Caro Paolo,
il fortuito recupero di due articoli a firma di Mario Berlinguer, esponente azionista negli anni della liberazione, usciti in prima pagina sulla rinata Unione Sarda (a gestione CLN) fra dicembre 1943 ed aprile 1944 mi ha suggerito qualche riflessione che ti mando insieme con quei due brevi interventi.
Gli immemori e la memoria dei giusti
La premessa è la (sgradevole) singolarità di un ministero nazionalista e sovranista chiamato a (non) far memoria, giusto nel centenario, delle vicende che accompagnarono la patria verso il fosso delittuoso della dittatura. Così è stato anche al Comune di Cagliari quando, ancora pochi mesi fa, il sindaco di militanza nazionalista e sovranista non ha ricordato, né alcuno l’ha sollecitato a ricordare, il centenario del commissariamento prefettizio, premessa del ventennale regime podestarile.
Non credo sarebbe male (per noi stessi e l’universo mondo) se, per qualche tempo, ripulissimo la nostra mente dallo spettacolare affollamento delle magre eccellenze serviteci a pranzo e a cena dalle cronache politiche correnti – leggi Salvini e Toti, Meloni e Bonelli, Todde e Tajani, Conte e tanti e troppi del PD nazionale e regionale – e inventassimo noi il perfetto appello. Dico quello di coloro che la stagione della risorta democrazia la costruirono ora per ora, chi seminatore chi mietitore, chi col sacrificio personale d’una eroica vita intera, chi con la fatica ed il rischio nel quotidiano, magari passando per processi e rimozioni dal lavoro, celle galeotte od esilio. Così dai primi anni ’20 che rimandano a don Minzoni, Matteotti e Gobetti, a tutti gli anni ’40 che ci portano, a fine guerra, ai riconquistati turni amministrativi (col primo esercizio dell’elettorato femminile), al referendum e alla costituzione repubblicana del 1947 fino al parlamento inaugurale. Per noi sardi anche allo statuto speciale ed alla prima assemblea regionale. Riossigeneremmo il cervello e la voglia di futuro.
T’immagini un giornale in uscita domani e dopodomani, in cui, tra fondi e spalle, fra corsivi e pastoni, catenacci e titoli più misurati, deliberatamente si mischiasse, in prima pagina, una dichiarazione dell’on. Donzelli («che ore sono?», «Giorgia Meloni dice che sono le sei») e una di Ferruccio Parri o di Leo Valiani, una intervista all’on. Crippa o all’on. Zaia ed una a Emilio Lussu o a Titino Melis, un articolo di “olimpiche prefigurazioni” della presidente del Consiglio ed un altro a firma della sorella Arianna e del cognato Francesco ed un fondo, a firma anch’esso associata, di Pietro Nenni e Giuseppe Saragat? Un direttore illuminato potrebbe, l’indomani, impaginare un discorso dell’on. Rampelli o dell’Alessandra Mussolini, magari anche un box biografico del sen. Marcello dell’Utri e la cronaca d’un qualche comizio di Sandro Pertini, Umberto Terracini o Ciccio Cocco Ortu, o una sintesi degli interventi di Ugo La Malfa e Francesco Fancello al congresso del Partito d’Azione. Sull’Europa in divenire Carlo Sforza e Luigi Einaudi potrebbero esser messi a confronto con l’on. Tajani («che ore sono?», «il presidente Berlusconi diceva che potrebbero essere le 7») e magari con la scienza dei tanti reclutati per migliorare la qualità dalla destra: De Gregorio, Razzi, ecc. ed anche l’attuale ministro della Cultura che, nella sinistrorsa nomenklatura Rai ancora di pochi giorni fa, figurava direttore del TG2 e già vice direttore del TG1… Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli potrebbero contendere qualche spazio agli analisti di Cinque Stelle, liberi questi ultimi dalle avventurose ipoteche di Ventotene e candidati a prender un posto qualsiasi da ministro o sottosegretario. Anche il buon nome di Enrico Mattei potrebbe essere risvegliato profilandolo, prima che fra i grandi manager dell’industria petrolifera, fra i “patrioti” che erano stati “partigiani” ed avversari braccati dai “collaborazionisti” pro-burgundi (fra essi i registi di Fossoli: la Fossoli della prigionia di Armando Businco il mazziniano repubblicano-e-sardista e preside di Medicina a Bologna). “P” come patrioti-partigiani, bisognerebbe farne memoria.
