Nei prossimi giorni il Parlamento sardo discuterà il progetto di legge sulla lingua sarda licenziato dalla Seconda commissione… e nelle trincee del movimento linguistico sardo già si affilano i coltelli. Non poteva essere altrimenti: questa legge è in buona parte una reazione a quanto fatto dalle ultime legislature e da S’Ufìtziu de sa Limba Sarda dal 2006 al 2014. In particolare, il pomo della discordia è lo standard linguistico della Limba Sarda Comuna (LSC) e la concezione unitaria della lingua sarda, di cui la LSC è figlia.
Io credo che il testo in discussione – che come si sa è frutto di un complesso lavoro di sintesi fra testi a cui anche noi del Partito dei Sardi abbiamo cercato di contribuire – è stato certamente scritto da persone di comprovata competenza, in totale buona fede e con sincero amore per la lingua sarda. Ne è prova il fatto che si voglia istituire uno strumento fondamentale come l’Agentzia sarda pro is limbas, rilanciare l’attività degli sportelli linguistici locali, garantire risorse per l’insegnamento delle lingue sarde e per il loro uso nell’amministrazione e nei mass media. Ma è pur vero che, in modo forse surrettizio o forse involontario, rischia di far rientrare dalla finestra l’idea di un sardo biforcuto in “logudorese” e “campidanese” – idea suicida, figlia di un accademismo ottocentesco poco scientifico e per niente natzionale (cfr. articolo 1, comma 2 e art. 2, c. 1, lettera b).
Bisogna però ammettere che se negli anni passati fosse stata fatta una politica linguistica meno decisionista e “picconara” forse oggi non saremmo di fronte a una reazione così dura e disfattista. Rischiamo di assistere a un’estenuante partita a s’istrumpa in cui i contendenti a turno cercano anche in modi fin troppo bruschi di buttare a terra l’avversario e le sue proposte. E intanto la lingua sarda muore.
Come linguista, e in qualità di responsabile della formazione del Partito, con specifica delega sulle politiche linguistiche, continuo a sostenere la validità tecnica e politica della LSC, che si potrà pure emendare, ma non cestinare con disprezzo. La LSC è nata come uno strumento sperimentale di norme linguistiche per gli usi amministrativi della Regione e tale sarebbe dovuta restare, senza farsi tentare dalla fretta di farne uno standard nazionale – anche qui in modo surrettizio.
Credo che dovremmo tutti mettere in discussione le nostre convinzioni e guardare con interesse all’esperimento còrso della “polinomia”. In Corsica si applica una convenzione ortografica unitaria, ma tutte le forme dialettali di una parola sono ammesse. Se fosse applicata anche al sardo, magari affiancandola alla LSC, le varietà linguistiche sarebbero rispettate ed entrerebbero tutte nel gioco vivo della lingua scritta e parlata, le comunità linguistiche reali emergerebbero e si confronterebbero, i singoli parlanti sceglierebbero liberamente se e quando usare lo standard o il dialetto, e tutti insieme, democraticamente e con i giusti tempi, andremmo a formare la nuova comunità linguistica sarda plurilingue. Certo, bisognerebbe stare attenti a non fare della polinomia una anomia (assenza di regole), ma almeno così non si rischierebbe di puntarsi i coltelli tra sardos e sardus. Usiamo i coltelli per il companatico e ragioniamoci assieme.
PS: prossimamente parleremo delle lingue sardo-corse, altra spina nel fianco del movimento linguistico e di questa legge.
Riccardo Mura
Responsabile della Formazione
Partito dei Sardi