Il Senato della Repubblica italiana ha ristampato i discorsi parlamentari di Emilio Lussu. La prima edizione era del 1986, con prefazione di Manlio Brigaglia. Questa del 2021 è invece di Guido Melis. Io sono un appassionato di Lussu. Mi piace il suo italiano geometrico, il suo pensare in modo tattico, militare, mi sembra, leggendolo (soprattutto rileggendo Marcia su Roma e dintorni e il suo libro dimenticato Teoria dell’insurrezione) di rileggere il De bello gallico, del quale mi piaceva il latino, mai Cesare.
Ammiro tantissimo il capitano Lussu e lo avrei voluto come mio comandante in guerra.
Non la penso come Lussu.
Io sarei rimasto azionista.
Si può con certezza affermare che l’introduzione del libro è l’ennesima riproposizione di una egemonia storiografica sassarese, di stampo politico genericamente di sinistra, sulla figura di Lussu. Basta saperlo e ci si regola di conseguenza.
Niente di drammatico.
Da Antonio Pigliaru a Manlio Brigaglia, i turritani, il più agguerrito gruppo di intellettuali del dopoguerra sardo, hanno sempre operato per imporre la propria egemonia, attraverso le proprie idee, cantandosela e suonandosela da soli (Soddu in questo ha superato tutti, abilissimo!) ma anche attraverso l’antipaticissimo sistema dei rimandi bibliografici scrupolosamente svolti all’interno della cerchia amicale, in modo che gli avversari precipitino nell’oblio dei lettori.
Ed è esattamente di questa pratica di attentato alla memoria e al merito che voglio parlare e lo faccio io che non ho mai scritto una pagina su Lussu, in modo da non essere tacciabile di risentimento o di invidia. Non ho scritto nulla su Lussu, non intendo farlo.
Feci un lavoro tempo fa che per un disguido, anche questo sassarese, non venne pubblicato e non ne ho alcun rammarico.
Melis cita largamente Brigaglia, Fiori, Sechi, Fois, tutti autori che lo meritano senza alcun dubbio. Ma ve ne sono degli altri.
Inizierei con Gian Giacomo Ortu, già ordinario di Storia dell’Università di Cagliari, che di Lussu è un esperto e un cultore oltre che essere uno degli storici più noti del mondo rurale in età moderna.
L’oblio su di lui è tale da raggiungere una raffinatezza comica: a p. 18, alla nota 41 si cita per l’ennesima volta Brigaglia per aver curato il secondo dei due volumi di Emilio Lussu: tutte le opere.
Siamo nel 2010, la casa editrice è Aìsara.
Chi curò il primo volume? Gian Giacomo Ortu.
Perché non viene citato, non solo per questo testo ma anche per altri?
Perché Ortu è un tipo tosto, è un grande storico della storiografia, cioè conosce anche i metodi e i vizi degli storici, e appartiene a una sinistra azionista, gobettiana, che in Italia non esiste più.
Insomma, una persona colta e interessante che proprio per questo può risultare ingombrante a chi non sa più stupirsi del sapere altrui, come invece sempre dovrebbe accadere..
Un’altra evidente rimozione si chiama Franciscu Sedda, ordinario di Semiologia all’Università di Cagliari, come dire, anche lui non proprio uno studioso in erba né un divulgatore.
Sedda ha dedicato a Lussu più di uno scritto ed è colui che ha sostenuto, a torto o a ragione, che Lussu avrebbe tradito non solo il sardismo ma anche la Sardegna. Ora è evidente che si può essere d’accordo con lui oppure no, ma perché non citarlo o non contraddirlo? Puntualmente, nella pubblicazione del Senato della Repubblica il nome di Sedda non ricorre manco per sbaglio. E la cosa è ben più seria, perché il senatore Marilotti, presidente della biblioteca del Senato, ben conosce sia Sedda che il suo pensiero su Lussu.
Spero vivamente che il ricambio generazionale in atto tra gli intellettuali sardi metta fine a queste pratiche. C’è spazio per tutti a questo mondo, basta guardarsi intorno con occhi sinceri e non velati dall’ossessione di sé.
Pratiche conosciute. Molti condannati all’invisibilita’. Non solo sassaresi.
Quando uno sa, ha scritto qualcosa di interessante lo si ignora. Non esiste. È una forma simbolica di assassinio. L’ invidia è sempre armata.
Basterebbe anche solo la tua onestà intellettuale, per farti giganteggiare su un esercito di nani.