La brutta figura fatta da noi della Giunta su Narbolia e il post di ieri hanno scatenato un po’ di simpatiche polemiche che non intendo in alcun modo placare. Per cui ripropongo un articolo di Mochi Sismondi del 2013 che rappresenta bene la lotta tra il bene e il male in atto nella Pubblica Amminsitrazione italiana e sarda.
di Carlo Mochi Sismondi*
Spesso il necrofilo[1] si riconosce da una mania fobica per la pulizia: lo vedi con lo straccetto imbevuto d’alcol che sterilizza dovunque si poggi. Non è una sana attenzione all’igiene, ma il terrore di qualsiasi contaminazione: difficilmente vi stringe la mano e, se lo fa, poi va di corsa a disinfettarsi. D’altronde in obitorio tutto è asettico.
Il necrofilo amministrativo, che di questa sindrome è un caso di specie interessante, si riconosce invece dalla costante paura della responsabilità e dal tentativo di sterilizzare qualsiasi scelta facendola diventare un adempimento obbligatorio, dettato da leggi eteronome, che svincoli il vertice amministrativo da qualsiasi contaminazione.
Il necrofilo amministrativo aborre, quindi, qualsiasi scelta soggettiva, qualsiasi attribuzione di valore che non derivi da un algoritmo, nella gestione delle persone preferisce gli avanzamenti automatici, alla scelta di chi promuovere basata sull’intuitu personae, si trova a proprio agio tra la ceralacca e i bizantinismi delle gare piuttosto che nell’impegno della valutazione, pulisce con cura qualsiasi atto amministrativo dall’impura presenza di un rischio.
Il necrofilo amministrativo vive bene tra i tagli lineari, con l’ossessione continua della spesa che vede sempre come un costo e mai come un investimento, odia pensare ai risultati e alla missione della sua amministrazione che percepisce come astorica e quindi svincolata dal tempo e dai bisogni; non sa immaginare modi per risolvere problemi reali, ma solo per portare avanti atti e pratiche, ampliando, se può e gliene si dà spazio, il corpus normativo che per lui non è mai troppo dettagliato, mai completamente esauriente. Non guarda fuori dal suo palazzo, considera proibito tutto quello che non è esplicitamente contemplato da qualche articolo di legge.
Il necrofilo amministrativo pensa di vivere in un mondo sporco e malato, vede pericoli ovunque, il suo terrore maggiore è essere coinvolto: il suo campo d’azione parte dal guardarsi le spalle. Le sue leggi preferite sono la vecchia 626 sulla sicurezza con i suoi infiniti adempimenti, il codice della privacy con le sue firmette salvagente, la normativa anticorruzione e addendi vari, con i suoi infiniti piani e le sue dettagliate istruzioni per evitare qualsiasi scelta responsabile (che non vuol dire arbitraria, ma che è quella che dà tra l’altro un senso agli stipendi dei dirigenti che, se non possono più scegliere nulla perché tutto è normato, o si suicidano o accettano di mangiare pane a ufo).
Ha del tutto torto? Non esiste forse uno stato di corruzione tale da dargli ragione? La finanza pubblica non ci chiede risparmi “ad ogni costo”? Non siamo tutti così indignati da accettare di rinunciare alla responsabilità in cambio di un po’ di pulizia? Non chiede questo il paese profondo, la pancia della gente che non ce la fa ad arrivare a fine mese e vede il consigliere regionale che mette in conto al contribuente le sue cene di lusso, ma anche le sue caramelle?
Sì. Io credo che abbia torto sia nel metodo sia nella sostanza.
Nel metodo: perché come le grandi società di auditing non hanno visto le più evidenti truffe finanziarie, come le mille leggi non hanno diminuito la corruzione, così il deprimere la responsabilità e l’autonomia può alla lunga solo peggiorare il male, non curarlo alla radice. Perché l’unica cura nasce da dentro le coscienze, nella libertà, nella speranza, nell’educazione.
Nella sostanza perché con l’ossessione a “non spendere”, cosa del tutto diversa dalla cura (sottolineo la parola “cura”) a spendere bene, e con la bulimia normativa [ve la ricordate la parabola del cotechino?] si ottiene esattamente quello che un necrofilo vuole: uccidere l’amministrazione, trasformarla in cosa inanimata, rendendo impossibile la soluzione dei problemi reali, impedendo una riflessione coraggiosa sulla stessa geografia delle istituzioni e delle organizzazioni che si rifaccia sempre ai perché politici, alla costruzione del valore pubblico, alla crescita del capitale sociale e del benessere equo e sostenibile.
Certo la mia descrizione è paradossale e volutamente stereotipica, ma ne conosco parecchi, e potrei dare molti nomi e cognomi a questi necrofili.
