di Paolo Maninchedda
Appena diventato assessore, mi sono trovato di fronte un piccolo bando per i cimiteri. Un altro dovrei farlo quest’anno. Senza che questo debba significare niente di particolare per nessuno, non riesco a entrare facilmente nei cimiteri. Se potessi, andrei a trovare babbo e mamma di notte, quando non c’è nessuno. Quando due ragazzi del mio paese morirono di incidente stradale, tanto tempo fa, mi fermavo a dire una preghiera per loro (che è un modo per tenere sempre vivo il ricordo) tornando a casa, quando il cimitero era chiuso, di fronte al cancello. A LA Maddalena, dove ogni tanto vado a visitare il condominio dei miei morti, è ancora peggio. Entando a sinistra, in una tomba teragna, una signora morta dopo un aborto clandestino; a sinistra ancora, a parete, tra gli “eroi di guerra” il marito della cugina di mio babbo; più avanti, sempre a parete, la sorellina di babbo morta di difterite, mentre nella parte più antica ci sono le tombe orgogliose degli amici di Garibaldi, che non ricordano e non invocano Dio, ma solo l’eroe dei due mondi. Insomma, la morte nei cimiteri rimane morte, ti prende alla gola, non ti lascia tregua, e il ridicolo del mondo continua a essere tale anche nelle epigrafi dei defunti. Balzac avrebbe potuto scrivere i suoi romanzi, passando in rassegna quelli deducibili dai fumetti epigrafici della commedia funebre,
Non cambiano le cose con la cremazione. Quando accompagnammo la salma di mia madre a Livorno (perché in Sardegna non funzionava nessuno dei tre inceneritori allora esistenti), aspettammo per ore il nostro turno e girovagai per un cimitero diviso in tre parti: cattolici (una prece); massoni (un compasso) e comunisti (una rivoluzione). Tutte le epigrafi erano stinte e il primo inceneritore italiano, voluto dai massoni (con la convinzione di dimostrare che l’anima non esiste, che tutto è cenere) sta lì macabro e nero, senza alcuna poesia, neanche politica.
Adesso stanno proponendo una soluzione che a me piace molto: le foreste sacre. In sostanza si viene sepelliti in involucri inseriti in tombe terragne su cui viene piantato un albero. Nascerebbero delle foreste sacre, ci sarebbero meno lapidi (Foscolo perdonerà, ma l’unico vero ricordo è di chi hai amato e di chi ti ama, gli altri sono ricordi ‘politici’, ossia effimeri), più alberi, e si passeggerebbe tra loro respirando la vita, non sentendosi schiacciati dalla morte. Se è vero, come diceva Theilhard de Chardin e come io credo, che noi siamo esseri immortali che diventano liberi facendo un’esperienza mortale,non dobbiamo costruire condomini anche per i morti. Le grandi architettura dell’anima sono la residenza dei nostri cari. In terra, costruiamo la vita. Per me vorrei un albero come quello della foto: storto.
Comments on “Meglio le foreste dei cimiteri”
Comments are closed.
Un solo concetto: Grazie della bellissima idea!
Ciao Paolo,
esiste un brevetto svedese della biologa Susanne Wiigh-Mäsak per un tipo di sepoltura ecologica basata sul compostaggio. Ti mando un link al suo sito, magari lo conosci già:
http://www.promessa.se/
Per chi volesse reperire informazioni in italiano invece, c’è un bell’articolo di Internazionale nel numero 1058 (4/10 luglio 2014.
Belle le foreste, piacevano anche ad Antoni Gaudì che le ha riprodotte nelle colonne della Sagrada Familia.
Sicuramente sarebbero una valida alternativa, per ricordare i cari defunti. Decisamente meglio dei loculi a più piani, emblema di quanto può essere orrenda la modernità a tutti i costi.