Giornalismo stucchevole
M’è parsa stucchevole ed inutile l’insistenza con cui da parte di giornalisti piccoli piccoli, uomini delle frasi fatte anch’essi, si chiedeva una professione di antifascismo ai presidenti del Consiglio o del Senato. L’intervista avrebbe dovuto riguardare semmai le loro ascendenze ideali per raccogliere l’eventuale (?) rammarico per la lontananza di queste dalla fraternità costituzionale costruitasi a Montecitorio nella bella stagione.
Caro Paolo, io la metto così: se qualcuno mi chiedesse chi sono i miei padri e le mie madri nell’ideale civile non avrei difficoltà a rispondere: «Giuseppe Mazzini, Giorgio Asproni, Ugo La Malfa, Bastianina Martini Musu». Credo non avresti difficoltà neppure tu, a banda ancora più larga: «Antonio Rosmini e Luigi Sturzo, De Gasperi e Dossetti, Margherita Sanna e Lussu». Quali nomi potrebbero fare i nostri presidenti pro tempore? E l’on. Solinas il leghista? Forse mai Mastino e Oggiano, forse mai Dino Giacobbe?
Invece di chiedere impossibili e banali professioni di antifascismo, i cronisti avrebbero potuto azzardare: «Tizio mi ha risposto di riconoscersi nel liberalismo, Sempronio nel riformismo e Calpurnio nel socialismo di classe, Mevio nella democrazia radicale, Caio nell’autonomismo di radice cattaneana, Filano nel cattolicesimo sociale. Ma lei, povera onorevole Meloni? Non avverte la sofferenza di mancare di padri e di madri che abbiano lavorato, con gli altri costruttori, all’articolato della costituzione nostra su cui ha giurato, alla carta della Repubblica una e indivisibile? Non sente lei il bisogno di confidare d’esser nata orfana d’una scuola di pensiero civile? E come può governare dignitosamente, davanti al mondo, senza onorare una ascendenza storica?».
Pochi mesi fa cadeva il centenario dello scioglimento d’autorità del Consiglio comunale (e della giunta) di Cagliari da parte del governo in prova di dittatura (Mussolini aveva anticipato tutto venendo nell’Isola a giugno del 1923, ossequiato da sindaci e vescovi, mentre mezzo PSd’A s’era appena intanato nel Partito Fascista). Fu un commissariamento accompagnato da una gran gazzarra attorno al municipio di via Roma. Quanti “progressisti” del PD d’oggi si sono ricordati della circostanza e hanno promosso, stimolandone anche l’amministrazione, un ripasso critico, riflessivo e morale, di quella vicenda?
Toponomastica nera
Nei mesi scorsi è stata intitolata a Cagliari una piazza a Sergio Ramelli, giovane neppure ventenne (allora mio coetaneo) assassinato dagli invasati avversari della sinistra extraparlamentare nel tempo delle alterne provocazioni fra soldati neri e soldati rossi, inconsapevoli e gli uni e gli altri di quanta virtuosa fatica fosse costata, trent’anni prima, la Repubblica del dialogo democratico. Ramelli santo ma … come incrociò egli la sua storia con quella di Cagliari, della Cagliari di Cesare Pintus e Silvio Mastio e Giovanni Lay? (Ho documentato altre volte i “capolavori” di toponomastica delle giunte di destra di Cagliari nelle intitolazioni di strade e piazze e delle bugie spaventose riportate nelle schede biografiche come quella di Vittorio Tredici primo podestà della serie locale, fatto passare per deputato del PSd’A invece che del Partito Fascista allora in duumvirato monarchico). Ma Ugo La Malfa padre della patria resistente e così virtuosamente compromesso, da titolare della Programmazione nel primissimo centro-sinistra, con la politica della Rinascita sarda (svincolata dalle centralistiche ipoteche CasMez), ma Giovanni Battista Melis che di La Malfa fu fratello 24enne nella prigione di San Vittore (allora anche con Antonio Gramsci)? A loro, pur mille volte sollecitati, gli amministratori nostri hanno mai pensato? Vero è che mestieranti della chiacchiera sono anche questi cosiddetti progressisti con casacca improvvisata, che nulla sanno (e nulla vogliono sapere) delle virtù di chi dovrebbe essere riferimento ideale, mai troppo remoto, della loro stessa militanza civile e politica.
