Oggi i giornali riescono a dire la verità (Più La Nuova che L’Unione che fa un buon articolo e un titolo a fuscello di cane scappato) e raccontano che sono troppi i testimoni, ormai, che al processo per l’inchiesta Ippocrate dicono “non ricordo” o addirittura, come è accaduto ieri, “non ho mai detto queste cose”.
Questa è la terza volta che accade in udienza.
Finalmente i cronisti la registrano come un fatto imbarazzante.
L’odio verso di noi, e verso di me in particolare, di alcuni giornalisti non riesce a prevalere su una realtà imbarazzante.
Non a caso, qualche avvocato comincia a chiedere chi ha sovrapposto nelle dichiarazioni di troppi testimoni una patina politico-ideologica alla realtà dei fatti; chi ha voluto costruire il racconto di una presunta attività di partito volta a violare la legge, per la quale chi aveva la responsabilità del partito non è indagato e che, alla prova dei fatti, si sta rivelando una costruzione posticcia.
Se i giornalisti e il Gip avessero letto gli atti, sin dall’Ordinanza di custodia cautelare (con dentro la mostruosità giuridica cassata dalla Cassazione sulle modalità di assunzione degli interinali), con attenzione e con attente verifiche, avrebbero smascherato questa nebbia da pregiudizio politico che ha voluto aumentare la rilevanza di alcuni fatti e inventarne di sana pianta degli altri. Se i giudici rileggessero tutti gli atti e riascoltassero tutte le intercettazioni, forse riaprirebbero anche altri processi e si chiederebbero “Perché?”. Capire il “perché” è decisivo in questa come in altre vicende oristanesi (sono molto curioso di vedere se i giudici cagliaritani andranno fino in fondo ad accertare la verità sulle indagini su don Usai).
Per oggi, e solo per oggi, un plauso ai giornalisti e alle redazioni: cronache e titoli giusti. Finalmente.
Sento che l’aria sta cambiando.
Mio padre diceva:
Fusse che fusse la vorta bona?
Fa paura pensare che vi siano persone capaci di dire il falso per far male a qualcuno. Non stupisce.