“Ma il cielo è sempre più blu”, cantava Rino Gaetano nell’ormai lontano 1975. Una canzone lunga, quasi 9 minuti, dove il verso ‘chi mangia una volta’ è frequentemente ripetuto.
La canzone dà il senso del reticolo di ambizioni, frustrazioni, problemi, fallimenti, sogni, bugie, truffe e martirii che vivono e brulicano sotto il nostro cielo.
Ieri sono arrivato in assessorato alle 8.30. Ho letto sette giorni di posta arretrata: l’80% erano lettere di avvocati, sentenze di tribunali, notizie di condanne a rimborsare Tizio o Caio, diffide a procedere ecc. ecc. Ho cercato qualcosa in ferro da toccare, un corno da appendere, un ferro da cavallo da tirare a qualcuno, niente: tutto in legno. Una piccola parte, ma significativa, dei tre chili di carta che decoravano la scrivania, era invece costituita dalla corrispondenza tra Direzioni generali degli Assessorati che guerreggiavano sulla reciproca competenza e nel frattempo bloccavano 4 metri cubi di documenti, pratiche, istanze, stanziamenti e erogazioni ecc.
In questo bellissimo, accogliente e rassicurante quadro stava e sta la vicenda Abbanoa, la quale ha una caratteristica che viene poco sottolineata: l’odore della guerriglia istituzionale. Comuni contro comuni; Consorzi industriali contro Abbanoa; Abbanoa contro Consorzi industriali; Comuni contro Abbanoa; Abbanoa contro Comuni; enti regionali in lotta tra loro e contro i comuni; enti regolatori che non regolano; tariffe che invecchiano; gente che lavora troppo e gente che non lavora; gente che paga l’acqua e gente che non la paga o non l’ha mai pagata; contatori veri e contatori farlocchi; soldi che giacciono in attesa della fine della rissa; banche ferme; legislazioni che intrecciano reciproche competenze in una matassa inestricabile.
La vicenda Abbanoa è lo specchio di ciò che sta accadendo nelle istituzioni della Sardegna: si è completamente persa la coscienza di appartenere a una stessa storia, a uno stesso Stato, il nostro Stato. Riprendere ad avere una visione coordinata del problema, riprendere a fare ognuno la propria parte, riprendere a concorrrere alla soluzioni, dialogare e non confliggere, è già metà dell’opera. Bisogna cambiare molte cose e in tempi molto rapidi;; lo faremo con molta determinazione, senza annunci prima degli eventi e rispettando molto le persone, ma è più difficile farlo in un clima di conflitto permanente. Lo sforzo di emersione delle responsabilità e di focalizzazione e realizzazione della soluzione dei problemi che stiamo facendo, richiede un forte impegno di coesione da parte delle istituzioni coinvolte. Il conflitto interno è un lusso che la Sardegna non può permettersi: costa troppo.
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Certo che si… con molta determinazione… senza pubblicità spiccia… grande rispetto per le persone… in quanto al clima conflittuale, bisogna ora sforzarsi smussare fino a debellarlo. Questo deve essere il nostro lavoro questo deve essere il nostro valore.. solo così riusciremo ad attrarre (Oggi il partito dei Sardi) migliaia di persone che vagano in ordine sparso. Spetta a noi inviare incessantemente questi messaggi… le politiche in atto portano all’eutanasia la bella addormentata… spero che il nostro “assessore principe” riesca nell’impresa… sarebbe davvero una bella favola.
Ci piace ancora credere che le istituzioni difendano la propria reputazione, rispettando intanto la dignità dei cittadini; e questa è una responsabilità inter-individuale di assessori, politici, direttori generali, responsabili di servizio, amministratori delle controllate e chi più ne ha più ne metta, che devono fare rete, fungere da aggregatori sociali, essere educatori civici in prima linea proprio in quanto rappresentanti e referenti delle istituzioni. Ma il dubbio d’ingerenza privata nella cosa pubblica e talvolta di polifunzionalità della cosa pubblica stessa, che compromette, destabilizza fino a minacciarne l’equilibrio, è fortissimo in questo periodo di crisi, mentre le istituzioni finora non hanno aiutato granché a risolvere i misteri del perché il lavoro manchi o sia a rischio in Sardegna. E’ chiaro che in Abbanoa si dovrà fondere per la prima volta il massimo sforzo istituzionale con uno scopo industriale. Da un lato è pazzesco assecondare l’anomalia del mostruoso debito pubblico che affligge la Spa, per quanto vero sia che tutte le società di distribuzione dell’acqua ed erogazione dei servizi idrici del mondo siano in perdita. Dall’altro va tutelato l’arcipelago dell’occupazione che in Abbanoa sottende, lo si voglia o no, un delicato sistema d’impresa. Chi ha mai detto che i servizi d’interesse generale debbano essere in mano al sistema pubblico? Anzi, il connubio col privato dovrebbe essere un volano della ripresa economica. Eppure è mal regolamentato o mascherato, pieno di conflitti d’interesse potenziali, reali, presunti, quasi impossibili da dimostrare. Male non sarebbe istituire una commissione ad hoc, senza scopo di lucro, per individuare ogni ‘nevo bianco’ nella gestione dei servizi pubblici. Assegnerei questo compito proprio all’Università, che dovrebbe essere considerato il maggior sponsor di fiducia delle istituzioni. Ci piacerebbe che parole come indipendenza/terzietà delle istituzioni/doveri etici di lealtà, fossero un po’ più che belle parole di circostanza. Sono sempre necessari ruoli doppi e multipli all’interno-esterno di enti/istituti/società, che necessariamente provocano sbilanciamento del potere/subalternità dei ruoli/svilimento di certa professionalità??? Non servirebbe qualcuno deputato a valutare quanto e come a certe linee di dipendenza gerarchica siano connessi rischi di malagestione protetta che poi rendono impossibili i processi per l’identificazione dell’operato? Una commissione contro i conflitti d’interesse potrebbe appunto suggerire alla PA dei rimedi al sistema dei malvezzi gestionali annidati di qua e di là nel sistema pubblico o da essa controllato, compresa la divulgazione sociale dei presidi di prevenzione e di quanto può risultare utile alla tutela del lavoratore e sia sinonimo di credibilità per le istituzioni.
