Le cronache di questi giorni dimostrano che sull’intervento dei 45 milioni per il sostegno alle aziende ovicaprine per la siccità avevamo ragione: il mondo non è più quello dei contributi a pioggia, perché questi non sono rapidi come si pensa e tanto meno sono innocui per le aziende. Una promessa è facile da farsi, ma la realtà poi rivela tutte le sue complessità.
Fa più e meglio una riunione ben fatta che una manifestazione. In piazza si può (e talvolta si deve) protestare, ma difficilmente si risolvono i problemi.
Noi, e io in particolare, siamo stati dileggiati nel mondo delle campagne per aver detto che la soluzione trovata per i 45 milioni non era stata ben pensata e che sarebbe stata pericolosa per le aziende: i fatti ci/mi stanno dando ragione.
Dal 16 ottobre si possono presentare le domande di richiesta di aiuto; da una parte c’è chi minimizza, affermando che basta compilare una semplice dichiarazione sostitutiva di atto notorio per accedere ai contributi, dall’altra ci sono le strutture amministrative della Regione e dello Stato che si sono autotutelate (e come avrebbero potuto fare diversamente?) e hanno costruito una procedura burocratica molto impegnativa per le aziende che, soprattutto, rivela tutte le loro drammatiche fragilità (alle quali nessuna politica ha posto rimedio, proprio per la logica dei contributi anziché degli interventi strutturali).
La procedura prevede che si alleghino alla domanda:
– le fatture del latte del biennio precedente ( non ci si fida, evidentemente, della dichiarazione da parte dei trasformatori, ma coloro che hanno speso di più in mangimi per sostenere o incrementare la produzione, sono costretti a certifcare un falso stato di salute, perché sono costretti a rendere visibile l’incremento dei ricavi ma non l’incremento dei costi prodotto dalla siccità);
– la dichiarazione della consistenza dei capi detenuti nella Banca Nazionale dati di Teramo (non commento questa follia degli albi sardi tenuti a Teramo per carità di patria, ma certamente essi non sono coerenti con la realtà delle greggi);
– il Durc in ordine (e qui si apre un vero disastro).
Il tutto deve essere presentato presso gli uffici territoriali di Laore.
L’argomento del giorno è infatti il DURC, “Documento unico di regolarità contributiva”; gli uffici non lo stanno chiedendo per un cavillo o per un vezzo, ma perché è espressamente previsto che lo si chieda dall’art.31, commi 3 e 8bis, del D.L. n. 69 del 21/06/2013. In poche parole vuol dire che prima di pagare Argea, o chi per lei, deve accertarsi della regolarità contributiva e, in caso di irregolarità, trattenere dall’erogazione la somma dovuta dal beneficiario per contributi non versati.
La nostra proposta per intervenire sull’emergenza siccità e prezzo del latte era articolata. La ripeto.
Sul prezzo del latte ovino: noi vediamo la Sardegna fortemente minacciata dal protagonismo sui mercati degli australiani. Pensiamo che la Sardegna debba reagire, riorganizzare profondamente i modi di esercizio dell’attività pastorale e debba muoversi unitariamente sui mercati. L’Unità dei produttori sui mercati non si realizza per legge, ma per convinzione, esattamente quella che manca. Abbiamo favorito notevolmente la nascita del Pegno rotativo, uno strumento che il Parmigiano reggiano usa ordinariamente da anni, in modo da vincolare i magazzini alle strategie finanziarie e di mercato (nessuno che dia il magazzino in pegno per i propri debiti è portato a svenderlo e, in questo modo, a tirare giù le proprie garanzie e il prezzo del formaggio).
Abbiamo detto, inascoltati, che serve un vincolante Piano dell’offerta sul Pecorino romano legato all’accesso premiante o penalizzante alla contribusione pubblica (chi non rispetta i patti non accede ad alcun contributo pubblico).
Abbiamo detto che è sbagliato e ingiusto lavorare sul latte ovino senza guardare a ciò che succede nel latte vaccino. I mercati aperti dall’uno non vengono aperti anche per l’altro; le strategie innovative che si applicano nell’uno sono in competizione con l’altro, gli aiuti dati all’uno sono negati all’altro. Così, si muore.
Sulla siccità: noi abbiamo proposto di intervenire attraverso una rimodulazione del Por e un rifinanziamento di almeno 20 milioni della misura 5.2, quella espressamente legata a fenomeni calamitosi e ampiamente rodata nelle procedure. Certo, questa misura non è ‘a pioggia’, non garantisce un contributo a tutti, ma interviene sulle aziende non sulle pecore, è più giusta e più calibrata.
Noi abbiamo proposto di caricare sulla Protezione civile i costi di distribuzione dell’acqua nelle zone non irrigue (perché diventa faticoso dimostrare che la siccità ha colpito aziende collocate in aree irrigue dove i Consorzi di bonifica hanno fornito acqua alle aziende che producono biomasse) e abbiamo proposto di rivoluzionare il sistema irriguo, passando dai grandi tubi alle strategie a goccia applicate per esempio in Israele (e gli israeliani sono venuti spesso in Sardegna).
Poi abbiamo proposto un intervento pubblico sui foraggi, misura delicata e da studiare nei dettagli, ma che in aree non irrigue ha la stessa giustificazione della fornitura dell’acqua da parte della Protezione civile.
Detto tutto questo, noi non pretendiamo di avere ragione, né diciamo che tutto ciò che hanno fatto e proposto altri è sbagliato.
Ci pare però urgentissimo incontrarsi e studiare le soluzioni migliori, piuttosto che continuamente scontrarsi o misurare le reciproche forze. Ci pensi la Coldiretti; ci pensi il Movimento pastori, ci pensino i trasformatori e i Consorzi: o si ha coscienza che bisogna stare uniti e essere molto competenti ed efficienti oppure il futuro è molto più insidioso che in passato.