Cristopher Nolan non è mai banale, neanche questa volta, ma come suo solito ha voluto girare tre film in uno.
Questo film si apre con una banalità: l’evocazione di Prometeo, il titano amico dell’umanità che avrebbe rubato il fuoco agli dei per regalarlo agli uomini e che per questo fu incatenato a una rocca per patire quotidianamente un supplizio epatico.
La scoperta dell’energia atomica non è stata il nuovo fuoco; è stata solo il primo passo rispetto alla conoscenza di come dal nulla sia nato l’universo. È il cerino, non il fuoco, ma gli americani sono epici e dunque devono visualizzare il mistero attraverso grandi immagini. Per uno scienziato, un problema è un sistema di forme che non si compone, ma lo scienziato sa che la soluzione è sempre semplice; per un americano, invece, o è un’esplosione o non è una soluzione.
Nolan ha scelto il modo più difficile per raccontare una storia: la sovrapposizione dei rapporti spazio-tempo.
La narrazione si apre sul filo della memoria del protagonista, ma subito arriva l’irruzione intermittente del momento temporale del processo maccartista cui Oppenheimer venne sottoposto negli anni Cinquanta. Solo lentamente lo spettatore avverte di possedere tutte le informazioni che servono per capire ciò che vede e sente e, in genere, questo accade quando il regista non riesce a introiettare la parte di contesto storico che gli serve.
Dei contenuti della pellicola, la parte più affascinante è quella che cerca di visualizzare le immagini dell’universo presenti nella mente dello scienziato.
La luce, la massa e la gravità: i buchi neri. Le stelle che collassano e si digeriscono da sole inghiottendo tutto ciò che erano e che le circondava.
Più interessante il mondo subatomico.
Un dialogo del film, tra Oppenheimer e colei che diverrà sua moglie è centrale, eppure marginalizzato. Riguarda i solidi nella nostra realtà, compresi i nostri corpi. Oppenheimer rivela (usando una verità tremenda per banali finalità seduttive) che la consistenza impenetrabile dei corpi in realtà è data da poca materia e tanto vuoto, tenuto insieme da un sistema potentissimo di forze. Lo sapeva anche Gustavo Rol, anzi, lui lo viveva. Lo sanno i tanti che in segreto, per non passare per pazzi, sentono la struttura energetica delle cose e, in pochissimi, la usano.
Buttato lì e non digerito il rapporto con Einstein per una incapacità del regista di comprendere come Einstein, ai tempi, fece parte per se stesso proprio per la grande diffidenza provata verso la politica in generale, che lui non capiva e che temeva moltissimo. Diciamo che Einstein non era ottimista quanto all’animo umano.
Troppo piatta l’interpretazione del protagonista da parte di Cillian Murphy . Stessa espressione dall’inizio alla fine: sguardo intenso e fisso e sigaretta tra i denti per tutta la durata del film. Non si registra un piccolo cambiamento anche quando recita nudo di fronte alla sua amante nuda. Un’interpretazione algida.
Il sesso, come sempre in Nolan, non è capito, è aggiunto come un corredo o un disturbo.
Per la prima volta in Nolan troviamo figure femminili ben caratterizzate e molto ben interpretate: la moglie Kitty (Emily Blunt), perfetto modello della donna colta, progressista americana, volitiva, fragile e combattiva, capace di un bellissimo dialogo-scontro con l’avvocato di accusa Roger Robb (interpretato magistralmente da Jason Clarke); l’amante della prim’ora Jean Tatlock (Florence Pugh), bravissima nelle rendere nello sguardo e nei dialoghi una figura drammaticamente risolta e delusa nel e dal suo impegno politico.
Grandissima l’interpretazione di Robert Downey jr. nei panni di Lewis Strauss, l’uomo politico americano a più facce che ordisce l’accusa contro Oppenheimer; uomo doppio e triplo, cortese, feroce, vendicativo e dissimulato, che l’attore riesce a rendere sempre diverso, come se di volta in volta prendesse il sopravvento il demone adeguato alla scena.
Altrettanto notevoli alcune piccole comparse di grandi attori, come quelle di Gary Oldman nei panni del frivolo e crudele presidente Truman.
Insuperabile il militaresco, ma intelligente, Matt Damon nei panni del generale Leslie Groves.
Insomma, un film da vedere, ma che lascia, come sempre, una sensazione di non finito, di tessera mancante, o di irrisolto che, forse, è la firma di Nolan piuttosto che il suo limite.
Andrò a vederlo accompagnato dalla terribile premonizione del misterioso e geniale fisico Ettore Majorana che un decennio prima scrisse che la fisica e i fisici erano su una strada sbagliata.
Dopo l’esperienza in Germania al fianco di Heisenberg, aveva forse capito il risultato finale degli sviluppi tecnici di quelle ricerche?
Per una volta non sono d’accordo con lei.
Ma in effetti quando si tratta di recensioni è una che ci si deve aspettare.
Non concordo sulla sul “troppo piatto” attribuito a Cillian Murphy, la cui interpretazione è stata invece magistrale, sotto molti punti di vista. Ha cercato al più di aderire pienamente al personaggio reale di Oppenheimer, che non si è mai caratterizzato per la sua espansività emotiva.
Parimenti, non ho trovato per niente difficile seguire la trama del film sin dagli inizi. Anzi, la sensazione di elementi sospesi non fa che renderlo perfetto in quanto ad assenza di tempi morti, perché lascia lo spettatore col fiato sospeso e sempre con la domanda “ah, fammi capire per bene cosa fa questo tizio ora”.
Che l’invenzione della bomba atomica sia stata un momento di passaggio e non vedo quindi una critica necessaria nell’ accostamento a Prometeo.
Non si può essere tutti d’accordo certamente. Un enorme numero di recensioni, paradossalmente, non concorda con lei in merito alla figura delle donne nel film: moltissimi dicono che, nei film di Nolan, continuano ad essere marginalizzate e considerate come mere aggiunte narrative (e su questo sono d’accordo per il ruolo di Jean Tatlock ma non per il figurone che viene fatto fare alla moglie nell’interrogatorio finale).