di Paolo Maninchedda
«In chiave antimilitarista, nel quadro del tradizionale attivismo contestativo contro la presenza di strutture militari sul territorio nazionale, a fronte del tono minore che ha caratterizzato l’impegno dei comitati siciliani contro il sistema satellitare MUOS, si è rilevato un innalzamento della tensione mobilitativa in Sardegna, ove espressioni dell’antagonismo e dell’indipendentismo sardo hanno rivitalizzato la protesta contro le esercitazioni nei poligoni e nelle installazioni militari dell’Isola, reclamando la smilitarizzazione del territorio».
Siamo nel febbraio 2015. I servizi segreti italiani trasmettono al Parlamento la Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza per l’anno 2014. L’unica citazione dedicata alla Sardegna è quella che ho riportato in apertura. Essa sta all’interno del paragrafo, dedicato a «Dinamiche dell’antagonismoe campagne di lotta», lo stesso che si occupa dei movimenti anti Tav e anti Expo.
«In chiave antimilitarista, nel quadro del tradizionale attivismo contestativo contro la presenza di strutture militari sul territorio nazionale, a fronte del tono minore che ha caratterizzato l’impegno dei comitati siciliani contro il sistema satellitare MUOS, si è rilevato un innalzamento della tensione mobilitativa in Sardegna, ove espressioni dell’antagonismo e dell’indipendentismo sardo hanno rivitalizzato la protesta contro le esercitazioni nei poligoni e nelle installazioni militari dell’Isola, reclamando la smilitarizzazione del territorio».
Siamo nel febbraio 2015. I servizi segreti italiani trasmettono al Parlamento la Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza per l’anno 2014. L’unica citazione dedicata alla Sardegna è quella che ho riportato in apertura. Essa sta all’interno del paragrafo, dedicato a «Dinamiche dell’antagonismoe campagne di lotta», lo stesso che si occupa dei movimenti anti Tav e anti Expo.
I Servizi sono fonti di informazioni doppie per i più attenti: svelano ciò che realmente pensano loro, ma anche compiacciono il Governo, confermando ciò che si pensa nei luoghi della più alta responsabilità.
Adesso ricordiamo ciò che è accaduto nel 2014.
Prima di tutto, il 19 giugno il Presidente della Giunta regionale rifiutò di firmare il Protocollo d’Intesa sulle Servitù militari con il Governo e pronunciò un discorso severo nei confronti dello Stato.
Il 13 settembre si svolse una manifestazione dinanzi al poligono di Capo Frasca che vide la partecipazione di migliaia di persone, di sindaci, di consiglieri regionali e di segretari di partito.
Nel 2014 la protesta contro le servitù militari ha avuto rango istituzionale e grande consenso politico.
I servizi fanno una cosa da par loro: derubricano un problema istituzionale – una regione si comporta come uno Stato e dice all’Italia che è ora di finirla – a un problema eversivo e continuano a iscrivere l’indipendentismo sardo in un perimetro prossimo all’eversione.
Noi siamo indipendentisti e non siamo eversori. Noi siamo occidentali, sappiamo che cosa è e quanto sia importante la Nato e Schengen; noi parliamo più lingue, ci sentiamo europei, ma difendiamo la legittimità del disegno politico dello Stato Sardo proprio perché più coerente con l’Europa e con il mondo occidentale più evoluto di quanto non lo sia l’assetto unitarista dell’Italia, che affida metà del suo territorio al disordine ma finge di governarlo. Conosciamo questi mezzucci pericolosissimi, che fanno il paio con la superficialità di altri apparati dello Stato, ma ciò che è più importante è un altro dato: il perimetro autonomista non è riconosciuto come significativo nel confronto con lo Stato. Un presidente di Regione pronuncia uno dei discorsi più duri mai pronunciati su questo tema in Parlamento e i Servizi – cioè il Governo – non credono che sia da prendere seriamente in considerazione.
È il destino dell’autonomismo, cioè di una piattaforma coniata dall’azionismo e poi da questo abbandonata e adottata dal mondo cattolico e comunista come possibilità di sopravvivenza nella Guerra Fredda. Ma oggi non ha più senso, oggi viene riconosciuto come una posizione debole, senza respiro internazionale, consumata dal malgoverno del passato, di fatto degenerata a maschera di un banale decentramento amministrativo.
Adesso ricordiamo ciò che è accaduto nel 2014.
Prima di tutto, il 19 giugno il Presidente della Giunta regionale rifiutò di firmare il Protocollo d’Intesa sulle Servitù militari con il Governo e pronunciò un discorso severo nei confronti dello Stato.
Il 13 settembre si svolse una manifestazione dinanzi al poligono di Capo Frasca che vide la partecipazione di migliaia di persone, di sindaci, di consiglieri regionali e di segretari di partito.
Nel 2014 la protesta contro le servitù militari ha avuto rango istituzionale e grande consenso politico.
I servizi fanno una cosa da par loro: derubricano un problema istituzionale – una regione si comporta come uno Stato e dice all’Italia che è ora di finirla – a un problema eversivo e continuano a iscrivere l’indipendentismo sardo in un perimetro prossimo all’eversione.
Noi siamo indipendentisti e non siamo eversori. Noi siamo occidentali, sappiamo che cosa è e quanto sia importante la Nato e Schengen; noi parliamo più lingue, ci sentiamo europei, ma difendiamo la legittimità del disegno politico dello Stato Sardo proprio perché più coerente con l’Europa e con il mondo occidentale più evoluto di quanto non lo sia l’assetto unitarista dell’Italia, che affida metà del suo territorio al disordine ma finge di governarlo. Conosciamo questi mezzucci pericolosissimi, che fanno il paio con la superficialità di altri apparati dello Stato, ma ciò che è più importante è un altro dato: il perimetro autonomista non è riconosciuto come significativo nel confronto con lo Stato. Un presidente di Regione pronuncia uno dei discorsi più duri mai pronunciati su questo tema in Parlamento e i Servizi – cioè il Governo – non credono che sia da prendere seriamente in considerazione.
È il destino dell’autonomismo, cioè di una piattaforma coniata dall’azionismo e poi da questo abbandonata e adottata dal mondo cattolico e comunista come possibilità di sopravvivenza nella Guerra Fredda. Ma oggi non ha più senso, oggi viene riconosciuto come una posizione debole, senza respiro internazionale, consumata dal malgoverno del passato, di fatto degenerata a maschera di un banale decentramento amministrativo.
… grazie Paolo!