Una studentessa veneziana che aveva preso 6,5 alla prova di greco dell’esame di maturità, una delle quattro sufficienze su 14 compiti esaminati, con una media generale del 3,5, per protesta, ha fatto scena muta all’orale, dopo aver chiesto di prendere visione e discutere il compito (cosa che, a leggere il Corriere di oggi non le è stata concessa).
La studentessa, giunta all’esame con una media alta per la quale poteva ambire a un voto sopra il 90 (cosa che le avrebbe consentito di accedere a una borsa di studio dell’Università americana dove ha superato i test di ingresso) ha preso 71.
Il tema di questa vicenda è: come si sta di fronte al potere? O meglio: come si sta di fronte a un potere verso il quale non si hanno molti strumenti per difendersi?
Secondo molti, occorrerebbe disporre di realismo. La studentessa avrebbe dovuto accettare la bassa valutazione riportata (comunque più alta di quella dei compagni), concentrarsi sulla prova orale e puntare al massimo dei voti possibile. In poche parole, accettare l’abuso di potere e inglobarlo in una nuova strategia.
Proviamo a fare di questa strategia una regola sociale e politica. Gli schiavi americani non avrebbero dovuto fare una guerra civile, ma avrebbero dovuto ottenere lentamente, restando schiavi, di potersi istruire, di potersi sposare senza interferenze e violenze dei padroni, di poter magari possedere qualcosa ecc. ecc., ma sempre con ‘realismo’, cioè rinunciando alle questioni generali di sistema, di diritto, di dignità, e puntando a progressivi miglioramenti quotidiani. Le donne, oggi, non dovrebbero esigere un cambio di mentalità, il bando della cultura sessuale del possesso (che io non ho mai capito, perché non capisco i maschi o le donne che pensano, solo per fare l’amore, di ‘avere’ qualcuno), il bando della discriminazione economica legata alla maternità ecc., ma dovrebbero acconciarsi a piccole conquiste quotidiane, realistiche.
Il realismo ha un parente stretto che si chiama cinismo: l’indifferenza a tutto e a tutti, mascherata di razionale calcolo delle probabilità, la tendenza a pensare solo ed esclusivamente al proprio vantaggio truccandolo di visione di sistema. La risonanza del gesto della studentessa smentisce i cinico-realisti: lei ha certamente pagato un prezzo (ma se non si è disposti a pagare in prima persona per la giustizia, di quale amore si è capaci? Credo solo dell’amor proprio), ma ha acceso l’interesse dell’opinione pubblica non su un fatto effimero, non sullo spettacolo della morte (che, ahimè, è quello che piace di più al popolo), ma sulla dignità umana, sul diritto ad essere rispettati.
C’è poi il versante del professore/essa giudicante. I fatti diranno se ha giudicato bene o male, ma mi pare, da ciò che emerge, che il suo operato si possa configurare come un’esperienza di microtirannide, quella che si può sperimentare con il proprio dirigente che fa un dispetto solo per ribadire il proprio potere, o col poliziotto che fa la multa per il gusto di farla, o con l’addetto della polizia giudiziaria ignorantissimo che manda in galera la gente per i suoi pregiudizi culturali o politici, o con il presidente di commissione di concorso che fa manfrine (ne conosco uno nel quale la pec del vincitore è stata ricevuta prima che l’esito fosse pubblicato all’albo pretorio). Siamo circondati da chi appena dispone di un po’ di potere, ne abusa, sente proprio il bisogno di far sapere al mondo che lui esiste attraverso attività sadiche di prevaricazione.
L’antidoto a queste persone che si impongono, che fanno del male per accampare il loro diritto ad essere amate e invece suscitano il più profondo dei contrasti, è dato da quei divergenti che, dinanzi a una palese ingiustizia, sono capaci di estremi sacrifici.
Questa è gente che non calcola, che è pronta a lasciarci la pelle, che si misura sempre e solo con lo specchio dell’eterno, del giusto. Questi, da quando ero bambino, sono sempre stati i miei eroi e sono certo che anche il più cocciuto dei realisti, il più antipatico dei prepotenti, giunto al termine dei suoi giorni, vorrebbe avere al suo fianco uno dei miei eroi, e non un suo simile, per chiedergli di restituire significato alla sua esistenza che gli apparirebbe una storia di vittorie senza significato, senza senso, perché tutte radicate nella caducissima fama delle scelte di potere.
