Ieri il Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista al Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, che domani va in pensione.
Pignatone è quello che per primo ha detto e scritto che Roma, la capitale della Repubblica italiana, era ed è in mano alla mafia, ma anche colui il quale ha dovuto aspettare una brutale testata ai danni di un giornalista, trasmessa dai media di tutto il mondo, perché del clima mafioso si accorgesse anche il Ministero degli Interni.
Se qualcuno avesse dei dubbi su quanto abbia inciso la malavita romana sulla politica italiana, può leggere le centinaia di volumi di cinque commissioni parlamentari (Caso Moro I e II, P2, Commissione stragi, Mitrokin) per comprendere quanto il ‘mondo di mezzo’ della capitale sia il ‘mondo di bordo’ tra la politica italiana e i suoi volti meno nobili.
Insomma, Pignatone ha un pedigree rispettabile.
Passiamo ai temi trattati nell’intervista.
Lo scontro tra magistratura e politica. Pignatone dà una risposta colta e culturalmente motivata.
In poche parole i nodi del problema sarebbero due: il potere indipendente della Magistratura che sarebbe fortemente irragionevole mettere in discussione (e sono d’accordissimo); la tendenza, non solo italiana, a affidare alla giustizia non l’accertamento e il giudizio sui reati, ma anche la soluzione di problemi istituzionali e etici. Qui non possono che cominciare le domande.
Vuol forse dire Pignatone che non è un problema della magistratura, per esempio, se sia previsto dal nostro ordinamento che si salvino i naufraghi in mare? A me risulta che si debba salvarli; a me risulta che il Capo delle Forze Armate sia il Capo dello Stato e che la Guardia costiera non sia al comando del Ministro degli Interni. A me risulta che l’apologia del Fascismo sia un reato; sono ormai innumerevoli le sentenze che dicono che il saluto romano, le parole d’ordine fasciste, le cerimonie fasciste siano ‘libera espressione del pensiero’. A me risulta che si possa scrivere in Rete che Tizio sia un mafioso anche se non lo è e che il massimo che si ottiene è la rimozione del testo. A me risulta che si possano portare i soldi nei paradisi fiscali e non commettere reato se si dimostra che lo si è fatto in buona fede. A me risulta che si possano aprire in tempi diversi, per lo stesso reato, procedimenti penali a carico di diverse persone, e che in questo modo la prescrizione maturi in tempi più rapidi per alcuni e meno per altri e che così facendo non si commetta alcun reato. A me risulta che la prostituzione sia una piaga oltre che un reato ma che vi siano istituzioni impegnate a riaprire i bordelli.
In realtà il fattore umano, culturale, educativo e psicologico in un magistrato è decisivo. Il potere di un magistrato è tale che le sue pulsioni, convinzioni, intuizioni, simpatie e idiosincrasie (personalmente sto sul naso a tutti), possano esprimersi pressoché liberamente verso il cittadino, sempre in bilico nel passare da testimone a imputato. Il secondo interrogatorio cui sono stato sottoposto come persona informata sui fatti, da assessore della Regione Sardegna, vedeva il consulente del pm seduto alla mia sinistra in forme composte, il pm con i piedi su un tavolino laterale a mostrarmi il suo profilo destro e a farmi le domande come da un dipinto egizio, di profilo. È successo davvero? Ma sì, o meglio, ma no, chi potrebbe confermarlo? Io solo da me medesimo, come direbbe Catarella.
Secondo importante tema posto da Pignatone è quello dell’uso politico dei processi. Parole sante, ma chi è il primo attore di questa spettacolarizzazione? Posto che da assessore mi sono dimesso (con il Presidente della Giunta che respinse le dimissioni) non appena ricevetti un avviso di garanzia, possiamo ricordare una cosa che dà ragione a Pignatone e cioè la pessima abitudine, inaugurata da Rosy Bindi, del Presidente della Commissione antimafia di stilare l’elenco gognesco degli impresentabili alle elezioni, cioè l’elenco dei nomi di quelle persone che per la legge possono essere candidabili ma che per l’oscillante etica parlamentare invece meritano l’esposizione in piazza dentro il gabbio? La politica spettacolarizza oggi ciò che affidava all’esilio ieri, ma non manca di farlo anche lo Stato.
Prendiamo il caso di ieri. È stata portata a termine a Cagliari un’operazione di polizia contro una presunta organizzazione a delinquere legata alla concessione dei permessi di soggiorno, dietro illecito compenso, a cittadini cingalesi. È stata realizzata una conferenza stampa. La domanda è: è giusto fare le conferenze stampe sui primi passi del processo? Credo di no, ma evidentemente se si enfatizza il primo passo, sia il presunto colpevole che il suo avversario, politico o processuale, tendono a difendersi dall’accusa pubblica senza contradditorio e inevitabilmente il processo si trasferisce in piazza. Ovviamente ci si mettono anche i giornali e le tv, perché il rango della notizia dipende dal peso del protagonista. Faccio un esempio fresco fresco. È impossibile conoscere i contenuti particolarmente innovativi e originali della tesi con cui si è laureato il Presidente della Regione Sarda, mentre sono attingibili, ma normalmente protette nell’utilizzo, le tesi di migliaia di laureati sardi. Mentre era assolutamente possibile quando ero assessore o semplice consigliere regionale, a legge vigente, che un qualunque cittadino chiedesse il mio certificato di laurea con esami per verificare date, commissioni di esame, regolarità dei pagamenti delle tasse, data, luogo e modalità della discussione della tesi, il mistero universitario della più alta carica istituzionale della Sardegna non è una notizia, nonostante in Europa per molto meno si siano dimessi almeno due ministri. La notizia dell’esistenza di questo problema e del silenzio imbarazzato che la accompagna è ignorata dai quotidiani e dalle tv sarde. L’Italia è una stretta di mano, o meglio, una mano lava l’altra e cuce la bocca, mentre la apre col megafono per i senza potere.
Infine Pignatone parla di intercettazioni, ma di questo parleremo domani. Intanto oggi leggetevi sulla Nuova, rigorosamente in sola edizione di Nuoro (mi mandano le foto dell’articolo dai monti), nella sola pagina del Marghine, un altro gustoso estratto della sentenza con cui il Tribunale del riesame di Nuoro ha demolito il teorema accusatorio della Procura di Oristano che aveva portato al sequestro del cantiere dell’inceneritore di Macomer. Siamo al teatro dell’assurdo: sembrerebbe (ancora non ho la sentenza) che il pm abbia trovato immotivata la richiesta alla Asl, nel 2014, da parte dell’Unione dei Comuni del Marghine, per un’indagine epidemiologica poi, puntualmente realizzata, sull’incidenza dei tumori in quell’area. Secondo il pm, l’Unione dei Comuni non aveva titolo e interesse a occuparsi della salute dei suoi residenti. Provo a dire che cosa questo significhi, mutuando il linguaggio da Sciascia: siccome l’Unione dei Comuni ha fatto la domanda giusta ma la risposta non è risultata gradita all’attività istruttoria, la domanda è diventata sospetta. Il Tribunale del riesame di Nuoro invece afferma: «l’indiscutibile interesse dell’ente costituito dalle amministrazioni locali di acquisire dati rilevanti per la cura degli interessi istituzionali propri e dei comuni aderenti». Per il Tribunale, l’attivazione dell’Unione dei Comuni è stata «tutt’altro che anomala». Detto questo, succederà qualcosa? Ovviamente no. Se sbaglia un uomo comune, sono guai; se sbaglia un magistrato, si deve portare pazienza.