Oggi il quotidiano La Repubblica, dismessi i panni paludati e noiosi della direzione Calabresi, e impegnato a recuperare lettori interessati non a schierarsi ma a capire (il contrario della linea editoriale della Nuova Sardegna), pubblica in prima pagina (incredibile fino a ieri!) un articolo intitolato: “Corruzione al CSM”, cioè, “Corruzione al Consiglio Superiore della Magistratura”.
Comincio col dire che fino a pochissimo tempo fa un titolo del genere su Repubblica era quanto meno inimmaginabile. Se oggi è diventato realtà significa due cose: 1) l’editore, cioè chi paga, cioè De Benedetti, ha dato via libera; 2) dire la verità, fa vendere copie.
In una Sardegna nella quale i quotidiani nascondono o confinano nei necrologi la riammissione della terza lista alle elezioni comunali di Cagliari e si esercitano solo in elaborati smocking salivari del nuovo potere sardo, senza trascurare di cucire sempre un bell’abito sul dosso di un’opposizione poltrona e inesistente, producendo così un resoconto lunare della vita politica sarda, il posizionamento di Repubblica è un evento.
Che cosa rivela il quotidiano romano (e aggettivo mai fu così pertinente): racconta dei maneggi in corso per la nomina alla carica di Procuratore generale della Repubblica di Roma, resa vacante dal pensionamento di quel galantuomo che è stato Pignatone.
La cosa curiosa è che la lotta per la successione romana viene condotta raccontando di conciliaboli, alleanze, fioretti (cioè spade corte, non opere di bene) e pugnali, (sull’esistenza di reati mantengo i miei dubbi) ma non di scuri, come è stata invece condotta quella per la successione alla Procura di Cagliari.
Il CSM è stato sempre il nemico di Falcone e Borsellino, oggi lo è di Di Matteo; ma ciò che è importante è che la politica della magistratura è politica di costume giudiziario, cioè è confronto su come condurre le indagini (Pignatone è stato l’unico Procuratore che ha messo per iscritto il divieto alla facile iscrizione delle persone al registro degli indagati, ha insegnato a tutti gli uffici giudiziari a collaborare, non ha mai concesso nulla alla pretesa di una zona franca della politica inattingibile dalla legge, ma non ha neanche mai prestato il fianco ai teoremi ideologici composti a tavolino e riscontrati per forza dalla Polizia Giudiziaria), nonché uno scontro su come tenere i rapporti col governo della Repubblica italiana.
Ogni Procura ha il problema di scegliere che rapporti tenere col potere più prossimo, sia che si tratti della capitale di uno Stato, o del capoluogo di una Regione o del più semplice (si fa per dire) Comune. Poi ha il problema di come tenere i rapporti con le persone normali che non hanno paura del loro potere, cioè deve scegliere su tre opzioni: intimorirli, ignorarli, perseguitarli. Qui si gioca una prima partita: il porto delle nebbie dei rapporti con gli avvocati, i quali, in Sardegna, si dividono in due grandi categorie: quelli che si sentono controparte della magistratura e quelli che cercano l’accordo con la magistratura inquirente. Sono maggioritari i secondi, infatti farsi difendere bene in Sardegna è roba da uomini pazienti e facoltosi. Molti, moltissimi, sono invece indotti dal loro legale a una umiliante trattativa incardinata sui pregiudizi di indagine del PM, fondati spesso su performance della Polizia Giudiziaria ai limiti della scrittura comica (in un processo sul quale mi hanno chiesto un parere, la PG scriveva frequentemente in.le. L’avvocato di uno degli imputati mi ha chiesto una consulenza (gratuita) e, regolarizzate le carte del rapporto con lui, mi ha fatto ascoltare le registrazioni per confrontarlo con le trascrizioni: enigma risolto. Ogni volta che l’imputato parlava in inglese o faceva citazioni dotte, l’agente di PG annotava “incomprensibile”).
Secondo Repubblica, a Roma vogliono impedire la nomina del Procuratore di Palermo e favorire quella del Procuratore di Firenze (sempre lì si va a finire). È uno scontro politico nel quale, però, la Procura di Perugia ha ravvisato le tracce di una possibile corruzione. Staremo a vedere. Ma voi ditemi se queste scaramucce elettorali meritano la prima pagina di Repubblica, mentre in Sardegna accadono nell’ordine le seguenti cose: un Tribunale del Riesame afferma (cioè non ipotizza) in un’ordinanza che un Pm ha ricostruito una versione dei fatti tale per cui atti trasmessi unitariamente in due versioni perché richiesti da un ente pubblico sarebbero stati trasmessi invece in due tempi diversi cambiando dolosamente i criteri tra la prima e la seconda redazione, cosa falsa che il tribunale non manca di sottolineare duramente (avete visto voi, per caso, un parlamentare fare un’interrogazione? Ma non sia mai!); un ente pubblico non rispetta ostentatamente la legge sulla trasparenza sui suoi conti, sui viaggi e i rimborsi dei suoi organi di governo e nessuno, dico nessuno, alza neanche il sopracciglio per richiamrlo all’osservanza della legge; a Oristano, mi dicono che dopo tre anni di indagini sull’inceneritore di Macomer, animate da ipotesi di reato degne della mafia neanche palermitana, ma almeno newyorkese, che comprendevano reati quali la solita associazione a delinquere se non la criminalità organizzata, dopo anni di interrogatori, sequestri di carte, intercettazioni ambientali e rettali, sarebbe stato notificato agli imputati il fine indagini che ipotizza, per l’udienza di rinvio a giudizio, il solo reato di turbativa d’asta, per di più senza neanche un politico coinvolto (la montagna ha partorito il moscerino; volevano arrestare un boss e la finiranno a discutere di procedure amministrative, di commi e testi novellati e rinovellati); c’è un altro procedimento nel quale si è parlato sui giornali di corruzione e di soldi, con le solite intercettazioni pubblicate, eppure i soldi non si trovano; ci sono procedimenti in corso (con fine indagini già depositato) per divulgazione di segreto d’ufficio per la divulgazione in conversazioni private di atti che erano pubblici da almeno due settimane; ci sono scontri istituzionali fraintesi come accordi; insomma, nella carte giudiziarie sarde c’è un vasto repertorio di errori pregiudiziali che giustificherebbe un titolo di uno dei quotidiani: invece no. Se la tesi di laurea del Presidente della Regione (a proposito, mi dicono di duri attacchi al mio partito per le mie posizioni esclusivamente personali; lo ripeto: non ho più alcuna carica nel partito e mi esprimo a titolo personalissimo), non di un quidam de populo, del Presidente della Regione, è resa inaccessibile da un’interpretazione di una legge, ma non dalla legge, il direttore di un giornale che domanda fa? “Ci parli della sua laurea”. È come se io agli esami facessi sempre e solo la domanda a piacere. Con questi presupposti, come si può sperare che la stampa sarda faccia come fa Repubblica?
Questa è l’informazione in Sardegna: pigrizia e routine, specie con la magistratura. Ma noi non ci arrendiamo: non abbiamo fame di allori né obblighi di persuasione. Parliamo e scriviamo per il gusto della verità.