Oggi L’Unione Sarda, nell’ambito della campagna contro i parchi eolici in mare, ospita un articolo di Luciano Uras, che fa quello che si sarebbe dovuto fare da giorni: attacca la Giunta regionale per inerzia.
L’attacco alla Giunta diretto, chiaro, seppure educatissimo, viene portato dunque da un ex parlamentare, perseguitato dalla attuale Giunta regionale che, al suo rientro al lavoro lo ha messo in un sottoscala, condannato da una magistratura cagliaritana con la capacità di riconoscere l’assenza di dolo solo a quelli nati sotto i cavoli degli Is de nosu, cioè viene portato da un uomo adulto e ferito che non si è arreso, non certo dai Riformatori o dai Salottieri, quelli delle battaglie di popolo per intitolare le aule a Cocco Ortu.
E dunque fissiamo un punto fermo: se davvero si vuole difendere la Sardegna dall’assalto sui mari, non si può contemporaneamente fiancheggiare una Giunta di così basso livello come quella in carica, tacendone i clamorosi insuccessi e gli indecorosi costumi politici, proteggendo e vezzeggiando la Coldiretti sua alleata, nascondendo il disastro dei trasporti, tutelando sempre e comunque Terna e Enel, ignorando o valorizzando, a seconda dei casi, gli scempi ambientali. Se l’assalto ai mari della Sardegna è vero (come è vero), la sua denuncia ha un che di ambiguo che attende di essere chiarito. Speriamo di essere capiti. Non contestiamo la bontà delle battaglie, ma la loro profonda intellegibilità. Speriamo, per essere capiti, nella saggezza dei generali piuttosto che nell’astuzia dei capitani.
Se poi il vero obiettivo è provare, invece, a creare un sommovimento popolare dei sardi, estraneo agli schieramenti italiani, fondato sulla ecosostenibilità, e con questo presentarsi alle elezioni con nomi nuovi, beh, sarebbe un programma ambizioso, peraltro già tentato da importanti figure del capitalismo sardo, ma necessiterebbe di trasparenza. Se lo si vuol fare, lo si dovrebbe dichiarare e sarebbe un bel dichiarare; questo sì che aprirebbe una discussione senza peli sulla lingua. La comprensibilità delle azioni, ricordiamocelo, è sempre proporzionale alla trasparenza delle intenzioni (e per questo io continuo a dichiarare il mio ritiro dalla politica attiva a favore di una pura e semplice militanza civile e culturale); se si vuole squarciare il sottile strato melmoso dello stagno sardo, programmare una discesa in campo rivoluzionaria non è certo una cattiva intenzione, a patto che si indichino chiaramente valori, rotta, mezzi e compagnia.
Infine un’osservazione: la grande truffa morale dell’insularità in Costituzione (brutta copia dei referendum per l’abolizione delle province e dei consigli di amministrazione degli enti regionali, promossi dai Riformatori con l’aiuto indispensabile dell’Unione e traditi clamorosamente da questa Giunta) sta svelando in questi giorni tutta la sua pomposa e inutile vacuità.
L’insularità in Costituzione non serve a un fico secco per difendere la Sardegna dall’occupazione sbagliata dei suoi mari; l’insularità in Costituzione non serve a nulla rispetto alla questione decisiva per i sardi, che è questa (come la questione delle pale a mare sta confermando): chi decide per i Sardi?
L’insularità in Costituzione è l’ultima trovata di chi non voleva e non vuole che la questione sarda sia riconosciuta per ciò che è, cioè una questione di poteri (negati ai sardi dall’ordinamento dello Stato italiano), e venga invece sempre declassata a una questione di ritardo e di scompenso economico. I costi dell’insularità erano già stati calcolati dal Krenos; una sintesi dei costi era stata già consegnata al governo Renzi da Pigliaru e Paci. Bisognava sedersi e aggiornare il Patto per la Sardegna, ottenendo le compensazioni pari ai costi aggiuntivi sostenuti, invece chi si è seduto col governo ha distrutto in modo irreversibile il Patto per la Sardegna (ma questa è un’altra storia).
