Nello scorso maggio, a Roma, veniva reso noto il “Rapporto Osservasalute 2018 “, progetto targato Università Cattolica del Sacro Cuore – Istituto di Sanità Pubblica – Sezione Igiene, sul quale un noto quotidiano della capitale scriveva : «Allarme rosso per la mortalità causata dalle infezioni ospedaliere: si è passati dai 18.668 decessi del 2003 a 49.301 del 2016. L’Italia conta il 30% di tutte le morti per sepsi nei 28 Paesi Ue». E continuava: «C’è una strage in corso, migliaia di persone muoiono ogni giorno per infezioni ospedaliere, ma il fenomeno viene sottovalutato, si è diffusa l’idea che si tratti di un fatto ineluttabile», ha detto Walter Ricciardi, Direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute. Di seguito nello stesso articolo si aggiungeva: «In 13 anni, dal 2003 al 2016, il tasso di mortalità per infezioni contratte in ospedale è raddoppiato sia per gli uomini che per le donne. L’aumento del fenomeno è stato osservato in tutte le fasce d’età, ma in particolar modo per gli individui dai 75 anni in su. I tassi regionali, spiega il rapporto Osservasalute, presentano un’alta variabilità geografica, con valori più elevati nel Centro e nel Nord e valori più bassi nelle regioni meridionali». Non era, ancora, il tempo del corona virus. Ma avrebbe dovuto far pensare. Avrebbe richiesto una osservazione attenta.
Oggi quei numeri testimoniano la sottovalutazione del fenomeno e si connettono – almeno indirettamente – all’incidenza del contagio nelle strutture ospedaliere e nelle RSA e, più in generale, nelle case di cura per anziani. I dati che oggi riguardano i contagi da corona virus nelle case per anziani, sono in proposito significativi. «Sono stati resi pubblici in un rapporto stilato dall’Istituto superiore di Sanità… L’indagine è stata condotta su un campione di 1.082 strutture. Dal primo febbraio al 14 aprile 2020 in queste strutture ci sono stati in tutto 6.773 decessi tra i residenti. E nel 40,2% dei casi (ovvero 2.724 su 6.773), le morti sono avvenute con infezioni da Covid o per patologie simili all’influenza: più di 1.600 solo in Lombardia (su 3.045 decessi totali), circa 300 (su 520) in Emilia-Romagna. I 3.045 decessi della Lombardia rappresentano il 45 per cento rispetto ai 6.773 totali; il Veneto in questa triste classifica segue con il 16,1%, poi c’è il Piemonte con il 10,1».
Leggo in un sito di informazione «L’emergenza sanitaria in Sardegna è tra il personale medico: riguarda il tasso anomalo di contagi fra medici e infermieri nell’ Isola. Sono attualmente 255 i contagiati tra gli operatori sanitari, 176 negli ospedali e 40 nelle Rsa. Numeri certamente inferiori in valore assoluto a quelli delle regioni più colpite, ma che in percentuale rivelano come l’85% delle infezioni sia avvenuta in ambito lavorativo. Lo scrive il Fatto. Il dato del personale sanitario contagiato pesa per il 24% dei casi Covid nell’ isola, circa il doppio della media nazionale». In Sardegna, pochi giorni fa si pubblicava: «su 86 decessi da Coronavirus, più della metà sono avvenuti nelle case di riposo e per questo le procure di Cagliari e di Sassari hanno aperto un fascicolo. Il numero complessivo dei contagiati sull’isola è di 1.198, due terzi dei quali (789) concentrati nella provincia di Sassari e in massima parte fra ospedali e residenze per anziani».
Le domande che ci dobbiamo fare – in un Paese dove le persone, già da quasi due mesi, senza colpa, sono private della libertà, dei diritti fondamentali, individuali e sociali, ad esistere, a lavorare, a condividere – riguardano la politica sanitaria in Italia, dalla Lombardia alla Sardegna. Dobbiamo chiederci quanto abbiano pesato e pesino sulla salute le pratiche di costruzione del consenso elettorale attraverso il controllo delle strutture sanitarie, le dinamiche che – ancora – privilegiano la partita delle nomine rispetto a quella della sicurezza dei pazienti e del personale sanitario, medici, infermieri, OSS. Quanto sia venuta fuori implacabile questa verità, – per esempio nella nostra isola – e come sia disordinata e colpevole la risposta alla giusta pretesa di sapere. Perché il rispetto rigoroso – ieri prima di oggi, nel quotidiano ordinario e nell’emergenza – dei protocolli di gestione dei ricoveri, di sanificazione degli ambienti, di regolazione degli accessi in ambito ospedaliero, di formazione degli operatori etc. etc. non sia la priorità nella testa degli Assessori e degli Assessorati Regionali.
Domande da rivolgere a chi – in queste ore – pensa, ancora, all’amministrazione pubblica come un terreno di conquista, e agli uffici di responsabilità, come incarichi fiduciari atti a rafforzare il proprio ambito di influenze. Domande che si devono porre i sardi – di fronte ai dati ufficiali e alle incoerenti prese di posizione di chi governa la Sardegna – per riflettere su quale diffusione avrebbe avuto il contagio nell’Isola se in alcuni ospedali o case per anziani tutto fosse stato fatto con le attenzioni previste dalle leggi, dai regolamenti, dai protocolli di intervento, dalle indicazioni delle autorità sanitarie, internazionali e nazionali.
Personalmente, credo che si sia risparmiato molto sulla igiene pubblica in genere, nonostante la proliferazione di insetti o animali veicoli di malattia non sia sparita. Negli ospedali, ma nei luoghi pubblici in genere suppongo sia avvenuto lo stesso.
Tristemente, per esperienza, so che gli ospedali sono spesso sporchi ed un paziente non può chiedere niente, a pena di un peggiore trattamento. Quindi, mentre stimo molti medici e qualche infermiere, devo ammettere che molta melassa sparsa su tutto l’ambiente mi ha lasciato perplessa…
Sacrosanto. E in un Paese «dove le persone, già da quasi due mesi, senza colpa, sono private della libertà, dei diritti fondamentali, individuali e sociali, ad esistere, a lavorare, a condividere», certe domande investono, di riflesso, anche la qualità della stampa e la maturità dell’opinione pubblica. Se il livello critico e di reazione ‘sana’ di una società nella quale certa politica rapace semina e va a mietere è quello che abbiamo visto in questi tempi, il futuro potrà riservare sorprese ben più amare.