L’Italia è maestra nel fare processi pubblici che soddisfino la pancia dell’opinione pubblica e nascondano le crisi della struttura del potere. Se si pensa alla stessa Tangentopoli, si può, riflettendo, constatare che non ha cambiato in nulla la struttura dello Stato, ma ha solo agevolato un’alternanza di governo.
Ho l’impressione che la crisi della magistratura si traduca nel solo processo a Palamara. Ci sarebbe, così, una giustizia parziale ed esibibile, ma non si metterebbe sotto processo il comportamento storico, strutturale, di un’articolazione importantissima dello Stato.
Mi spiego ancora meglio.
Se gli incarichi nelle Procure sono stati, da sempre, lottizzati, cioè spartiti tra le componenti associative della magistratura, la domanda che un cittadino comune e di media intelligenza è legittimato a porsi è: in quali termini quel procuratore nominato per appartenenza e non per merito ha risposto a quell’appartenenza? Se le appartenenze alle diverse associazioni di magistrati sono appartenenze culturali, piuttosto che politiche, ci si troverebbe di fronte alla riedizione della guerra guerreggiata che anima ancora oggi le scuole universitarie per i diversi ruoli messi a concorso nei diversi Atenei e che non ha garantito il merito, ma l’appartenenza, pur all’interno di una griglia ormai standardizzata di produzioni scientifiche, che screma il novero dei partecipanti. Se dunque il modello fosse quello accademico, non vi sarebbe un rischio di imparzialità del giudice, ma di incompetenza o di minor merito rispetto ad altri.
Se invece le associazioni dei magistrati sono articolazioni legate al pensare e all’agire politico, come sembra, allora la possibilità di un uso non imparziale del potere giudiziario diventa altissima.
La domanda è, per la Sardegna: quanto la storia recente e recentissima del potere giudiziario in Sardegna è dipesa dalla lottizzazione tra correnti? Non si avverte la necessità di incrociare la storia di più di un processo con la storia della magistratura in Sardegna? Perché ci si è sempre e giustamente indignati quando la politica ha nominato persone assolutamente incompetenti a ruoli di responsabilità in ragione della loro militanza e invece ora non si va a fondo a verificare nomine e scelte operate dalla magistratura in ragione di quelle appartenenze?
Se dietro ogni nomina c’è stato un baratto tra correnti, chi in Sardegna e come si è avvantaggiato della mediazione tra correnti nel Consiglio Superiore della Magistratura?
So di porre domande scomode e so anche che non avranno risposta, perché ora processeranno Palamara ma eviteranno di svolgere un serio processo di purificazione e di cambiamento che riguardi tutta l’istituzione e noi rimarremo alla mercé di chi viene nominato in ragione delle sue appartenenze, cioè anche dei suoi pregiudizi, delle sue idiosincrasie culturali, delle sue militanze (se un politico partecipa a un incontro tra imprenditori, la cosa puzza subito di corruzione; se un magistrato partecipa a convegni di associazioni esplicitamente iscritte a forme culturali estreme e estremiste, va tutto bene) e non delle sue competenze e così condurre inchieste e processi.
Vedremo se avrò torto, ma se l’Italia sarà coerente con la sua storia, colpirà Palamara e nasconderà ipocritamente passato, presente e futuro della Magistratura, che continuerà a farsi i fatti propri senza dover dare troppe spiegazioni.