di Paolo Maninchedda
In Sardegna bisogna introdurre lo streaming anche per i colloqui informali. È infatti tale e tanta la dialettica locale (spesso degenerata in litigiosità specializzata) che anche quando si fa soltanto il proprio dovere occorrerebbe che ci fossero prove documentali di come lo si è fatto.
Martedì alle ore 10, nella sala riunioni del 7 piano del palazzo di Viale Trento, ho presieduto un incontro con una nutrita rappresentanza del Consiglio Comunale e della Giunta del Comune di Sant’Antioco, presente il sindaco.
Avevo convocato la riunione perché giorni prima il Consiglio Comunale di Sant’Antioco aveva notificato alla Regione una delibera con cui il Consiglio, all’unanimità, manifestava l’intenzione di svolgere un referendum consultivo sulla realizzazione del tunnel o del ponte sull’istmo che collega l’isola alla terraferma. Evidentemente, un Consiglio che indice un referendum mostra chiaramente un dubbio sull’opera da realizzarsi. Senonché la Regione, dopo un lungo percorso di programmazione territoriale iniziato prima dalla Provincia di Carbonia-Iglesias e poi sviluppato dalla Regione stessa col Piano Sulcis, e che data ad anni precedenti l’insediamento della Giunta Pigliaru, si trova oggi in fase conclusiva rispetto alle opere da realizzarsi, con scadenze esigenti (i lavori di tutte le opere del Piano Sulcis vanno tassativamente aggiudicate entro dicembre) e con percorsi tecnici già sviluppati e validati.
Dinanzi a una situazione così vincolante, non ho ritenuto di fare il solito discorso un po’ ricattatorio del prendere o lasciare.
Non mi è mai piaciuta una Regione che dica o si realizza quest’opera o si perdono i soldi. Prima di tutto si parla dell’opera e poi dei soldi.
Per cui, benché il bando per il ponte sia pubblicato – ma può essere sempre revocato – ho chiesto che il Consiglio comunale si pronunciasse con chiarezza sull’opera e auspico che questo pronunciamento formale mi sia notificato al più presto.
Perché è necessario che ci sia chiarezza? Perché non si tratta di un ponte, ma di una visione che è stata posta alla base degli interventi del Piano Sulcis per la parte che riguarda la portualità e la nautica.
Se si decidesse – come è ancora legittimo fare da parte delle comunità sulcitane – che non è strategica l’attraversabilità navale dell’istmo dalla gran parte del naviglio che naviga nel Mediterraneo, allora non sarebbe più necessario progettare un nuovo ponte ma basterebbe aggiustare l’esistente. Ma scelte così rilevanti non possono essere prese dalla Regione; devono essere chiaramente volute dalla popolazione.
Altro discorso è il rapporto tunnel – ponte. L’iter tecnico sviluppato, svolto secondo i canoni di trasparenza e partecipazione previsto dalla legge, boccia inequivocabilmente il tunnel – che poi in italiano sarebbe meglio chiamare trincea, perché per un lungo tratto sarebbe appunto una trincea a cielo aperto. L’ordinamento della Repubblica italiana – nella quale un baratto storico ci costringe a vivere ancora per poco – consente che a fronte di un’istruttoria tecnica negativa ci sia comunque un indirizzo politico che ne esige la realizzazione, ma lo stesso ordinamento prevede che altri organismi – dalla magistratura contabile a quella penale – possano obiettare che una tale scelta sia un abuso. Ci si muoverebbe in terreni politico-amminsitravi molto scivolosi che non mi appartengono.
Altro discorso ancora è la qualità architettonica del ponte. Attualmente è in gara un progetto preliminare; la Regione ha prescritto all’Anas un’alta qualità architettonica; inoltre, vi sono tutte le procedure di Via da realizzare, durante le quali è possibile e doveroso curare scrupolosamente l’integrazione paesaggistica dell’opera.
Detto tutto questo, non si fanno le opere pubbliche a dispetto di Dio e dei santi: il consenso del Comune è indispensabile (altro discorso si ha quando un’amministrazione comunale, per esempio, impedisce di rimediare a un grave rischio idrogeologico, aprendo un contenzioso sul pericolo per le vite umane di cui si assume interamente la responsabilità. Ovviamente, in questi casi il dissenso di Regione è un dovere da perseguire con grande determinazione).
Per cui, Sant’Antioco ci dica chiaramente – anche adesso, a fine procedimento – se vuole oppure no il ponte, come è normale che faccia un Comune sulle opere che lo riguardano.
Di tutto questo percorso, vedo e sento resoconti a dir poco di parte, per cui, data la specializzazione sarda alla lotta fratricida piuttosto che al dialogo, ho pensato bene di chiarire pubblicamente il mio pensiero. Ma continuo a pensare che serva lo streaming.