di Paolo Maninchedda
Ragiono sul Nuorese come esempio ripetibile e non come realtà privilegiata e esclusiva.
Negli ultimi mesi i segnali della insostenibilità sociale dell’uscita di migliaia di persone dagli ammortizzatori sociali si sono drammaticamente ripetuti. Di fronte a blocchi stradali, richieste veementi di incontro, sollecitazioni telefoniche, elenchi tragici di centinaia di persone senza lavoro concentrate in pochi paesi, ci si può anche rifugiare nelle analisi di contesto che generalizzano tutto, ma non si può evitare di considerare che si è di fronte ai prodromi di una rivolta sociale dettata dalla fame e dalla rabbia, entrambi spettri letali per uno Stato che si rispetti.
Se ne sta discutendo molto in Giunta, ma è opportuno che il dibattito esca dalle stanze del governo e divenga pubblico, perché la soluzione non è dietro l’angolo e bisogna produrre una verifica delle ipotesi prima delle decisioni.
Il dato più certo è metodologico: la crisi del Nuorese è un sistema di crisi, quindi non ha una sola soluzione. È sbagliato ribaltare su questo universo variegato soluzioni preconfezionate e generali che magari hanno un’ottima efficacia in ambito urbano, ma non ne hanno alcuna in ambito rurale.
Ne consegue che occorre declinare specifici progetti nelle varie zone a crisi occupazionale più acuta.
Altro errore da non fare: le politiche di sviluppo generano i loro effetti, quando va bene, in un triennio. La sfasatura tra l’urgenza del bisogno e i tempi dell’intervento strategico di prospettiva è un problema che la politica deve sapere risolvere, perché dalla sua soluzione dipende un fattore decisivo delle riforme: il consenso fondato sulla giustizia sociale.
Faccio un esempio per capirci: Ottana deve andare verso una grande riconversione industriale. Poniamo che si passi dalla chimica del petrolio alla chimica verde. Poniamo che si riesca a farlo senza un euro di capitale pubblico. Con certezza chi investirà chiederà stabilità di quadro e di condizioni. Ma chiunque investa, non può produrre in un giorno 300 nuovi posti di lavoro, avrà bisogno di un tempo di riconversione che va accompagnato proteggendo non l’impresa ma il lavoratore. Il Comune di Ottana lancia il progetto delle serre? Bene, poniamo che per le serre si abbia già un Piano Economico Finanziario, un Piano della Formazione, un Piano commerciale ecc. ecc., alcune domande si pongono comunque. Chi mette i capitali? Chi finanzia la formazione? Chi accompagna il passaggio dal niente al tutto? Quando parlavo di progetti specifici, parlavo di questa cura del dettaglio, senza la quale si parla senza costrutto.
Altro esempio: Siniscola. Nelle Baronie l’intervento pubblico più rilevante sarà nei prossimi anni la sistemazione degli assi fluviali del Cedrino e del Posada e la sistemazione dello scandalo del sistema fognario e della potabilizzazione. Più volte il Comune ha ribadito di vedere nella proiezione verso il mare il proprio futuro. Registriamo dunque una vocazione: si passa in quell’area dal mantenimento del manifatturiero (e dall’estrattivo) sopravissuto, alla costruzione di una nuova prospetttiva fondata su ambiente e turismo. Occorrerà coordinare strategie di diverso tipo: ambientali, urbanistiche, ricettive, industriali. Nel frattempo? Nel frattempo, anche in questo caso, bisogna prendere l’universo delle persone espulse dal sistema industriale, capire chi per ragioni anagrafiche non riuscirà ad essere ricollocato e impiegarlo nelle attività pubbliche comunque previste in quell’area. Dobbiamo fare boschi? Dobbiamo fare sentieri? Dobbiamo pulire canali? dobbiamo aumentare il decoro urbano? Dobbiamo aumentare le misure di protezione civile? In tutti questi settori (molti dei quali finanziabili con risorse europee) possiamo produrre lavoro senza aumentare gli organici dei Comuni e la spesa pubblica. Il manifatturiero e l’estrattivo sopravvissuto sono in grado di assorbire, in forme da concordarsi, i giovani espulsi dalle fabbriche ormai chiuse? Se sì, a quali condizioni? Dobbiamo scendere a questo dettaglio.
