A tre mesi dalle elezioni regionali, e cioè nell’unica condizione ormai in cui in Italia si possa sperare di incassare un qualche risultato, il pressing dei sindacati per salvare Alcoa si fa insistente. Del resto non c’è tempo da perdere: le aziende che garantiscono gli appalti ai 350 lavoratori dell’indotto stanno già licenziando e gli oltre 500 dipendenti non sanno ancora se potranno contare su un altro anno di cassa integrazione da quando scadrà quella in corso il 31 dicembre. Giovedì a mezzogiorno ci sarà l’incontro al Mise, oggi i sindacalisti hanno incontrato a Montecitorio i parlamentari sardi che, trasversali e compatti, hanno garantito tutti gli interventi possibili.
E poi, c’è l’impegno di Guglielmo Epifani, leader storico della Cgil, ex segretario ponte del Pd, attuale presidente della commissione Industria alla Camera: sarà lui, così ha riferito oggi ai sindacati incontrandoli, a farsi carico della vertenza industriale più difficile in Sardegna.
Il problema è: che significa risolvere la vertenza Alcoa? Tirare a campare per un altro anno, ossigenandosi con scampoli di cassa integrazione e poi fra un anno sarà tutto da rifare? Certo in tempi così stretti difficile che si possa fare qualcosa che vada oltre il far fronte all’emergenza.
Eppure forse vale la pena di fare uno sforzo in più e giocare il tutto e per tutto: l’industria manifatturiera in Sardegna può avere un futuro se quel futuro, però, lo si progetta e costruisce. Difficile farlo capire a chi deve portare il pane a casa e comprare i regali per Natale ai figli, ecchissenefrega della politica industriale e dei piani d’investimento e dei progetti a lungo termine quando l’emergenza è mangiare. Ecco, appunto: sull’emergenza mangiare, e sulla ciclica elemosina che mette a tacere la coscienza, si sono costruiti i più grandi disastri in questa terra demolita dal tirare a campare.
I nostri parlamentari – da Cicu a Pili a Sanna e Cani, che oggi erano all’incontro – dovrebbero trovare il coraggio di dirlo: serve una svolta definitiva. O dentro o fuori. Perché non si debba dover scegliere, come a Taranto, fra vivere intossicati o morire disoccupati.