Ieri il Presidente della Repubblica italiana è intervenuto alla commemorazione di Benigno Zaccagnini a Ravenna.
Nel suo discorso ha detto che l’indole e la testimonianza di Zaccagnini dovrebbero insegnare che la politica non è disumana.
E invece lo è e bisogna saperlo.
Non basta essere buoni per fare politica. E infatti questa attitudine non è bastata a Zaccagnini nella prova più dura della sua vita, cioè nel caso Moro. E leggendo e rileggendo le carte di quella immane tragedia si capisce perfettamente che Zaccagnini non aveva i codici per fronteggiare il male di Stato, perché non immaginava che esistesse. E invece esiste.
La cosa penosa delle commemorazioni è appunto questa: la rimozione del male che, in politica come nella vita, si concretizza in azioni, talvolta in teorie sofisticate (nel 1972, sul giornale di Potere Operaio, venne pubblicata questa frase: «Possiamo ancora una volta inchiodare e dissolvere il riformismo con l’antica verità: le riforme sono illusione, la rivoluzione armata è realismo») talaltra in odi ancestrali, personali, nutriti dalle radici più oscure dell’umanità (l’invidia, la sopraffazione, la maldicenza, il sopruso) mascherati con l’ideologia.
Ma la cosa più curiosa del discorso di Mattarella è l’ennesimo riferimento al cattolicesimo democratico, una definizione che sopravvive solo in alcuni, ma che, per chi la vuole approfondire, si rivela essere una maschera (si dovrebbe parlare di liberalismo cristiano, o più direttamente di democraticismo cristiano – il nome della DC oggi risuona come sinonimo di moderatismo, ma quando nacque era eretico. Papa Leone XIII scrisse nell’enciclica Graves de communi re che non era lecito usare questa espressione in senso politico) dietro la quale si è nascosta una galassia di posizioni politiche, dal pragmatismo di chi voleva stare con chi governava punto e basta ai più esigenti estremismi dell’utopismo cristiano.
Quanto poi fosse per nulla esigente essere cattolici si vide proprio nel caso Moro: il capo dei cattolici, il Papa, pronto a fare ciò che avrebbe dovuto fare ogni cristiano, cioè a far di tutto, fino a dare la vita, per salvarne un’altra, e i suoi fedeli impegnati, invece, a teorizzare e praticare l’abbandono della vittima.
Il corpo di Moro è la più grande sconfitta dell’ipocrisia del cattolicesimo democratico.
Il male di Stato si combatte, alla fine, solo scegliendo la strada che porta al sacrificio di sé, proprio come facevano i primi cristiani, usati come diletto per il popolo, come vittime di crocifissioni pubbliche e banchetto di fiere.
Qualche giorno fa ricorreva anche il decimo anniversario della morte di Alda Merini. La grande poetessa, una delle ‘mie’ due donne (insieme a Marguerite Yourcenar), scrisse dei versi in punto di morte che un cattolico democratico non riuscirebbe mai a pronunciare senza coprirsi il volto per la vergogna: «O morte, che tutti credono ributtante e infelice, tu sei una vergine leggiadra che mi scioglierà da questo letame, la donna che consegnerà il mio calvario al Signore».
I cristiani sanno combattere perché sanno morire. I cattolici democratici, di fronte alla morte, mettono su la scacchiera del Settimo Sigillo di Bergman, cercano una trattativa. Auguri.
La trattativa è sempre l’ultima ratio, anche prima di giungere alla estinzione fisica e immateriale. In politica è sempre stata, forse, la modalità piu praticata per trovare alibi è non soluzioni.