Detto questo, penso che, comunque, dopo un po di tempo si inizierebbe a distinguere tra albero ed albero. Fare in modo che ciascuno sia piantato in un lotto di dimensioni proporzionate alla grandezza del trapassato, alcuni dotati di piscina e dependance, altri di colore grigio in analogia alle case popolari. Alcuni bianchi, altri di colore. Alcuni autoctoni altri di provenienza diversa etc. etc.
Alla fine con cambierebbe nulla. Si riprodurrebbero le stesse differenze di classe esistenti come in vita cosi in morte.
Per questo credo che sia meglio lasciar fare alla natura che crea e distribuisce meglio di qualunque rappresentante della specie umana.
Il Comandande
Ho fatto un abbonamento a una rivista on line: leggo il blog di Paolo Maninchedda!
Non so’ il perché ma il suo articolo mentre meditavo mi ha riportato alla mente: “Antologia Di Spoon River – Edgar Lee Masters”. Sa il libro dove ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita delle persone sepolte nel cimitero (Masters si è ispirato a personaggi realmente esistiti ed ancora in vita). La loro caratteristica, è che essendo già passati a miglior vita non hanno più niente da perdere e quindi possono raccontarsi sinceramente. Ognuno di loro ne cita altri ed è possibile vedere la stessa storia da punti di vista diversi. Fabrizio De Andre ha reso attuali queste poesie . A nos v’idere sanos
Prato verde rasato con macchinetta automatica elettrica silenziosa, alberatura senza manutenzione… = pochi costi di gestione così smetteremo di pagare almeno da defunti…
Per me dopo la morte più niente mi ricordo degli estinti come quando erano in vita ed è così che li voglio ricordare entrare nei nostri cimiteri sembrano solo altari pagani (industriali)
quell’albero della foto sarà anche storto, ma è a suo modo proteso a indicare una direzione ben chiara…
dà un’idea di solidità e resistenza alle intemperie…
ma anche di vitalità…
segno che le radici sono profonde e forti…
viva gli alberi storti
Termovalorizzatori. National Geographic dovrebbe recarsi a Macomer….. Queste non sono parole contundenti.
Non solo un onesto “amministratore della cosa pubblica” ma anche un uomo sensibile, che mentre parla di “Morte” sta parlando di vita. Ci ricorda che siamo di passaggio, e il territorio non va “consumato” perché è un bene prezioso che abbiamo solo in prestito, dobbiamo arricchirlo non depredarlo. E lasciare dopo di noi un albero è il miglior modo di lasciare traccia di sé non solo nella memoria di chi ci ha amato.
La sua è una community post inclusiva per tutti e per le loro idee. COMPLIMENTI
Dalle mie parti “i condomini” che purtroppo vedo da queste parti non esistono. La legislatura è molto diversa, le ossa vengono ritirate molto presto, ma sulla terra rimane la croce e spesso oggetti che hanno caratterizzato la nostra vita. In Danimarca, così come in Svezia, Norvegia, Paesi Bassi i cimiteri sono giardini dove passeggiare. In tanti andiamo a fare merenda, a chiacchierare. La morte è vicino a noi così come deve essere, è sofferenza e anche consapevolezza.
Qui la morte viene ripudiata culturalmente ad ogni livello.
Dai costumi generali alle istituzioni che come dice lei accatasta corpi o meglio bare in pila come fossero in una grande cassettiera di scarpe. Nessuna intimità col defunto, nessuna consapevolezza serena della vita. Una triste fine da queste parti e non perchè si muore ma perchè il senso della morte non esiste. Sono foscoliano, se non è una lapide anche un albero come dice lei, purchè i sopravvissuti ricordino o meglio abbiano dove andare, dove ritrovare se stessi con i propri cari estinti, per non temere la morte sino a ripudiarla.
L’ho detto io che l’inferno è su questa terra!!!!!
Per fortuna siamo solo di passaggio e non ci portiamo via niente, se non l’anima.
Ah dimenticavo… lasciamo su questa povera e martoriata terra anche le vasche di laminazione.
Adiosu