Perché il dramma della società liquida lo vedo soprattutto nella rinuncia a leggere i fatti nel loro svolgimento, entrando nelle cause e cogliendone le derive, traendone motivi di sequela naturalmente nell’aggiornamento dei tempi. Né questo discorso, invero piuttosto semplice, è mai colto neppure dai commentatori (oggi si chiamano “opinionisti”) che s’affacciano ogni giorno dallo schermo nelle case: se il gruppo europeo della Meloni si chiama “dei conservatori e dei riformisti” non meriterà una puntualizzazione? I conservatori sono per definizione di destra e i riformisti di sinistra, e dunque che razza di gruppo politico potrà essere quello che si chiama “destra-sinistra”? Trattando di Europa e di alleanze fra gruppi politici non ho sentito alcuno riflettere su come il popolarismo di oggi (quello sposato da Berlusconi che pur era intimo di Craxi) si connetta al popolarismo storico di matrice cattolica, o cattolico-evangelica dei De Gasperi e degli Adenauer e Schuman, ecc. , né ho capito quale memoria conservi il socialismo d’oggi con l’elaborazione di uno Spaak (o nella sponda britannica di un Beveridge lib-lab), e che relazione, ovviamente evolutiva, abbia il liberalismo d’oggi con quello di un Gaetano Martino, e dove germogli il seme teorico di Spinelli e Rossi e Colorni dal cui orizzonte etico-civile non poteva mancare, diretto o indiretto, il richiamo di Mazzini profeta visionario. Ché la politica è figlia della storia e la nuova storia, a sua volta, essa contribuisce a creare.
Dunque nel 1944 Mario Berlinguer scriveva, sul quotidiano di Cagliari, di Giovanni Amendola prossimo – così come Piero Gobetti – alla morte per mano fascista. Testimoniava su di lui e sulla lista liberaldemocratica da lui ispirata che nel 1924 aveva visto la partecipazione dello stesso giovane avvocato sassarese (allora 33enne) e dell’anziano (82enne), e per lungo tempo combattuto, decano della Camera Francesco Cocco Ortu. Di quel Cocco Ortu, vittima di brogli elettorali operati dai fascisti allora, del quale aveva tracciato, Berlinguer, un bellissimo profilo in un altro articolo, uscito pure esso su L’Unione Sarda e che costituisce, a mio avviso, il miglior riconoscimento “testamentario” del parlamentare e già ministro di Zanardelli e Giolitti.
Caro Paolo, ti mando questi due bei documenti anche rammentando le tue (comprensibili) riserve sulla figura di Cocco Ortu, certo come sono che un approccio storicista e una più larga visione biografica, possa mitigare il tuo giudizio sul leader liberale sardo di tanto passato.
Grazie della ospitalità.
Abbracci, Gianfranco Murtas
Caro Gianfranco, Beveridge non era un lib-lab, ma un liberale tout court( fu anche leader dei liberali alla camera dei pari ).
Quanto alla sconfitta di Cocco Ortu nel 1924, la stessa fu dovuta non solo ai brogli elettorali, ma anche alle manovre di qualcuno candidato nella stessa lista.
Del resto, come mi ha spiegato un giovane storico che ha studiato la figura del maggior politico sardo dell’epoca liberale, vi era una naturale incompatibilità tra chi, nonostante il burrascoso colloquio con il re, continuava ad essere un leale monarchico ( si leggano le ripetute lodi nei confronti di Vittorio Emanuele II scritte nel suo diario ) e coloro che invece già pensavano a una repubblica.
P.S. non sarebbe male che nella toponomastica cagliaritana trovassero un posto Giovanni Malagodi e Margherita Costa Zanni.
Qualche nome tra i sopra citati mi appartiene, molti altri mi dicono ben poco. Dice benino l’autore della lettera affermando che “il dramma della società liquida lo vedo soprattutto nella rinuncia a leggere i fatti nel loro svolgimento, entrando nelle cause e cogliendone le derive, traendone motivi di sequela naturalmente nell’aggiornamento dei tempi”, ma fa male a non fare autocritica (se il presente è così brutto – come ahinoi lo è – possibile che i molti altri di cui sopra siano totalmente innocenti?). In un articolo del padrone di casa vi è la risposta al detto e non detto della lettera: “vecchi schemi della sinistra italiana, innestati sul ceppo di cultura laico-repubblicana…”?
