di Paolo Maninchedda
(foto da www.domenicoruju.it)
Non è facile, ma bisogna imparare a tenere lo sguardo su ciò che è essenziale. Viviamo tempi in cui, invece, ci si perde dietro ogni piccola cosa, ogni granello di sabbia viene ingigantito per un giorno e poi liquidato come se non esistesse il giorno dopo. Perdersi in questi labirinti effimeri del quotidiano è facilissimo: si può sprecare l’esistenza correndo dietro a realtà e simboli senza consistenza. È il difetto di chi guarda alla Sardegna come sommatoria di problemi la cui gerarchia è dettata dalla rilevanza che ciascuno di essi assume nei media. Questo tipo di persone sa poco di sé ed è continuamente definita dagli altri: la peggiore schiavitù che possa esistere. Oppure concepisce la propria vita come un insieme di battaglie quotidiane senza un filo conduttore, affidando il senso delle proprie azioni al tempo che passa, al ‘prima’ e al ‘dopo’, schiavo del presente, come direbbe Agostino. Ma se il corpo è condannato al presente, la mente è libera di concepire direzioni che superano gli istanti: la mente costruisce il racconto di noi stessi prima che accada e così costruisce il nostro orizzonte di senso.
Sto vedendo un dibattito politico sardo dominato dalla mancata visione dell’essenziale. Oggi abbiamo di fronte scenari difficili segnati dall’invasione pacifica dell’Europa da parte di una marea umana di poveri che scappano in cerca di libertà, di lavoro, di felicità. La Francia e l’Inghilterra vengono travolte a Calais dal loro cieco egoismo e, in emergenza, chiedono una politica europea sull’immigrazione. Troppo facile. Non si può giocare alla guerra in Libia senza conoscere la storia di quel Paese, senza sapere che lì non ci sono mai state le condizioni di una democrazia parlamentare all’occidentale, mentre ci sono sempre state matrici di egemonia etnico-tribale che si riattivano ogni volta che lo spazio del potere è vacante. Non si possono inseguire le pazzie americane sulla Russia e poi scoprire che per battere l’Isis in Siria occorrrerebbe fare un accordo con Putin piuttosto che con Erdogan. Non si può far finta di non vedere il clima di incertezza che domina nella nostra dirimpettaia Tunisia, perché se l’instabilità si impadronisse in modo parossistico di quel Paese, per noi, per noi sardi dico, il quadro si complicherebbe enormemente.
Io penso che uno degli aspetti peggiori del periodo autonomistico – su cui è in corso da anni un’operazione un po’ dilettantesca di beatificazione immotivata – è il suo provincialismo sulla politica estera.
Un’isola come la Sardegna, al centro del Mediterraneo, che sta dentro la linea di Schengen e dentro la Nato, deve capire la politica estera, deve frequentarla, non delegarla banalmente all’Italia che è un Paese esausto che ha accettato l’inibizione tedesca alla libertà di iniziativa politica fino alla consistente riduzione del proprio debito pubblico. Neanche i nostri cugini della nazioni senza stato europee possono esserci di grande aiuto. Scozzesi, catalani, baschi, sono stutte nazioni ‘continentali’ che non si pongono neanche marginalmente il tema del Mediterraneo. Noi siamo il Mediterraneo.
In più a me non piacciono per niente le troppe cure di Eni, Qatar, Emirati e quanti altri intorno al petrolio e intorno alla Sardegna. È un binomio, petrolio e Sardegna, che deve far riflettere in termini di sovranità.
Animato da tutti questi pensieri, ieri, mentre tornavo a casa, ho ascoltato alla radio ‘Non potho reposare‘ e ho provato una sensazione nuova e antica insieme. Non pensavo alla mia amata, pensavo all’inquietudine per la mia patria. Scoprivo che quel verso iniziale rappresentava benissimo la mia tensione interiore, il senso di perenne inappagamento, la dedizione alla causa che non costa fatica, lo struggimento per la terra, la storia, le persone, la distanza da chi volgarizza e banalizza tutto questo. Mi piaceva poi la condizione emotiva di determinazione non violenta. Il celebre e ormai scomparso ‘ingegner Altobelli’ del commando della BR che rapì e uccise Moro, disse in un’intervista a Sergio Zavoli che loro riuscivano ad uccidere in nome dell’ ‘astrazione’, ossia dello schema della storia e della lotta con cui leggevano se stessi e la storia. L’astrazione, cioè la forza dell’ideologia, riduceva gli altri a numeri e funzioni e li rendeva eliminabili senza alcuno scrupolo. Questo non può accadere a chi ama, cioè a chi fa politica senza odiare, a chi canta ‘Non potho reposare‘ unendo l’amore privato e l’amore pubblico. Noi non scappiamo con le ali dorate del pensiero di Verdi, noi non riposiamo amando: noi amiamo e cambiamo il mondo senza ammazzare nessuno. Siamo più forti e dureremo di più.
Comments on “Non potho reposare”
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Perché ogni volta che leggo ‘ste storie mi vien da piangere? il potere di Paolo! Sempre più alto
E infatti, caro Paolo, sarebbe bello che il nostro inno nazionale fosse proprio Non poto reposare.
https://www.sardegnaeliberta.it/un-punto-di-vista-biologico/