Invece, a fronte della durezza nuda e cruda di queste verità, si è preferita l’attività autocelebrativa della borghesia cittadina, che un tempo produceva ricchezza e oggi vive, giustamente, di pensioni, e che non vuole fastidi, ma sente la necessità di sentirsi e apparire impegnata, rigorosamente in cose non divisive, perché non decisive.
Tutto questo, però, ha una conseguenza: quando si droga il pubblico a partecipare a cose tanto piacevoli quanto inutili, è facile che quando si fa l’appello per le utili non si riesca a riempire la classe.
Dico tutto questo con un po’ (più di un po’) di dolore, ma era giunto il momento di dirlo.
Risposta ad Alberto: il sistema elettrico nazionale è alimentato da tutte le fonti possibili (rinnovabili e non rinnovabili) di tutte le regioni italiane e in parte straniere, come Francia e Svizzera. Va visto come un sistema solidale che deve fornire energia dove serve, e non come un sistema “locale” per cui l’energia prodotta in Sardegna deve rimanere in Sardegna, e guai se va fuori (Sicilia? boh, può essere, ma penso anche Valle d’Aosta e Lazio)
Risposta a Mario: forse è vero che dalla costa le pale saranno quasi invisibili ma bisogna tenere conto della possibile modifica delle correnti e delle diverse rotte che le navi in transito dovranno seguire. Ma soprattutto il problema è un altro: l’energia prodotta sarà destinata alka Sicilia, cosa c’entriamo noi? Cosa ci guadagnamo come sardi? Sento puzza di affari sporchi e di mafie varie.
Mi scusi, ma quale sarebbe l'”assalto ai mari sardi”?
L’eolico offshore (a 35 km dalla costa, ripeto: 35) ha ricevuto il plauso delle associazioni ambientaliste, WWF, Greenpeace, Legambiente, che su queste cose non fanno mai sconti a nessuno. A quella distanza dalla costa non si vede nulla, quindi da escludere danni di “immagine” al turismo. Ma poi è ridicolo che una regione che ha provato a stravolgere il piano paesaggistico per cementificare fino alla battigia ora scopra inesistenti problemi ambientali su questo progetto. A me sembrano le solite posizioni ideologiche.
Su «principio di insularità in Costituzione» est solu su “argomento forte”, “vincente”pro si candhidare a onorevoli o senatori de istipendhiare pro sighire a pistare abba a benefíssiu (e fintzas a físsiu) de sa Sardigna e a onore personale.
E poi, ite «principio» est custu de sa «insularità»? Chi pro èssere postos in contu cun sa matessi dignidade, diritos e doveres, tocat a èssere o bastat a èssere un’ísola? Si est gai importante tocat a lu propònnere a “integrazione” de sa Dichiaratzione Universale de sos Diritos Umanos.
E depet èssere fintzas chi cudhos innorantes chi ant fatu cudh’istratzu de leze “costitutzionale” n. 3 de su 26 de frearzu de su 1948 no ischiant ancora chi sa Sardigna fit un’ísola (o cheret nàrrere chi cussa leze nada e iscrita “costituzionale” est imbetzes fora de sa Costituzione della Repubblica Italiana, est gai una cosa aprovada a sa me ne frego).
Abbisu meu los candhidamus pro che los pigare prus in artu custos campiones de sos… principi. Pessade cantas ísolas b’at in su mundhu!
Concordo sull’utilità del principio di insularitá in costituzione, perché in tutti questi anni sarebbe bastato lottare politicamente per rendere “vivente” il terzo articolo, realizzandone i principi in favore della società sarda traducendoli nella realtà legislativa e nella pratica sociale. Scrivere le norme costituzionali è un compito facile, da salotto parlamentare direi. Mentre farle vivere richiede tempo, lavoro, competenza, determinazione e abnegazione, tutte qualità rare o assenti da tempo in consiglio regionale.
Una inutile battaglia quella dell’insularita’ mentre non ci si rende conto che i poteri fiscali sono tra quelli più importanti