In questo quadro, la prima cosa da fare è non smontare ciò che ha funzionato. I progetti di utilizzo, che hanno consentito la soluzione a suo tempo della vertenza Legler, devono essere rifinanziati. Oggi il primo accordo Legler sugli ultracinquantenni riguarda 28 persone. È possibile chiedere ragionevolezza e vedere confermati gli impegni che hanno prodotto soluzioni credibili e di efficacia verificata?
Successivamente, i progetti di utilizzo sono stati estesi a diverse categorie di cassintegrati. È possibile verificare l’efficacia di questi percorsi prima di smontarli o di sostituirli con strumenti di efficacia non verificata?
Seconda misura: i cantieri verdi. Essi non sono nati per assorbire gli espulsi dal sistema industriale, ma per far lavorare quelle fasce sventurate della popolazione che ordinariamente sono sostenute dall’assistenza sociale dei Comuni. Il sistema di reclutamento trasparente, coniato dall’allora sindaco di Macomer Uda, venne poi copiato da tutti i Comuni. Solo a Macomer sono stati piantati circa 100.000 alberi. Luciano Uras ha fatto votare in Parlamento la norma che consente di non computarli negli organici dei Comuni per tre anni. Vogliamo o non vogliamo usare questa opportunità, posto che sempre con fondi europei possiamo ricostruire i boschi che la Sardegna aveva prima che i devastatori Savoia (a cui resta intitolata la principale arteria stradale della Sardegna, secondo una precisa evidenza della sindrome di Stoccolma) se li vendessero per quattro soldi? Possiamo pensare di fare walfare facendo infrastrutture ambientali come sono i boschi? Io penso di sì.
Terza misura: il patrimonio archeologico. L’idea dei sindaci del Marghine non nasce dal nulla; nasce dalla considerazione che più della metà dei beni culturali del Nuorese è nel Marghine. Ai tempi della 285, gli scavi archeologici furono usati per istruire, formare, studiare, sistemare e rendere fruibile un pezzo minimale del nostro patrimonio archeologico. Che cosa si vuol fare delle centinaia di donne dell’ex calzificio Queen che stanno uscendo da qualsiasi tutela reddituale? Le si vuole lasciare a casa a impazzire? Non è forse meglio riqualificarle, orientarle verso le imprese superstiti ma anche accompagnarle con un programma serio di valorizzazione culturale del territorio?
A chi mi sto rivolgendo? In primo luogo a me stesso, mettendo in ordine tante cose pensate in questi mesi. Poi alla Giunta, ai consiglieri regionale, ai sindaci, ai sindacati e agli imprenditori. Questi progetti finalizzati al lavoro vanno varati subito e messi in prima posizione. Non si ha il tempo di metterli a valle della ridefinizione globale di tutte le problematiche del Nuorese che si sta provvedendo a imbastire nei tavoli tematici. Dobbiamo essere più precisi, più uniti, più veloci.
Comments on “Nel Nuorese servono piani specifici per il lavoro”
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In risposta al Sig.Giuseppe, anche la sua è senz’altro un’analisi lucida che mette in evidenza i problemi infrastrutturali e di competitività, ma visto le polemiche dei mesi precedenti per via della convivenza con la gallina prataiola se non si vuole stravolgere l’habitat legittimo di codesta specie è auspicabile considerare la proposta del sindaco di Ottana sulla zona franca. Per quanto riguarda la green economy al momento attuale ci sono grandi perplessità: la reperibilità delle materie prime, la domanda che ancora manca, le direttive europee poco chiare, la simbiosi con l’agroalimentare ect ect. Prendiamo spunto da Matrica grandi fuochi d’artificio… e poi?
