Si è tenuto nelle scorse settimane, a Sanluri, un incontro/convegno finalizzato alla promozione della filiera del suino pesante in Sardegna. Il progetto, sostenuto dal gruppo Chiola, leader in Italia nell’allevamento di suini per la produzione del prosciutto di Parma DOP, si propone di creare una filiera del suino pesante interamente allevato nell’Isola. È un progetto nuovo per la Sardegna, come dice la locandina “primo del suo genere” che ha coinvolto allevatori, produttori di mangimi, nutrizionisti, veterinari, agronomi e addetti alla lavorazione della carne suina.
Dopo le premesse circa il crollo delle produzioni locali al 20% del fabbisogno e della conseguente forte importazione da mercati nazionali ed esteri di carni suine fresche e trasformate, dei consumi di carni suine in Sardegna superiori pro capite alla media nazionale ecc.. i relatori hanno presentato il progetto, denominato “Il Grugno”, e hanno descritto un preciso protocollo di produzione.,
Ora, indipendentemente dalla indiscutibile bontà del progetto, è passato inosservato, ignorato anche dalla stampa locale, che era da tempo immemorabile (almeno dalla fine degli anni 80) che una importante azienda con attività consolidate nelle zone vocate per questa tipologia di produzione, guardasse con così tanto interesse alla Sardegna.
Ed è proprio su questo aspetto che dobbiamo fare la prima riflessione.
Attualmente la Sardegna è, in Europa, uno dei pochi territori liberi dalla presenza della Peste Suina Africana (PSA del siero tipo 2), diverso da quello che ha flagellato la Sardegna per 40 anni (siero tipo 1).
Questa “nuova” forma di PSA, che sta circolando in Italia e in gran parte d’Europa, rappresenta una minaccia costante per tutto il settore suino europeo e le difficoltà che stanno affrontando, gli Stati e le istituzioni sanitarie europee, a combattere o, quantomeno, circoscrivere il fenomeno è la dimostrazione evidente della bontà dello sforzo che è stato prodotto a suo tempo dalla Sardegna per liberarsi del virus della peste suina.
Non è l’argomento principale di queste note, ma non si possono non ricordare le enormi difficoltà e diffidenze (quando non vera e propria ostilità) che negli anni dal 2014 al 2019 l’Unità di progetto, fortemente voluta dalla Giunta del Presidente Pigliaru, ha dovuto affrontare e superare, per arrivare al risultato di eliminare la presenza del virus attivo già dall’anno 2018 (ultimo ritrovamento in un suino del virus attivo)
Anche se ancora (e sono passati 4 anni da quel ritrovamento) manca l’ufficialità del riconoscimento di regione totalmente indenne dalla PSA, è evidente che questo rinnovato interesse da parte di grandi aziende del settore per la nostra isola, nasce da quella lungimirante scelta di affrontare in modo innovativo quello che sembrava un “male incurabile”.
Il 30 giugno, sul suo sito, l’Unione Sarda ha pubblicato un articolo dove si annuncia la fine totale dell’embargo, per cui a partire dal gennaio 2024 sarà finalmente cancellata la zona rossa anche nei dodici comuni ancora interessati dai blocchi causati dalla Peste suina africana. È proprio questa nuova situazione, ribaltata rispetto al passato, che impone la necessità di impostare politiche di sanità veterinaria totalmente nuove.
Tutti noi ricordiamo gli avvisi minacciosi affissi nei porti e aeroporti della Sardegna che informavano, i passeggeri in partenza, dei divieti di trasportare fuori dall’isola qualsivoglia alimento contenente carni suine e delle sanzioni cui si andava incontro in caso di mancata osservanza di queste, draconiane disposizioni sanitarie. Non sempre gradite, piuttosto sopportate, ma evidentemente funzionali, dato che in quasi 40 anni non risulta che la malattia abbia mai varcato i confini regionali. Quello che qui preme evidenziare, proprio alla luce dei possibili interessanti sviluppi per la suinicoltura regionale, è che, a parti invertite, non sembra proprio che la Sardegna sia protetta dall’arrivo della variante della PSA siero tipo 2.