Enrico, grazie ai “pipponi”, come superficialmente lei li definisce, pronunciati e scritti da grandi uomini e tradotti in pratica da altri grandi uomini politici, oggi viviamo in una parte di mondo dove ci si può ancora confrontare senza che un’autorità ci imponga ciò che dovrebbe essere giusto pensare e dire.
Giovanna Giovanna. Sapevo che sarebbe saltata fuori una come te che pensa che il non voto sia solo a sinistra. E che con gli insulti gratuiti si qualifica da sola. Per il resto, vergognati di quello che ti pare.
Marco io non ho criticato il fatto che sia stato scritto e pubblicato e ritengo sia giusto scrivere e pubblicare qualsiasi cosa, Ho solo espresso un giudizio. Se fosse interessato al 90% delle persone le elezioni da due anni a questa parte non sarebbero andate come sono andate. Io dico solo che è un periodo che non si fa altro che tirare fuori sempre gli stessi argomenti e sempre gli stessi slogan, Non uno di questi “storici” moderni, di queste invettive che mi ponga il problema di una politica economica mal fatta, Di un provvedimento del governo che abbia leso i diritti. Di una vera censura (oggi ci sono più urlatori contro il governo come mai si sono visti. L’appiattimento – il regime – c’è stato con i governi dei Bravi, Da ultimo Draghi, che veramente non avevano contro altare). Che mi tiri fuori provvedimenti illiberali o illegittimi. Che critichi il governo per delle cose concrete che incidono sulla pelle dei cittadini tutti i giorni. No slogan. Slogan e slogan. Inutili e anche dannosi a chi dovrebbe rappresentare una vera opposizione. Se si ritiene che ci sia un regime lo si dica chiaramente e si agisca. Se si ritiene che l’attuale maggioranza non sia legittimata lo si dica chiaramente e si agisca. Altrimenti si prenda atto che il popolo ha scelto, Lo so è dura da capire per personaggi come Giovanna, che dall’alto della loro sicumera attribuiscono epiteti e destra e a manca ma funziona così. L’opposizione si fa come in questo sito, Si prendono gli atti posti in essere e li si criticano politicamente.
Buona serata.
Enrico, lei crede che al 90% delle persone questo articolo non interessa, ergo non doveva essere scritto o pubblicato; credo sia giusto e rispettoso dare al lettore l’onere o l’onore di esprimere un giudizio su cosa ha letto, piuttosto che sia lei a decidere chi deve scrivere cosa.
Un caro saluto
Caro Enrico, mi vergogno tanto in parte tua per la brutta figura che hai fatto, ricordati che purtroppo le elezioni le vince il non voto, cogli l’occasione di quel “pippone ” per capire e conoscere cos’è la politica o cosa dovrebbe essere.Simpaticamente fatti visitare da uno BRAVO.
Per me invece leggere ciò che ha scritto il sig G. Murtas (ed i testi richiamati) è stato come respirare profondamente una boccata d’aria fresca, ristoratrice e benefica…. Grazie.
Bella cronistoria del secolo passato ,che tanto ha visto,tanto ha costruito intellettualmente e politicamente !!!! Rappresentano radici ? Rappresentano origine degli attuali assestamenti ,,? Non credo !!! Le evoluzioni ,anche disordinate ,avvengono seguendo le nuove esigenze del mondo moderno !!! Quanti dei Grandi citati capirebbero oggi la teoria Gender ? Quanti di loro sarebbero avvulsi dal politialy-correct ??? Le nuove guide della destra e della sinistra ,ritengo avrebbero qualche problema a riconoscersi in quegli illustri pensatori ,eppure hanno un seguito popolare ,forse anche stanco , che ne approva idee (poche e confuse ) ,aggregazioni,speranze e programmi .
E quindi? Dopo questo bel pippone in cui si cita di tutto e di più, tranne la segretaria del PD (forse i padri e le madri di quest’ultima si fa giustamente fatica a ricordarli) cosa si ottiene? Che ancora una volta, in un perfetto stile democratico, si vuole delegittimare chi ha vinto le elezioni. Si delegittimano gli elettori che si sono espressi e continuano a farlo. Brutto brutto esercizio di democrazia. Viatico all’odio tra bande. Alla istigazione al mancato riconoscimento dell’avversario e dell’istituzione che rappresenta. Ma poi diciamoceloa tutta al 90% delle persone di tutto questo non interessa niente. È talmente forte il senso democratico che queste elucubrazioni servono solo a chi le scrive.