Ho detto alle mie figlie di non scrivere, quando sarà, sulla mia lapide il mio nome, ma una frase: “Non ho avuto paura”.
Vicenda molto strana e dai contorni poco chiari. Innantitutto nei giornali sono stati fatti i nomi dei docenti coinvolti, violando qualsivoglia riservatezza dei docenti interessati. Hanno addirittura tirano in ballo presunti contrasti tra il docente della studentessa e il docente esterno della stessa materia. E vabbé… Ma i conti non tornano anche per altri motivi: innanzitutto la commissione d’esame è costituita da tre docenti interni e da tre esterni più il presidente: il voto è collegiale, a meno che non venga preso a maggioranza. In ogni caso è tutto registrato nei verbali e, alla fine dell’esame orale, è prevista obbligatoriamente la presa visione degli elaborati. Inoltre gli elaborati vengono corretti con l’ausilio di una griglia, di solito la griglia che il Consiglio di classe ha indicato nel Documento del 15 maggio, documento al quale la commissione deve attenersi, a meno che non esista una griglia ministeriale o la griglia stessa non sia palesemente errata. A me sembra – dico sembra – un chiaro esempio che spiega il malessere che c’è nella nostra scuola e non mi riferisco agli alunni.
Ha difeso la sua libertà. Ha chiuso il suo percorso dimostrando ai suoi docenti passati e presenti che più delle nozioni, la scuola le ha insegnato a vivere e decidere da persona libertà. Nella scuola dei nostri tempi, e non solo, una rarità.
Ha diritto all’accesso agli atti anche adesso. Dovesse venir negato si tratterebbe di atto illegale. Visto il clamore non possono proprio permetterselo.
Detto questo, non sparerei sulla commissione giudicante da adesso. Il dolore, gli abusi subiti dai professori, da parte di colleghi, dirigenti, studenti e famiglie sono qualcosa di nascosto.
C’ è una sofferenza enorme nella scuola che si può risolvere solo bedendo non un frammento ma l’insieme.
So per certo che molti studenti hanno subito ingiustizia. So per certo che la subiscono i prof. E che vi è non solo silenzio ma partecipazione attiva di molti. La situazione è complessa. Giudicando spesso si crea altro dolore.
L’articolo si legge con interesse per per le riflessioni non banali del professore sulla vita e sul senso di tanti comportamenti. Però, se vogliamo stare ai fatti: 1) la studentessa veneziana ha già un posto riservato alla Miami University in Ohio per “meriti sportivi”, quindi il voto finale era ininfluente (da questo punto di vista); 2) l’abuso di potere, a mio avviso, si combatte con un bel ricorso al TAR, dopo aver sostenuto l’esame orale e dato il massimo davanti ad un pubblico di testimoni. In questo modo si spuntano le unghie ai prepotenti. Le belle parole del professore, che condivido nella sostanza, mi sembrano sproporzionate rispetto a questo caso di cronaca.
Una forma di abuso di potere , che certamente penalizza ingiustamente un maturando e gli preclude strade di cultura avanzara e conseguentemente ne modifica le possibilita di carriera .Il ministro , che si sta occupando di depenalizzare il reato di abuso d’ufficio,farebbe bene a tenerne conto
Finalmente un articolo che non faccia squadra col sistema
A più basso livello: nessuno s é domandato se non vi sia stato un abuso dello insegnante, cos si potrebbe fare per accertarlo e per eventualmente porvi rimedio
Peccato non sia stata bocciata. Le sarebbe valso quantomeno la titolazione di una via, la santità o perlomeno un monumento equestre ad imperitura memoria per il coraggio dimostrato.
Sappiamo per certo che il 6, 5 fosse un voto talmente ingiusto (visto anche la media del 3,5) da necessitare una simile protesta.
L’antidoto alla prepotenza è, anche, una riflessione come questa. Grazie.