvento delle reti in poi.
No,no, non scherzo affatto! La questione dell’eccessivo potere tutto concentrato a Cagliari è di una tale evidenza che dichiararlo vergognoso è dir poco. Una buona pratica democratica è quella del decentramento, lo scrissi a scuola che avevo 17 anni e lo penso ancora oggi che di anni ne ho 62. Bruxelles e Francoforte in Europa lo stanno a dimostrare, Tallahassee e Salem negli USA anche.
Gli USA non sono più da tanto un buon esempio. Certamente la difesa delle regioni periferiche deve essere assunta dalla UE.
Cambiare le persone, istruire di più e meglio. Non dare la vestione della cosa pubblica agli incompetenti.
Enea, io ricordo bene: mai posto il tema della sovranità in alternativa a quello europeo. Quanto al trasferiemnto a Oristano, spero che tu scherzi.
Caro Paolo, non ricordo l’anno ma è passato tanto tempo (2002?). Eravamo 5-6 compagni di buone intenzioni e vi dissi che il problema non era l’indipendenza da Roma. Dissi che la Sardegna doveva fidarsi di Bruxelles perché in Europa dovevano trovare collocazione le cose sarde. Siamo al dunque: “ I sardi continuino così, premino i giocolieri delle parole”. I sardi comincino a ricercare indipendenza da Cagliari e dalle sue malefatte e sporche pratiche. Il prossimo candidato Presidente ponga al primo punto del programma di spostare la sede della presidenza a Oristano (tanto per dare un segnale molto concreto di cose da fare). Ricordo che negli USA le capitali sono decentrate dai grandi e più importanti centri di potere.
Buongiorno!
Porto Rotondo non è un Comune
La responsabilità sarà respinta indietro alle nuvole.
La nuova struttura amministrativa della regione Sardegna ( per intenderci quella con dipartimenti e segretario generale direttamente agli ordini del sergente) si è impantanata sulla paghetta proibita ai capetti in quiescenza , per cui molte direzioni sono vacanti,
mi chiedo, ma se dovesse piovere più di quanto preventivato, su chi verrà scaricata la responsabilità?
… mi dimandho sempre si no sunt cumportamentos de zente irbariada! O, si paret prus pagu grave, de timire e cambiare, de zente irresponsàbbile e mancari solu e sempre pronta a prànghere, a dichiarare “il lutto cittadino” e fintzas fàghere una Missa a corpus presente o a corpus isparidu, a pedire e sighire a ispetare e sighire a prànghere.
Si assumancus aimus chircadu de cumprèndhere proite semus goi (e de candho!!!), invetze de chircare votos pro Vincere! e isperare chi àtere, mancari solu istranzos in passera (chirchendhe votos o àteru), nos fetant su miràculu!
O semus ancora criaduras zoghendhe a mammacua…, a cuare. Ca pro fàghere tocat a ischire. Sinono semus abbunzendhe.