È stato pubblicato un libro, un po’ ruffiano – perché in fin dei conti cerca di acciuffare anch’esso ciò che contesta, ma comunque utile – sui nuovi strumenti della politica mondiale e, ahimè, italiana. L’ha scritto un professore dell’Università Statale di Milano, Giavanni Ziccardi, che però non è solo un accademico di legal informatics, ma tiene anche un blog su Il Fatto Quotidiano, è uno scrittore che predilige il mondo della resistenza informatica (nel 2011 aveva pubblicato per Marsilio Hacker. Il richiamo della libertà), è un appassionato di cinema, musica e scrive romanzi tra il giallo e il thriller.
Il nuovo libro si intitola Tecnologie per il potere. Come usare i social network in politica, Cortina Editore. Non l’ho ancora letto, ma mi ha incuriosito la recensione positiva che ne ha fatto Avvenire, che addirittura ne raccomanda la lettura a chi volesse candidarsi per imparare come si fa.
Avvenire sintetizza le tre regole auree da rispettare:
1) occupare subito lo spazio mediatico;
2) polarizzare la discussione
3) alzare i toni.
Personalmente insegno a fare il contrario:
1) lasciare spazio;
2) articolare la discussione;
3) non alzare i toni.
Sono un uomo di altri tempi.
Tuttavia, mi conforta un fatto: Ziccardi racconterebbe che la caratteristica principale della politicaccia ridotta a linguaggio e non a pensiero è la perdita di memoria: tutto dura un attimo, tutto può essere dimenticato, tutto può essere manipolato da una narrazione.
Non si tratta, a mio avviso, di perdita della memoria, ma di perdita della mente, cui bisognerebbe resistere.