Ieri sui social diversi pastori hanno postato foto dell’arrivo in Sardegna di agnelli vivi non sardi.
Nei centri commerciali delle città e nelle macellerie dei paesi diviene più probabile a Pasqua e a Natale comprare carne non sarda. La ragione è presto detta: noi produciamo agnelli prevalentemente sotto Natale, meno a Pasqua. In Italia si macellano poco più di 400.000 agnelli nel periodo pasquale e se ne importano altrettanti, perché il fabbisogno, in costante diminuzione, è di circa 800.000 capi. Una parte di queste importazioni raggiunge anche la Sardegna.
Come possiamo difenderci? Come possiamo aiutare chi alleva e vende in Sardegna?
Il Consorzio per la Tutela dell’IGP Agnello di Sardegna cerca di ripetere, da tempo, che dobbiamo stare attenti all’etichetta.
L’educazione alimentare dei sardi è una questione nazionale.
Importiamo tutto per tante ragioni, ma anche perché non esiste una vera cultura della responsabilità sia nel produttore che nel consumatore sardo.
Più siamo onesti con noi stessi, più ricchezza produciamo e lasciamo in Sardegna.
L’etichetta in questione deve specificare la tipologia dell’agnello (da latte, leggero, da taglio), il tipo di taglio e lo stabilimento di macellazione. Certo, molti mi hanno fatto notare che il fatto che un agnello arrivi vivo in Sardegna, come quelli fotografati ieri in ingresso nell’Isola, non protegge dal fatto che li si macelli in Sardegna, ma questi agnelli non possono avere il marchio Igp. Se si applicasse il marchio Igp Agnello di Sardegna a un agnello non nato e allevato in Sardegna, come prevede il disciplinare, si commetterebbe una frode.
Quindi, proviamo a realizzare e premiare le buone pratiche: guardiamo l’etichetta e compriamo sardo. La Sardegna si cambia così: mai più divisi.