Lessi Opinioni di un clown a vent’anni. Lo lessi per sfida: una mia collega lo aveva letto e io no; io leggevo Camus, lei Böll. Oggi non li legge più nessuno. Böll morì da lì a poco. Io ero rientrato dall’Africa da due anni, dal luogo che mi rivelò il mio terribile e ricorrente esprit de l’escalier, quel mancare della parola giusta al momento giusto e di trovarla sempre un attimo dopo. È ciò che il sardo esprime col proverbio: no est a si ‘nde pesare chitto, est a intzertare s’ora.
Heinrich Böll fu uno degli ultimi scrittori dotati di spirito religioso e di spirito critico insieme: odiava il rapporto fede e politica. E non aveva torto. C’è un vecchio libro da leggere in questi giorni, Resurrezione di Nigel Tom Wright. È una delle migliori indagini storico critiche condotte sulla resurrezione. Fa riflettere. Fa paura. Chi vuole sempre vincere legge Sun Tzu, o Machiavelli, o i tanti realisti che anche oggi sui quotidiani dicono che cosa bisognerebbe fare, date le condizioni, per governare, convincere, orientare, risolvere, in una parola, stare sempre ‘sopra’, perché ‘sotto’ si sta oggettivamente male. Come dar loro torto?
Chi invece vuol capire in profondità, non vincere, ma capire, non comandare, ma vivere liberamente senza darsi fastidio, non umiliarsi a chiedere, ma realizzare senza questuare, chi ha una domanda di senso per sé e per la realtà, si trova sempre dinanzi a un bivio drammatico: passare per la morte per ritrovare la vita, rinunciare alle cose per comprenderne il senso, uccidere il proprio istinto di dominio per trovare la libertà, perdonare per non diventare una maschera di potere e di superbia, abbandonare il lusso per capirne la volgarità, privarsi dei salotti per ritrovare degli amici, contrastare i prepotenti riservandosi di abbracciarli una volta disarmati.
Tutto vero, ma tutto estremamente faticoso se fatto per tutta una vita.
Si passa per fessi.
Eppure, per molti di noi, è impossibile fare il contrario.
Ci sono tre spazi nel mondo: la reggia, il retrobottega della reggia, dove cadono le briciole del re, e il deserto.
A tutti è capitato di sentire il richiamo del retrobottega e anche di passarci. Ma per molti di noi il deserto è vocazione. E ci facciamo male.
Proprio Böll diceva che il nostro è il tempo della prostituzione. Tutto in vendita. Tutto si compra. Tutto è strategia. Non si sa per cosa si vive, si sa come sopravvivere vincendo o perdendo o vincendo un po’ e perdendo meno. Ma comunque ci si vende.
L’unica certezza di cui posso essere orgoglioso è che, seguendo l’esempio di altri, sono arrivato anche a questa Pasqua di prostituzione senza vendermi, né ai miei demoni (che sono fortissimi) né ai potenti. Una piccolissima soddisfazione da deserto. Sto al mondo senza niente, ma mantenendo viva la domanda di significato che sento mi rende vivo.
Auguri ai lettori.
Augurios mannos de bona Pasca manna!
Bi est chie abarrat tostorrutu, in sensu bonu, e non cambiant e mai manchent.
A nos bider sanos e a largos annos chin menzus salute Paulu.
Grazie per la tua testimonianza di rientrato in questa nostra terra di resistenza all’andar via, per prenderci cura del nostro presente e del futuro che si spera sarà di tutti.
Buona Pasqua
Tanti auguri professore ,
In quel deserto , non sei solo !!!anche altre anime oneste ( forse inquiete) trovano spazio per pensare e vivere serenamente .non è vero che non ci piace la reggia o almeno il retrobottega ,ci piacerebbe si!!!!! Ma il prezzo da pagare nella nostra coscienza sarebbe troppo alto e perfino insopportabile: meglio il deserto !!!!!
Buona Pasqua a tutti
Auguri Paolo, vita lunga e serena.
Interessanti riflessioni, ne ho preso alcuni spunti utili x me.
Buona Pasqua 🐣
«Pasqua di prostituzione»!
Ma «no est donzi die Pasca»!!!
(e chie cheret sa «pasca» donzi die abbisumeu no ndhe connoschet manc’una, ca sa «prostituzione» est cosa de donzi ‘santa’ die e note!)
E si est «Tutto in vendita. Tutto si compra.», intantu tio nàrrere chi custa est una impressione e no sa realtade (su male chi faghimus est ‘iscandhulosu’ e própriu ca EST MALE, ca andhat e faghet àteru male.
Ma su bene chi si faghet e chie lu faghet no betat su bandhu, e si no est cosa istraordinària meda est fàtzile chi pagos e pagu ndhe faedhent; sa cosa peus est chi custu «Tutto» est invetzes nadu de nois, semus nois, semus sa zente e no sa cosa chi bi est in natura o artefata chi no tenet de ischire perunu proite, cal’est su sensu de su èssere sou; custu «Tutto»est sa zente abbassiada a su ‘ruolu’ e ‘funtzione’ de cosa, merce, pecunia, totu valutados in dinari àter’e «Sardi venales» de cudhu iscabiladu de Cicerone (e goi fintzas sos chi faghent bene e sacrìficant e mancari morint puru faghindhe e pro fàghere su bene, abbassiados a cosa, merce si no “vendibile” sempre “comprabile” e meda fata a fura, abbassiados a cosa peus e a prus pagu de sos animales. Mentres chi nois, totu su chi est vida e prus propriamente sa zente, su sensu no lu depimus chircare in sas cosas, ca no semus cosas.
E Pasca (manna o minore) at a èssere solu cambiamentu lassendhe s’ossessione, machine e asuria e dannu de su “AVERE” a donzi e calesisiat costu e prus de donzi bisonzu pro “ÈSSERE” chi tenet sensu.
Bonas Pascas a totugantos, de resurretzione, ca est sa vida.