Il professore Francesco Cesare Casula è colui che ha teorizzato che il Regno d’Italia è nato in Sardegna e che questo evento ha una data d’inizio: il 19 giugno 1324, data dell’inizio della conquista catalana della Sardegna. La tesi è semplice ed è una tesi politica, più che storica: poiché i Savoia divennero re di Sardegna e con questa corona fecero nel 1861 il Regno d’Italia (possiamo poi discutere se realmente lo fecero loro o anche loro), la Sardegna ha generato, con il suo vecchio regno di istituzione papale (anche se il primo titolo di re di Sardegna è imperiale, opera di Federico Barbarossa, un titolo frutto di corruzione imperiale – ma allora si faceva così, tutto alla luce del sole, mica si fingevano le consulenze come si fa oggi: i genovesi pagarono l’imperatore perché incoronasse a Pavia il celebre Barisone d’Arborea e Barisone fu re), il nuovo regno. Oggi questa tesi è ripresa e divulgata dai giornali e propalata nelle scuole.
Molti storici sardi si opposero a quest’impostazione: Aldo Accardo, Giangiacomo Ortu, Leopoldo Ortu, Luciano Marroccu, Antonello Mattone, il compianto e bravissimo Francesco Manconi, il suo allievo e altrettanto bravo Giuseppe Mele, il grandissimo Raimondo Turtas, il mio caro amico Luciano Carta. In fin dei conti l’obiezione di tutti fu che, se si gioca con le matrioske nella storia (che cosa ha fatto da contenitore a che cosa), allora gli inizi possono essere tanti. Per esempio, possiamo considerare il 25 dicembre 800, data dell’incoronazione di Carlo Magno, la data di nascita dell’Unione Europea. Oppure, considerare l’incoronazione di Carlo V d’Asburgo, che era già re di Sardegna, a re d’Italia, nel 1530, un precedente imbarazzante per la teoria di Casula. Se poi, invece, si volesse seguire il professore rispetto alla continuità delle istituzioni (quelle del Regno di Sardegna diventate in un giorno quelle del Regno d’Italia) si dovrebbe affrontare il drammatico tema dell’origine vera delle istituzioni soppresse col passaggio al Regno d’Italia: nella rivoluzione del triennio 1793-96, i sardi sudditi si ribellarono alla ragnatela feudale, non piemontese, dei sardi egemoni, i feudatari che vivevano di rendita (un po’ come la nuova Regione del Campo Largo), sui sardi sudditi, perché volevano nuove e più libere istituzioni. I più fortunati morirono in esilio; i meno fortunati furono impiccati, quando non vilipesi, torturati e smembrati dai sardi egemoni e dalle istituzioni piemontesi. Oppure si dovrebbe fare i conti col 1848 e con la ‘perfetta fusione’ delle istituzioni sarde, quelle antiche e medievali, a favore delle nuovissime piemontesi. Fu questo Stato Albertino a generare il Regno d’Italia, non l’antico Stato feudale del Regno di Sardegna.
In realtà per capire Casula, che è stato mio docente di storia medievale, bisogna accettare un’idea che a molti sembrerà un controsenso: gli storici migliori sono quelli che hanno sensibilità politica, senza la quale fare ermeneutica della storia è molto difficile, se non impossibile. Per capirci: chi leggesse Accardo e non capisse che partendo dal marxismo lui è tornato, soffrendo, a Gobetti, a Giustizia e Libertà, non capirebbe moltissimo di lui. Chi leggesse Giangiacomo Ortu e non ci vedesse in controluce Emilio Lussu, non capirebbe molto. Chi leggesse Turtas e non intravedesse dietro di lui la disciplina etico-militare dei gesuiti missionari e, insieme, l’inquietudine, tipica di chi è stato in missione, di voler tenere insieme sia i diritti dei popoli che la necessità di un ordine generale, sia la verità – con la connessa austera disciplina delle fonti, poco praticate da molti storici sardi – che la giustizia, non ne capirebbe molto. Dietro gli uomini ci sono le lotte e le reazioni culturali alle forze politiche attive nei momenti della loro formazione: non si capisce niente di Francesco Manconi se non si sa nulla dello scontro di libertà che oppose i socialisti italiani ai comunisti; non si capisce nulla di Mattone senza capire che si trovò a crescere, con un’ambizione personale all’emulazione dei grandi eruditi sassaresi, nella città sarda, Sassari, dove per cinquant’anni è passato il gotha dello scontro politico italiano (Segni, Cossiga, Berlinguer, Parisi ecc.). Mattone è il distillato della dialettica tra la fascinazione e la critica del potere, non lo si capisce se non si capisce che lui capì di maturare in un ambiente ferocissimo e paludato, che ama e disprezza insieme. Non si può capire Luciano Carta senza conoscere le stimmate di ingiustizia che il sistema italiano lasciò sulla sua carne; Luciano ha sempre e solo scritto di libertà e di pietà verso vinti e vincitori. Così non si capisce Casula se non si sa che ha alle spalle una vita durissima, che ha visto il padre morirgli accanto, che è arrivato a Cagliari che non aveva neanche una casa dove ricoverarsi (i biografi parlano di un barcone ormeggiato come prima residenza di casula studente). Casula si fa da solo all’ombra dell’ala sinistra della scuola di Bachisio Raimondo Motzo, cioè sotto l’ala di Alberto Boscolo, lo storico liberal-repubblicano (e massone) che poi divenne anche rettore dell’Università di Cagliari. L’ala destra, più attratta dall’autorità, era Piero Meloni. Sotto sotto, Casula è un federalista repubblicano che ha capito che nella Sardegna tutta italiana c’è più di qualcosa che non va, e così ha tirato fuori la formula che riesce a tenere insieme, secondo lui, Mariano IV e Spadolini, Angioy e Cossiga, Lussu e Cocco Ortu. Ma è una formula che, soprattutto, tiene insieme il senso della sua esistenza. Io mi sono sempre opposto a Casula – lui mi considera un antipatico, bontà sua – ma ho sempre colto che le sue teorie sono per lui la sua carne e, in questo, l’ho sempre rispettato.