Noi non abbiamo bisogno di necrofili, ma di biofili nella nostra amministrazione come nella nostra politica. Di biofili che aprano porte e finestre e facciano entrare insieme all’aria pulita anche la cultura della scelta e della responsabilità, l’orgoglio di fare del proprio meglio anche con un po’ di fantasia e di creatività, il gusto del rischio a costo di perdere un po’ di sicurezza, l’attenzione alla stella polare che è costituita sempre dai bisogni che dobbiamo soddisfare e dalla capacità del government di “abilitare capabilities” per dirla con Amartya Sen, o più semplicemente di mettere in grado cittadini e imprese di “funzionare”, ossia di raggiungere meglio i fini che essi si sono prefissi.
Il biofilo non è uno sprecone né un fan del “partito della spesa”, ma sa che per ogni soldo che riceve dal contribuente deve restituire valore e quindi si attrezza e non accetterà mai di avere, come purtroppo abbiamo, una macchina tutto sommato relativamente costosa, ferma perché non abbiamo i soldi per la benzina. Una metafora che ahimè diventa spesso vera in senso letterale, basti pensare alle macchine ferme delle forze dell’ordine o alla proibizione sostanziale di spostarsi che stanno subendo i lavoratori pubblici che, nel delirio dell’impedire sprechi, sono murati nei loro uffici come dentro castelli medievali.
Di biofili ce ne sono numerosi, ne conosco tanti nella nostra PA, ma sono in clandestinità, rappresentano una cultura subalterna. Forza ragazzi, forziamo la porta, diciamo ad alta voce che non ne possiamo più e proviamo a cambiare il senso della nostra marcia.
[1] In questo articolo indico con la parola necrofilia non certo la perversione sessuale, ma, secondo le indicazioni di Fromm ne “la psicanalisi dell’amore”, l’istinto di morte che uccide la voglia di vivere.
Rara e preziosa ammissione di responsabilità da parte di un politico. Parlo di Lei ovviamente e di quello che ha scritto nel precedente articolo. L’unico problema che a mio parere rimane è quello della sorte del Dirigente che ha avvallato la decisione. Parlo del Dirigente dell’Agricoltura che ha predisposto il decreto a firma del precedente Assessore. La sentenza del Tar si incentra tutta quel provvedimento sanzionando pesantemente l’Amministrazione sotto diversi profili. La motivazione e il palese ritardo. Dicevamo il problema. Quel dirigente può avere istruito quella pratica in tal maniera o perchè palesemente incompetente o per assecondare il politico di turno avvallando scelte sbagliate. In entrambi i casi vi è una necessità di assunzione di responsabilità. Uno dei mali peggiori dell’amministrazione e proprio l’assenza di responsabilità che consente di commettere errori madornali, o come dicevamo di avvallare scelte palesemente illegittime, senza mai essere chiamati a rispondere del proprio operato. Anzi se vogliamo dirla tutta qualora la causa sia il compiacere al politico di turno, spesso si fa carriera nonostante sentenze contrarie, rischi di risarcimenti o spendita dei denari pubblici al di fuori delle regole. Io penso che in questo caso si rientri in questa fattispecie. La cosa sconcertante è che nonostante il comunicato dovuto dell’attuale Assessore, che in realtà è una ammissione di colpa grande come una casa, quel dirigente continua tranquillamente ad esercitare le sue funzioni e forse adesso ad avvallare tutte le decisioni del politico in carica. Una cosa è certa. Sicuramente farà una carriera folgorante. vedremo nella prossima riorganizzazione dell’Assessorato cosà succederà. Quindi ben venga la sua ammissione di responsabilità, segno di onestà intellettuale, ma da tutto ciò dovrebbero derivare evidenti conseguenze. Il problema che spesso fa più comodo chi dice sempre di si, sino a quando non entra di mezzo la magistratura, che chi per senso del dovere e di responsabilità magari qualche volta dice di no. Ma purtroppo così va il mondo e l’amministrazione pubblica. Saluti.
Condivido ogni singola parola. Aggiungo solo una cosa: la bulimia normativa alimenta la necrofilia e annienta il più entusiasta dei biofili.
Se la redigenda legge sui lavori pubblici regionale supererà i 20 articoli mi rimangio l’incipit e studio da necrofilo.
