Il Presidente della Repubblica italiana Mattarella ha elogiato la coerenza di Dante come virtù esemplare del poeta fiorentino.
È vero, Dante fu coerente, ma in un modo tutt’altro che italiano, perché fu prima guelfo e poi ghibellino e anche da ghibellino non esitò a collocare all’inferno il vescovo di Bologna Ottaviano degli Ubaldini, campione dei ghibellini, nella stessa tomba di Farinata e di Federico II, l’imperatore invece elogiato nel De vulgari eloquentia.
Dante fu coerente, sì, ma con se stesso, caratteristica non apprezzata sul suolo italico, dove invece prevalgono i settarismi, i gruppettarismi, l’obbligo di scegliere una parte per sempre e qualunque cosa faccia. Dante, invece, abbandonò la compagnia scempia dei guelfi bianchi, ma rinnegò anche tutti gli ideologemi politici del suo maestro Brunetto Latini. Oggi, un commentatore de Il Ratto Quotidiano lo definirebbe un “voltagabbana”.
Saper stare da soli, nutriti di una sofferenza e disciplina interiore che si è imparato a nascondere, questa è una delle tante lezioni di Dante. In Italia, essere giusti in solitudine perché si è stati capaci di riconoscere i propri vizi come primi avversari, è considerata una colpa. Un uomo libero interiormente perché capace di guardarsi fin nei suoi aspetti peggiori (e in fin dei conti è impossibile capire Dante se non si comprende la consapevolezza del poeta di aver bisogno di Grazia, cioè insieme di perdono e di giustizia, di un’azione che ti riscatta lasciando per terra la buccia vecchia e rendendo eterno il meglio di te) è considerato un pericolo, un uomo superbo e incontrollabile (non a caso, la superbia dantesca è il leit motiv delle tante biografie del poeta, nelle quali ogni biografo ha addomesticato a se stesso la complessità della personalità del poeta) oppure una figura da manipolare, da adattare, da deformare per la storia. È quanto è accaduto a Gramsci, entrato comunista in carcere, ma morto con certezza non più comunista. Non il caso, ma il calcolo, ha fatto sì che il custode del suo pensiero fu colui che concorse alla sua fine. Questa è la strada italiana cui Dante si sottrasse, affidando alla letteratura la libertà solitaria del suo pensiero.
Apprezzo e condivido
Il pezzo di oggi è straordinario innanzitutto per la scelta etica di cui è espressione. Poi per l’intensità e la precisa collocazione nel contesto che viviamo.
La solitudine è una scelta, non una vocazione, perciò dura da sostenere, ma encomiabile, quando obbedisce a una motivazione etica.