di Paolo Maninchedda
Ieri ero a Roma per ragioni d’ufficio. Ne ho riportato una sconfortante sensazione di decadenza e di disordine, di propaganda priva di saggezza. Noi siamo condannati a vivere in uno Stato, la Repubblica italiana, frantumato, tenuto insieme più dalla retorica che dalle istituzioni. Siamo ancora, purtroppo, alla partitocrazia: non c’è lo Stato, cioè il funzionamento ordinario delle istituzioni secondo le previsioni della legge. Al posto dello Stato c’è un gruppo di potere, più o meno largo, che si sotituisce allo Stato. Questa anomalia democratica si vede, si sente nei corridoi, si coglie nel disordine crescente, si avverte nelle scoperture finanziarie di tante chiacchiere, si registra nella stupida consegna di milioni di dati personali alla rete in nome della trasparenza (questa è l’ultima genialata di Cantone) quale è il cosiddetto Freedom of information act (Foia, un nome una garanzia che poteva venire solo da una cultura infoiata di giustizialismo), le linee guida per l’accesso civico (una norma sacrosanta che in Italia, ovviamente, si è trasformata in un grande sacrificio di privacy sull’altare della faciloneria politica), messo in consultazione pubblica nonostante, si legga nel sito Anac che il Garante per la Privacy ha qualche perplessità (e ci creu!): «Alla predisposizione del testo ha partecipato il Garante per la protezione dei dati personali. Il documento viene posto in consultazione pur in presenza di alcune riserve che dovranno essere sciolte, anche alla luce delle risultanze della consultazione medesima, al fine di perfezionare l’intesa prevista dalla legge». Cioè: il Garante ha detto che più dati personali si rendono pubblici e si immettono in rete, più la libertà e l’identità personali sono in pericolo. Ciononostante Cantone, per guidare come Mosè il prurito di tutti a saper tutto di tutti, ha avviato il débat public. Così gira l’Italia.
Dinanzi a un Paese drammaticamente a pezzi, riemerge nella campagna referendaria il vecchio vizio di voler convincere incutendo paura.
Ieri, mentre ero lì, le radio scodellavano nell’etere l’ennesima stupidaggine: se vince il NO va giù l’economia, lo spread, il debito, il risparmio privato ecc.
Io mi contrappongo da sempre a chi educa usando lo spettro della paura.
La paura è l’anticamera della violenza.
Per cui, da professore e da educatore, faccio un ragionamentino semplice semplice.
Se Renzi sostiene che senza le riforme lo spread va giù e l’Italia va a fondo, c’è da chiedersi: ma Renzi oggi ha o non ha le forze per fare grandi riforme?
La risposta è sì, come ha dimostrato di saper fare con quel mostro non ponderato che è stato il Job’s act.
Quali riforme servirebbero?
L’Italia ha tre grandi problemi: la crisi economica (non riesce a produrre ricchezza e lavoro), il debito pubblico che aumenta e la crisi mortale del sistema bancario evidenziato dal caso Banca Etruria (al punto che molti analisti sostengono, a mio avviso a ragione, che ciò che sta tenendo in piedi la Repubblica è il Quantitative Easing di Mario Draghi, cioè l’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea).
Il governo Renzi, che come ho detto ha la forza per fare le riforme che vuole, non è riuscito ad aggredire nessuno di questi tre problemi. Le risposte sono state, invece, gli 80 euro in più in busta paga, i 500 euro per l’aggiornamento agli insegnanti, e tante, tantissime promesse infrastrutturali. Nessuna riforma strutturale. Se si fosse logici, si dovrebbe dire che per dare una scossa all’economia si dovrebbe votare per cambiare il Governo che pur avendo avuto il potere di fare non è stato capace di fare alcunché sui temi più urgenti. Cioè, a termini di logica, il NO sarebbe il voto del cambiamento e il Sì il voto della conservazione.
Ma bisogna impedire che si ragioni! Bisogna muovere i cuori, non i cervelli! E allora si dice un’altra panzanata: se cade il governo l’Italia precipita. Purtroppo per i catastrofisti abbiamo l’esempio della Spagna, dove da un anno di fatto non c’è governo e l’economia va meglio. Chi lo va a spiegare alle tante cornacchie che da settimane hanno cambiato il piumaggio brunito ottimista (perché sempre sazio) dei rapaci con quello scuro dei corvi, che esistono esempi di cose che vanno bene senza dover pagare dazio a classi dirigenti improbabili che affidano intere regioni a proconsoli di varia estrazione, terminali scontati di tutte le lobby, energetiche, turistiche, alberghiere, finanziarie?
L’ultimo argomento dei pedagogisti della paura è che se vince il No si apre la porta ai populisti di Destra e che il populismo porta alla crisi economica più dura.
Mah! Io non ho mai conosciuto una Destra europea che un attimo dopo aver vinto le elezioni non si sia messa d’accordo col sistema economico e finanziario. Per di più che, usare argomenti contro il populismo mentre se ne fa un grande e spregiudicato uso nunc et semper in saecula saeculorum, ha qualcosa di infantile e di ridicolo.
La scelta di una sinistra progressista e riformista sarebbe dovuta essere quella della competizione col populismo di Destra sul fronte della giustizia, della riduzione delle disuguaglianze, dell’ampliamento della democrazia, della difesa delle libertà individuali dal mostro che è la Rete, della definitiva archiviazione del modello dello Stato unitario risorgimentale e non del suo rafforzamento, della riforma fiscale anziché della ‘conferma fiscale’ quale è il Decreto su cui in questi giorni il governo ha messo la fiducia. Ma così non è stato.
Per cui, rimuoviamo la paura dai cuori e dalle menti e teniamo gli occhi aperti.
Comment on “Non andate a Roma, rischio depressione: Foia, banche e prepotenza”
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E non solo a Roma la prepotenza….