SE SI TOGLIE LA DIGNITÀ AI DIPENDENTI PUBBLICI
II rischio L’esigenza di razionalizzare, qualificare e semplificare la pubblica amministrazione è reale. Ma essa è un insieme di servizi per i. cittadini, specie i più deboli: dipingerla come un covo di ladri è sbagliato. E pericoloso
di Oberdan Forlenza*, Corriere della Sera 10 ottobre 2014
Caro direttore, la pubblica amministrazione sta morendo. E ne pagheranno le conseguenze i deboli, i privi di tutela, in una parola coloro che non hanno santi in Paradiso. Perché l’amministrazione non è una dispensatrice di stipendi ai suoi inutili dipendenti, ma un insieme di funzioni e servizi per i cittadini, e soprattutto per coloro che non possono permettersi di rivolgersi o di comprare i servizi altrove. Basta, quindi, con una rappresentazione della realtà negata dai numeri, e dunque so-stanzialmente falsa. A parità di popolazione, la Gran Bretagna ha oltre 5 milioni di dipendenti pubblici, l’Italia poco sopra i tre. I nostri dipendenti risultano i più anziani in Europa (oltre il 50% ha più di 50 anni), e la media è alta perché non vi sono nuovi assunti ai quali i già occupati possano trasmettere competenze e buone prassi — in una parola insegnare il mestiere. L’amministrazione centrale dello Stato è al collasso e sempre più spesso si fonda sul senso di responsabilità di singoli. Nei ministeri vi è stato un progressivo prosciugamento: i ministeriali sono circa 160mila (erano 274 mila nel 2000), e oggi scarseggiano il personale e le competenze tecniche indispensabili, i mezzi e le risorse finanziarie. Al contempo, è crollata la spesa per investimenti, che nel 2013 era pari, per l’intero settore pubblico, al 2,7% del Prodotto interno lordo. Stiamo distruggendo l’amministrazione pubblica. Forse non è un disegno consapevole, certo non è un bene. Non per i cittadini e per le imprese, che non ricevono più servizi adeguati o almeno decenti (meno sanità, meno sicurezza, meno gestione infrastrutturale). Non è un bene peri giovani, perché non si assume, mentre la disoccupazione giovanile — con laurea e senza — aumenta. I cittadini reclamano più sicurezza, e mancano almeno 20mila carabinieri e poliziotti. È indispensabile la lotta all’evasione, e mancano i finanzieri. Siamo il Paese con il più grande patrimonio artistico — una grande risorsa anche economica — e sono venti anni che non si assumono storici dell’arte. Negli uffici pubblici mancano ingegneri, chimici, biologi, medici, infermieri; mancano insegnanti che diano con serenità ad altri la formazione necessaria. Al tempo stesso i giovani sono disoccupati, e quella minoranza che nonostante tutto trova lavoro, spesso non adeguato al titolo di studio, ha dovuto sottostare a pressioni e ricatti. Vi è il rischio tangibile di diseducare all’etica del concorso, al principio che negli uffici pubblici si accede per merito e non per raccomandazione. Occorre cambiare mentalità e tendenza, rivitalizzare l’amministrazione senza negare l’esigenza di razionalizzare, di qualificare, di eliminare inutili complessità burocratiche, senza nascondere le negatività esistenti. Occorre dire basta al messaggio che tutto ciò che è pubblico è inutile e negativo. Occorre restituire la dignità. Basta con i dipendenti pubblici rappresentati, nel migliore dei casi come scansafatiche, nel peggiore come ladri. Perché non è così, e la mortificazione continua non aiuta. Alla politica delle assunzioni dettata solo dal puro contenimento della spesa deve sostituirsi una seria programmazione delle esigenze di una amministrazione moderna e tecnicamente qualificata. Concorsi, non assunzioni per raccomandazione. Impiego stabile e qualificato, non precariato intellettuale. Selezione della dirigenza con criteri concorsuali oggettivi e di merito, non come premio di fedeltà servili. Serve anche un’amministrazione professionale e rispettata perché il Paese possa uscire dalla sua crisi.
*Consigliere di Stato, Segretario generale della Giustizia Amministrativa
È un bel pezzo e decisamente condivisibile.
Io sono un vero biofilo e ce la sto mettendo tutta; non sono più in clandestinità e tanto meno culturalmente subalterno: più che altro sono in netta minoranza!
Opero sperando di non rimanere stritolato dalle presse del potere… quello veramente cattivo.
Ritengo questo argomento molto importante, direi determinante, per cui partecipo volentieri.
A mio avviso, qualora si riuscisse a far capire bene l’importante ruolo che hanno gli amministrativi,
in tutte le P.A., che dovrebbero agire da catalizzatori dell’azione politica e non come spesso capita, talvolta per incomprensibile eccesso di zelo, tal’altre per un interpretazione della normativa sempre in senso prudente e restrittivo, parecchie cose riguardanti la vita reale, potrebbero trovare una soluzione più “umana” nel rapporto quotidiano domanda/offerta, relativamente a tutto ciò che sta’ dentro le dinamiche del servizio pubblico/amministrativo.
Una iniziativa da mettere in campo per tentare di rendere più scorrevoli e praticabili i tanti soggettivi ingorghi burocratici , potrebbe essere anche semplicemente di provare a valorizzare l’aspetto che la pratica quotidiana in ambito professionale, può anche essere spesa per un di più della solo contropartita retributiva della quale non discuto se adeguata o meno, al fine di coinvolgere almeno i più sensibili, è ve ne sono tanti e di bravi, che uno dei primi fronti per una risposta efficace ed efficiente nel rapporto P.A. – Cittadino, sono proprio loro, ed è giusto che se ne convincano!!!