Crediamo sia perlomeno doveroso che il Ministero della Salute imponga le stesse misure draconiane a coloro che vengono in Sardegna per commercio o per turismo, per evitare ogni possibile forma di trasmissione del virus della PSA. Ma riteniamo che sia ancora più doveroso che le nostre autorità sanitarie regionali, in primis l’Assessore alla Sanità, provveda ad assumere tutti gli atti di propria competenza per rafforzare i controlli ai varchi (porti e aeroporti) che, in costanza degli arrivi della stagione turistica, rappresentano i punti più vulnerabili.
Sarebbe veramente clamoroso che dopo aver condotto una vera e propria battaglia per liberarci della “nostra” Peste suina africana, ce la ritrovassimo in casa quale “dono” di qualche distratto visitatore. Invece registriamo un silenzio un po’ inquietante dell’autorità sanitaria regionale, ma crediamo che anche l’Assessore all’Agricoltura dovrebbe, a difesa del comparto suino, concentrarsi sulla richiesta di misure di protezione adeguate, magari lasciando da parte fughe in avanti su ennesime ventilate sanatorie degli allevamenti illegali (vedi, qui di lato, l’emendamento al Collegato) che suonano come una grande beffa per i veri allevatori impegnati a rispettare le regole.
Non sarebbe tollerabile che, un comparto così interessante e con nuove prospettive di sviluppo, venisse ancora una volta penalizzato e costretto alla marginalità, per l’insipienza di pochi.
La lucida disamina di Sebastiano Piredda ci fa capire due cose: da reietti siamo diventati privilegiati, ma solo grazie a una forte presa di posizione politica e normativa, che non tutti sono in grado di pianificare. Ci siamo riusciti, finalmente, dopo un periodo veramente lungo. Adesso bisogna evitare di allargare le maglie nel nome della cosiddetta tradizione locale. Bisogna impedire che il bestiame suino torni a pascolare senza controllo nelle terre di nessuno. A qualsiasi costo. Ed ecco che a questo punto entrano in ballo prepotentemente 2 fattori: il mondo delle imprese e il mondo della politica. Il primo ha il compito di riorganizzare il comparto nell’isola, avviando nuove aziende e puntando a razionalizzare gli allevamenti. Il secondo ha il dovere di pianificare il sistema degli incentivi allo sviluppo della imprese primarie e di trasformazione del settore suinicolo. I dati indicano la rivitalizzata propensione delle imprese ad investire in questa direzione, spronate dalle nuove condizioni sanitarie. Mentre per gli incentivi sarà il caso di ragionare lucidamente sulle misure della prossima programmazione europea. Ragionare però, non giocarsi le risorse a bussolotti.
Dopo il sacrificio degli allevatori sardi, ora la produzione suinicola diventa oggetto d’attenzione di grossi gruppi pronti a pianificare le produzioni e i profitti. Ma non tutti aspettano il salvatore esterno, perché ad Arbus e Guspini un gruppo di suinicoltori, sotto la guida dell’Università di Sassari, con proprio disciplinare, tecnici e nutrizionista sardi, puntano a riscoprire e produrre, già dal prossimo anno, i prodotti della tradizione per proporli al mercato interno, nazionale ed internazionale.
Il Dottor Filippini nell’ incontro in consiglio comunale ad Orgosolo la settimana scorsa ha dichiarato che quei famosi cartelli verranno messi all’ingresso in Sardegna e non più in uscita dalla Sardegna.
S’ispera est chi sos mannales comente ifriscat s’aghera incumintzen a los facher a sartitza!
A innantis e Fortza paris!
E finalmente qualcuno che alza gli occhi oltre il proprio cortile e racconta le cose come stanno.
Una volta che abbiamo un vantaggio sul Continente e nessuno che pensa o propone un piano di sviluppo: deve arrivare un gruppo non sardo per far capire quanto può valere il comparto suino. Per carità!
Ancora pensano a fare leggi che proteggono i pochi che sfruttano le terre pubbliche con i maiali buttati allo stato brado e lasciano gli onesti senza nessuna protezione.
Che vergogna: autonomisti solo a parole.