Questo articolo non si può concludere senza parlare di una persona a me carissima: Giampaolo Mele. Giampaolo è oggi il maggiore esperto europeo di innografia. Lo cercano tutti per datare, collocare, commentare i testi che furono la grande poesia del medioevo continentale. Ma è anche il direttore dell’Istituto Storico Arborense che oggi è, grazie a lui e solo a lui, l’indiscutibile accademia del medioevo sardo, l’istituzione che più di ogni altra ha sviluppato gli studi sui Giudicati e sulla Sardegna catalano-aragonese. Giampaolo è un fierissimo avversario accademico di Casula. Ha corretto tutti gli errori delle pubblicazioni di Casula, dai presunti inni di guerra dei sardi alle abbreviazioni mal sciolte. Ebbene, tutta la nuova generazione di storici (Luciano Gallinari, Giovanni Serreli, Giuseppe Seche), di derivazione casuliana, collaborano con lui e questo è un miracolo sardo. Giampaolo più di me e in modo più sistematico si è opposto alle teorie di Casula, ma lo ha fatto con l’onestà del ricercatore, con lo scrupolo della verità e questo lo ha portato a riconoscere lo stesso scrupolo negli allievi di Casula. Oggi collaborano. Un miracolo, nell’isola dove l’odio non ha mai fine. L’Istar sta curando l’edizione integrale dei Procesos d’Arborea; ha promosso i nuovi studi sulla Carta de Logu; ha ormai all’attivo una sequenza di convegni e di pubblicazioni che hanno sensibilmente rinnovato gli studi. L’Istar non si è chiuso in se stesso, non si è immolato sull’altare delle guerre accademiche. E questo è merito della capacità di autocritica e di autocontrollo di Giampaolo.
Io resto dell’idea, e Giampaolo lo sa, che sia dimostrato per tabulas che i catalani furono un disastro per i sardi e che non ci sia nulla da celebrare per i settecento anni della conquista; resto dell’idea che i sardi produssero in Arborea, a partire dagli anni cinquanta del Trecento, una ideologia della resistenza ai catalani che recuperava l’impostazione con la quale i quattro giudicati sardi tentarono di resistere al Papato e a Pisa e Genova dopo il mille; resto dell’idea che il problema storiografico non sia se avesse ragione Pietro IV a giudicare Mariano IV un fellone (e, a termini di legge, aveva ragione) o se avesse ragione Mariano IV a giudicare Pietro IV un tiranno che trattava e sfruttava da sudditi chi suddito non si sentiva; non si può raccontare la Sardegna del Trecento solo secondo il diritto feudale, bisogna raccontarla anche dal punto di vista della storia delle idee e che i Sardi, e Mariano IV in particolare, avessero l’idea di emanciparsi dai Catalani e lui di farsi re (come tanti altri piccoli signori europei, è vero, ma anche con alle spalle un’idea di sovranità legata all’antica imperialità bizantina che non tutti potevano accampare) è un dato ineludibile.
Ebbene, se pure io sono andato avanti su queste idee, lo devo anche alle lezioni di Casula, perché mentre lui contenne la sua fiamma sarda nel camino di Cossiga, io le lasciai invadere cuore e mente, chiamando a disciplinarla solo il metodo critico-scientifico e le accesissime discussioni con Giampaolo (e con Turtas, con Luciano Carta, con Accardo e tanti altri. L’unico modo per curarsi dalla malattia di sé, è discutere con gli altri). Ma la scintilla della passione è sua e gliene rendo merito.
Caro Orrù, le tesi di Casula sono solo sue. Caso mai si discute se il Regno d’Italia, sorto nel 1861, sia un nuovo stato oppure una continuazione dello stato sorto con la fusione completa.
Sa locandina de L’Unione pro sa “nova” de oe in sas edìculas: «Il 19 giugno nasce l’Italia in Sardegna»!
