Riprendo a scrivere, ma fino alla fine del mese, con minore intensità.
Oggi leggo l’intervista dell’Unione allo scrittore Maurizio De Giovanni. È bella a metà.
De Giovanni è un autore che porto nel cuore da tempo, per due motivi.
Il primo è che il suo personaggio d’esordio, il commissario Ricciardi, rappresenta, in un genere quale il giallo-poliziesco, dove tutti copiano da più di cent’anni, una certa novità. Tutti quelli che sanno che la letteratura è una forma di conoscenza, tutti quelli che patiscono di avere premonizioni, tutti quelli che hanno sperimentato come in specialissimi momenti si possa vedere la realtà fuori di sé, sanno che per non sembrare pazzi ed essere dileggiati bisogna vivere un po’ disadattati, tacendo il proprio talento come se fosse una malattia, esattamente come Ricciardi. La letteratura non è il riflesso della realtà, come dicevano i marxisti più rozzi, è la sua rivelazione antistorica.
Gli altri romanzi mi sono piaciuti di meno; li ho trovati orientati verso le riduzioni televisive o cinematografiche (come ormai accade a molti romanzi).
Il secondo motivo è che De Giovanni è diventato da poco un cardiopatico, è entrato nel club di quelli che la mattina quando si svegliano ascoltano il ritmo, verificano che vada tutto bene e vigilano sul prosieguo della giornata, sono esperti di antiaritmici, betabloccanti, anticoagulanti e antifottutissimi tutto, cioè di quella farmacopea che se cura il cuore, sicuramente non cura la mente e il resto di questa gabbia corporea che ci impedisce di vagare per l’universo come il codice della libertà degli spiriti permette. Chi è cardiopatico è più gentile, non perché abbia paura, ma perché sa che può rendere conto da un momento all’altro e dunque smette di mentire.
Dicevo che l’intervista è bella a metà, solo per la prima parte. La seconda è dedicata ai romanzi di Sara, la protagonista della nuova serie di De Giovanni, ex agente segreto e come tale già candidata a non piacerci per saturazione letteraria e cinematografica, per prevedibilità di tutte le furbizie degli intrecci ecc. ecc., come poi ha confermato la lettura dei primi tre libri.
Nella prima parte dell’intervista De Giovanni afferma: “In Sardegna vengo molto volentieri perché sono innamorato dell’Isola che per me è una nazione. Ha delle specificità, delle realtà culturali proprie che esercitano su di me un fascino enorme“.
Ho pensato tra me: “Una cosa così semplice e vera viene detta con candore e sicurezza da uno scrittore, ma non viene neanche pensata da un leader del cosiddetto centrosinistra allargato, sempre che lo sforzo enorme fatto per metterlo insieme non sia stato ormai vanificato dalle tante furbizie egemoniche estive (mi pare che due partiti siano già andati via e che altri due siano sul punto di farlo)”.
L’assenza di cultura federalista nella Destra e nella Sinistra italiana (entrambe dogmatiche, entrambe sempre portate a affermare la propria posizione come unica autenticamente vera) porta il bipolarismo italiano e ahimè sardo a negare le differenze della realtà. Nel tempo della tirannide del politically correct (il più efficiente sistema di autocensura mai partorito dalla storia, troppo vezzeggiato a Ssinistra), si possono riconoscere le differenze razziali (questa regressione ai dati primitivi della razza e del genere) ma assolutamente non le differenze culturali e non etniche (la cultura sarda è un capolavoro di meticciato che si erge contro ogni etnicismo). Suggerisco a tutti un bellissimo libro: Libertà. un manifesto per credenti e non credenti, con postfazione di Silvano Tagliagambe, un libro per imparare a praticare un giusto relativismo, quello che gli scrittori capaci, come De Giovanni, traducono in varietà di personaggi.
Una cosa sono le “specificità, delle realtà culturali proprie” (che esercitano sullo scrittore “un fascino enorme”).
Però dubito che ” L’assenza di cultura federalista nella Destra e nella Sinistra italiana” sia la causa, o una delle cause, dell’attuale degrado della nostra Isola.
È uno dei temi che ogni tanto qualcuno, magari più in cerca di consensi ma con poca o nessuna intima convinzione, sventola per essere “politico sardo corretto” .
Forse bisognerebbe lasciare da parte, quantomeno momentaneamente, la rincorsa alle nostre identità sociali e culturali, che al turista-scrittore di turno , ma beninteso anche al nostro intimo, “esercitano un fascino enorme” e darsi da fare in modo diverso da quanto fatto finora per ottenere, perché in definitiva ci spetta, ciò a cui pensano le persone che, in questo e in altri blog, scrivono, leggono e commentano.
Voglio dire che forse si fa l’errore di pensare che sguainare i valori della nostra identità sia utile per arrivare ad avere un governo della cosa pubblica in quest’isola degno di questo nome. In tanti anni questo è stato fatto e i risultati sono davanti ai nostri occhi. Allora rassegniamoci: la cultura federalista difficilmente ci servirà più di tanto. Forse servono convinzioni diverse.
a proposito di “nazione” identificata in noi sardi da non sardi
qualche anno fa mi capitò di pranzare con Cevoli, il comico romagnolo, che la sera doveva fare lo spettacolo in paese, a teatro.
dopo pranzo, facendo una passeggiata post caffè, mi diceva che amava la Sardegna, ma non tanto per il mare o la natura, che pure riteneva meravigliosa, ma per la gente che ci abitava.
“voi non vi rendete conto, ma avete qualcosa dentro che vi fa essere diversi, non so dirti cosa. siete particolari. ho diversi amici che sono venuti in Sardegna per starci qualche mese per lavoro e poi non sono andati più via, hanno messo su famiglia, cambiato lavoro, mettono su casa… non so dirti perchè, ma voi sardi avete qualcosa…. di speciale…”
(escludo che lo dicesse per piaggeria, perchè fu un’osservazione totalmente fuori contesto rispetto alla chiacchierata)
ogni volta che me ne ricordo mi sento orgoglioso!
poi però, mi ricordo che abbiamo messo Solinas presidente…
Is partidus italianus (dèu cumentzu sempri de is “mellus” ca parit prus craru calis funt is peus) funt s’iscallatóriu de is Sardus, ipso facto ispimpirallaus (e fintzas fatus a vapori ma chentz’e motori) a tragu (o avatu) de totu is bentus e nuis salvinistas trapassadas e a trapassai in s’istória: in terra, sa chi crieus ma no crieus nosta, Unioni a paneri parau e manus paradas e… bai e busca! Ma posidura unu pagu difìcili chi aguantit sentz’e ponni manus e faci in terra, a buca in terra. Sa natzioni est solu una nozione a cultura papagàllica in is vocabbolàrius .
Disadattati, “letteralmente” antistorici e con una vena pazza di relativismo: tre doni da chiedere quasi come grazie del cielo!
La ringrazio, è sempre un piacere formativo poter leggere i suoi contributi.
Ps. Se riuscissimo davvero, come il caro De Giovanni, ad innamorarci della “nostra” Isola nazione, tante cose muterebbero.
Buongiorno Paolo…leggere i tuoi articoli giornalieri è diventata una dolce abitudine , come prendere un buon cappuccino e brioche al bar con un amico…saluti…
Buongiorno Paolo, bentornato dalle vacanze