Come non darle ragione. Vediamo intorno a noi, sempre più gente in apatia. Sembra quasi che stia mancando la forza di reagire a questo stato di cose. Da un po mi vedo con un gruppo di imprenditori e vorremmo proporle una filiera che in Sardegna, non è stata sfruttata (pur essendo sotto gli occhi di tutti) che riteniamo possa creare molti posti di lavoro, ma che sopratutto si regga da sola, in breve tempo.
A giorni prevediamo di poterle mandare una breve relazione del consorzio di imprese, con relativa idea di filiera.
Credo che occorra rivedere in parte anche il modello industriale che si vuole proporre al centro Sardegna. Chiunque abbia lavorato almeno 1 giorno in qualche fabbrica o sito industriale realmente attivo e prospero si sarà reso conto che è fondamentale la sua posizione “sul territorio, e le infrastrutture che lo servono”. Non possiamo più pensare di creare industrie “COMPETITIVE” sui costi del mercato, senza avere fatto prima un’operazione infrastrutturale che consenta di diminuire i costi di produzione e logistica. Servirebbe inoltre selezionare meglio le aziende che si insediano e i vari “capitani coraggiosi di turno”. Solo i migliori, più seri, con chiari e vincolanti progetti industriali devono essere concessi eventuali aiuti, in forma solo di sgravi fiscali. Niente più soldi cash!!
Tutto questo però sempre restando bene ancorati alla realtà!
Siamo nel Centro di un’isola!!Possiamo Sicuramente fare industria, ma capiamo bene che prodotti si possono realmente fare e proviamo a farli meglio degli altri con costi competitivi.
La convivenza tra produzione industriale ben mirata e proposte della green economy è certamente possibile, a patto che le regole vengano rispettate e i controlli siano inflessibili e severi.
Se un’industria si vuole controllare realmente e seriamente gli strumenti di legge e tecnologici ci sono. Occorre che sia “PULITO” anche il controllore, non solo il “CONTROLLATO”.
Buona serata Assessore, è un’analisi spietata la sua ma la realtà è questa,proprio una crisi di sistema! Negli anni post-Enichem la politica non è riuscita a dare un indirizzo di sviluppo economico-industriale e ora siamo avvolti da assistenzialismo e capannoni vuoti. Ora è il momento della svolta consci degli errori del passato ma allo stesso tempo essere prudenti ai proclami,è legittimo parlare in termini di riconversione industriale ma bisogna porsi dei quesiti: è giusto sentenziare la fine della chimica tradizionale? abbiamo un immenso patrimonio fatto di capitale umano e tecnologico. La green economy nella media Valle del Tirso come si potrebbe integrare con gli altri settori produttivi? A lei Assessore la risposta!
Per la Sig.a Fiori: sentitamente siamo a ringrazirLa per l’augurio che – come consuetudine – ricambiamo con affetto e sincerità.
Cordiali saluti.
Al sig. Marco Maria Cocco.
Ogni commento appare ultròneo a quello che lei ha riportato.
Le faccio i miei più sinceri auguri per le sue eventuali e future candidature
Dopo la lettura di questo articolo, direi che riguardo alla precisione siamo più che sulla buona strada.
Buona Pasqua!
Qui come al solito si pensa solo a chi comunque un po’ di tutela l ha avuta…per carità ci sta che si aiutino tutte queste persone a mettersi di nuovo in gioco e di modo che riparta l economia del territorio… ma non dimentichiamoci di chi con sacrificio proprio e dei genitori ha studiato e si ritrova escluso da ogni possibilità Lavorativa ( a meno che non decida di emigrare…così come si sta facendo) perché tanto qui se non si hanno santi in paradiso non si riesce ad andare da nessuna parte pur impegnandosi e disposti a fare qualsiasi cosa e non solo quello x cui si è studiato: parlo di quella fascia di persone che hanno già compiuto i 30 anni e che fanno parte di una generazione dimenticata da tutti..si pensi ai bandi pubblici, a garanzia giovani ecc. Che fare?