Lampu, ite li podimus augurare? A fàghere a bona e a manna? E a candho su batizu, ca currimus a sa essida dae crésia ca ant a betare tzentésimos e caramellas a si ndhe collire sos pisedhos? Ant a pònnere a Alessandra a madrina… (pardon: padrina, ca madrina in sardu est su cerbu fémina e, ma no so informadu, su cerbu za zughet corramenta manna fossis sa fémina puru, pro bellesa!)
Ma a s’ischiat chi sa Sardigna fit próssima? (goi nadu de berbeghes, crabas e bacas). Cun prus rispetu namus: Ma chie l’ischiat chi sa Sardigna fit ràida o prìngia?
O custa “nova” est su machine chi s’Itàlia (altrimenti detta STATO ITALIANO) l’ant fata nàschere in Sardigna sos Aragonesos cun s’invasione militare de sa Sardigna su 19 de làmpadas 1324? O at a èssere chi sos Aragonesos tandho ant improssimadu cust’Ísula chi at anzadu su 2024? E pessade s’ispantu, un’ìsula chi anzat unu Continente!
E sa locandina de L’U. proite: pro ndhe informare sos Bator Macos o pro informare sos Italianos?
E sos Italianos ite fint, sete séculos drommidos, no si fint abbizados mai de nudha? Su 17 de martu de su 1861 si l’ant bidu in su sonnu e l’ant iscritu in totu sos lìbberos de istória?
E sas mizas de Sardos chi che at leadu a mòrrere in totu sas gherras de indipendhéntzia sua est un’àteru sonnu?
E pro ndhe los ischidare nessi como (za fit tempus!) L’U. sa locandina mandhada bi lis at a totu sas edículas de s’istivale pro lis annuntziare su naschimentu meraculosu?
O semus ancora drommidos nois Sardos no solu a sonnu surtu (e surdu) ma a calatzone che a sa maladia de su sonnu, de sa debbilesa e de su machine ma solu pro èssere importantes pro sos Italianos? (importantes pro nois za no b’at bisonzu).
Vorrei specificare che lo Stato non deriva direttamente dal Regno di Sardegna come si vuol far credere, ma dagli Stati di S.M. il Re di Sardegna di cui il Regno di Sardegna era uno Stato autonomo che ne ha fatto parte fino al 1848. Anche se il nome Regno di Sardegna era utilizzato per sineddoche, quindi informalmente, per denominare l’intero Stato. Dal punto di vista araldico, il Regno che nel 1861 ha preso il nome di Regno di Italia non è l’antico Regno di Sardegna ma il Regno istituito con la legge 747 del 11 luglio 1848 che univa gli Stati Sardi, i ducati di Parma e Guastalla, gli Stati di Modena e Reggio, la Lombardia e alcune province venete. Questo Regno al termine della I Guerra di Indipendenza avrebbe dovuto prendere il nome di Regno dell’Alta Italia, ma così non avvenne dato che la guerra terminò con una sconfitta. Così rimase senza nome fino al 1861. L’istituzione di questo regno ha decretato anche la fine dell’antico Regno di Sardegna, dato che per la consuetudine araldica un Regno non può essere parte di un altro Regno. Infatti un mese dopo, con la legge 776 del 12 agosto 1848, venne abolita la carica di vicerè di Sardegna.
Grazie per l’intervento e per avermi letto.
Sono contento che loro ( gli storici cotati ) siano dall’altra parte. E che ci rimangano.. Francesco Cesare Casula
Apprezzo anche io molto la spinta patriottica sarda che intuisco in prof. Casula, e la sua voglia, tutto sommato, di far trionfare la Sardegna nella storia; almeno spero che sia così.
Probabilmente l’incontro con il Pericolosissimo Italiano in un momento nel quale quest’ultimo voleva fare “anche” il sardista a modo suo ne ha condizionato l’idea che molti di noi del volgo (non siamo studiosi) hanno della sua teoria.
Che io, umilmente, dal punto di vista giuridico costituzionale non riesco ad approvare, perchè prova troppo, qualunque cosa abbia scritto la “legge” costitutiva del Regno di Italia, e perchè nessuna istituzione sarda (monarca per caso a parte) si trasferì nel nuovo stato piemontese allargato.
E’ però vero, a seguire o a non seguire il prof. Casula (al quale va il mio affetto) anzi è sicuro che gli inquadrati nell’esercito “sardo” delle guerre di indipendenza italiane, e l’intero popolo sardo, coll’essere stati considerati automaticamente “italiani” nel 1861, non hanno mai votato si o no ai referendum di unità al Piemonte conquistatore.
Questo è un dato di fatto, che può esser utilizzato e discusso.
Per quanto possa servire.
@ Renato Orrù Nel resto dell’Italia il tema non è mai stato seriamente iscritto all’ordine del giorno.
Buongiorno Paolo …. approfitto del tema per porti una domanda : ma nel Resto della Accademica Penisola danno ragione a Prof Cesare Casula o morto Cossiga siamo al Cesare Casula Chiii ?