Sono d’accordo Silvano, a tal punto che discuto pubblicamente di queste cose per creare proprio il presupposto civile dell’azione di governo. Detto questo, devo tenere conto dei tempi dettati dalle norme, dei ritmi delle società controllate, dei bilanci, dei bilanci che si reggono reciprocamente nel sistema debiti- crediti, ecc.. Non ho alcuna fretta, ma voglio prendere le decisioni al momento giusto, né troppo presto né troppo tardi.
Caro Assessore,
hai pienamente ragione a denunciare questa abitudine a configgere, anziché a dialogare, con la disgregazione che ne consegue, ma nello sforzo di “gettare il cuore” oltre questo ostacolo fai un salto improprio quando dici che “si è completamente persa la coscienza di appartenere a una stessa storia, a uno stesso Stato”. Il senso civico, la fiducia reciproca, la coesione sociale sono valori che non puoi legare al livello istituzionale senza snaturarli e svilirli. Riprendo qui parte di quanto ho già scritto in altra sede recensendo l’ultimo libro di Pietro Soddu Sardegna. Il tempo non aspetta tempo, “Nessuna forma istituzionale potrebbe resistere alla lacerazione del tessuto sociale, allo smarrimento del senso civico, alla rottura del clima di fiducia reciproca e al venir meno della solidarietà che ne scaturisce.
I valori, soprattutto quelli fondanti, quelli che sono alla base delle virtù civiche, e che per questo sono i presupposti indispensabili per la formazione di una comunità salda e duratura, non possono essere il prodotto delle nostre istituzioni, perché le devono precedere. Se le istituzioni si creano i propri fini e valori, se questi ultimi vengono, di conseguenza istituzionalizzati, il processo di deterioramento che prima o poi finisce con l’investire le istituzioni, specie in periodi di crisi sociale ed economica come l’attuale, si estende anche ai valori e alle finalità, lasciando l’uomo privo di riferimenti e di appigli. Il mondo perde così la sua dimensione umana per trovarsi preda dell’inesorabilità dei fatti e della fatalità, che caratterizzavano le società primitive. Vengono in questo modo meno la logica dello sforzo e dell’impegno personale, anche attraverso la ribellione, la fiducia in un futuro che sia aperto alla speranza. Una società che affida tutte le sue speranze e la propria volontà di riscatto alle istituzioni finisce con l’istituzionalizzare i propri valori, i propri desideri, i propri sogni, le proprie aspirazioni. Una volta che anche questa dimensione sia stata istituzionalizzata in processi programmati e meccanizzati si smarriscono inevitabilmente il senso del possibile, la voglia del cambiamento, lo slancio dinamico e propulsivo che ispira e alimenta le grandi trasformazioni sociali. I membri della società finiscono così col credere che il vivere bene consista nell’avere istituzioni che definiscano i valori e i fini di cui essi stessi e la loro società ritengono d’avere bisogno. Seguendo questa via il degrado delle istituzioni, il loro invecchiamento e la loro crescente inadeguatezza in condizioni profondamente mutate finiscono, inesorabilmente, per produrre anche il consumo e il declino dei valori legati a esse e da esse stesse generati e legittimati. Si ha così una corruzione dell’immagine che l’uomo si fa di se stesso, che provoca una regressione della sua coscienza individuale e una mutazione di quella collettiva, in seguito alla quale l’uomo medesimo viene visto come un essere dipendente non più dalla natura e dalle altre persone, ma dalle istituzioni. Questa istituzionalizzazione dei valori essenziali, questa loro trasformazione in qualcosa di programmato e scontato, che dovrebbe garantire i risultati desiderati da chi è vittima di questa alienazione e la subisce, sono al centro di quella che possiamo definire l’illusione prometeica, l’atto di Prometeo portato all’estremo, quello in seguito al quale l’uomo è destinato a essere sempre più la fornace che brucia i valori prodotti dai meccanismi, dalle strutture e dai processi da lui stesso creati”.
Lo so che tutto questo contrasta con la tua legittima ansia di fare presto, di trovare soluzioni che incidano rapidamente sul drammatico quadro di fronte al quale ci troviamo e di invertirne il corso, ma il passaggio dalla stessa storia allo stesso Stato, senza passare attraverso la formazione di una comunità coesa che, come tu stesso evidenzi con i significativi esempi che fai, ancora non c’è, rischia di essere l’ennesimo prodotto della gatta frettolosa che fa i micini ciechi. Uno Stato che non poggi su virtù civiche e valori come quelli indicati sarebbe uno Stato litigioso e disarticolato al suo interno, paralizzato e incapace di funzionare. Il compito della politica, che tu interpreti con tanta passione e competenza, è proprio quello di fare analisi realistiche della situazione e di studiare e mettere in pratica misure concrete che siano una risposta effettiva ai problemi da affrontare.