Se facciamo un’analisi dettagliata delle amministrazioni comunali della Sardegna, scopriamo che il partito di maggioranza relativa in realtà è il civismo.
Un tempo le liste civiche erano il risultato del mascheramento dei partiti tradizionali in realtà troppo piccole per uno scontro tra sigle e schieramenti. Oggi, invece, l’unico modo per unire i paesi sembra essere la creazione di bandiere neutre, locali, programmatiche, perché tutte le altre sono state consumate o non sono più ritenute credibili.
L’anima ricorrente di questa realtà frastagliata è l’appartenenza ai luoghi, alla storia e alle persone, senza però riuscire a dare a tutto questo il nome che merita: Nazione Sarda.
Perché questa inibizione? Perché questa paura? Perché l’unico modo per riuscire a stare insieme sembra essere non avere alcuna identità definita, piuttosto che avere un’identità nazionale.
Dobbiamo fare uno sforzo di cambiamento. Dobbiamo collocare il civismo dentro la responsabilità che lo ha fatto nascere, cioè l’assunzione piena della responsabilità del proprio futuro.
Ne parlerò con i sindaci che conosco: bisogna creare un luogo politico dell’unità, perché non esiste alcun soggetto politico importante che decida per esistere di non avere una bandiera. Bisogna trovare la bandiera che tutti possano riconoscere. Diversamente, si sta da arresi sotto una bandiera bianca.